Il Rischio MOBBING
(in 9 capitoli le informazioni di base per prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing: il
testo è preso integralmente da un opuscolo informativo, realizzato dall’ISPESL in
collaborazione con la Clinica de Lavoro di Milano e da CGIL, CISL, UIL Lombardia, rivolto
a quanti si occupano di Prevenzione nei Luoghi di Lavoro e, in particolare, agli RLS e RLST)
1. cosa è il Mobbing?
2. come riconoscerlo precocemente
3. come si differenzia da una normale conflittualità
4. gli effetti che provoca
5. i diritti che lede
6. quali consigli utili dare al mobbizzato
7. i rischi
8. Mobbing e organizzazione del lavoro
9. le Prospettive
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il Rischio MOBBING
1. cosa è il Mobbing?
(in 9 capitoli le informazioni di base per prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing: il
testo è preso integralmente da un opuscolo informativo, realizzato dall’ISPESL in
collaborazione con la Clinica de Lavoro di Milano e da CGIL, CISL, UIL Lombardia, rivolto
a quanti si occupano di Prevenzione nei Luoghi di Lavoro e, in particolare, agli RLS e RLST)
Una certa percentuale di mobbing probabilmente è stata sempre presente nelle
organizzazioni. Chi non ha avuto esperienza di qualche “sgobbone” isolato dalla classe
perché troppo bravo o dell’antipatia inspiegabile di un capo nei confronti di un collaboratore
che qualunque cosa facesse non andava mai del tutto bene? La psicologia sociale ha studiato
e descritto le dinamiche presenti nei gruppi (di lavoro e non) fin dagli anni 60: la
canalizzazione dell’aggressività del gruppo verso alcuni individui, i conflitti, lo loro gestione,
i meccanismi di espulsione dal gruppo ecc.. E la psicologia del lavoro, quelle dinamiche,
verificate dal mondo delle imprese. In questi ultimi tempi, però, la realtà del lavoro è
cambiata. Le trasformazioni organizzative (privatizzazioni, fusioni, ristrutturazioni, ecc.)
vissute recentemente in Italia, l’informatizzazione, lo flessibilità del lavoro hanno comportato
un esubero di personale, spesso non facilmente gestibile. Così il mobbing si sviluppa,
generando prima inoccupati e diventando quindi una sorta di “scorciatoia” per le imprese che,
in questo modo, riescono a dimissionare dipendenti divenuti scomodi. Ogni giorno,
all’interno delle imprese, un certo numero di lavoratori abili, capaci, responsabili e motivati
sopporta situazioni di molestie morali o, come è uso chiamarle in questi ultimi anni, di
mobbing (una ricerca della Fondazione Europea per il Miglioramento delle Condizioni di
Vita e di Lavoro, con sede o Dublino, condotta tra il novembre ’96 e il gennaio ’97 in dieci
paesi dell’Unione Europea attribuisce all’Italia il 4.2% di lavoratori coinvolti). Alcuni di loro
abbandonano il lavoro, altri resistono fin che possono con costi altissimi per la loro salute
fisica e psicologica e per l’equilibrio delle loro famiglie, per non parlare dei costi che il
mobbing comporta alla collettività e paradossalmente anche alle stesse imprese. Questo opuscolo
vuole aiutare i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (aziendali RLS e
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territoriali RLST) in quanto soggetti chiamati o collaborare alla salvaguardia del benessere
dei lavoratori e quindi anche alla salvaguardia dei loro diritti, incluso il rispetto dello dignità
di esseri umani e lavoratori. Vuol fornire le informazioni di base affinché i fenomeno del
mobbing possa essere prevenuto o, almeno, precocemente riconosciuto. Solo quando questi
comportamenti verranno correttamente definiti potranno essere combattuti, e solo quando
l’informazione diventerà capillare a tuffi i livelli nel mondo del lavoro il mobbing uscirà dalla
clandestinità e la vittima avrà il coraggio di parlarne senza vergognarsene e il mobbizzatore
(in inglese, mobber) sarà individuoto e fermato.
Il mobbing è una forma di violenza psicologica che si attua in ambito lavorativo e che
implica la presenza di un aggressore (mobber), rappresentato do una o più persone, di una
vittima (il lavoratore aggredito e di spettatori (i colleghi di lavoro), che generalmente
prendono le distanze dal malcapitato, nel timore di incorrere in ritorsioni personali. Viene
esercitato attraverso una molteplicità di comportamenti e comunque, trattandosi di una
aggressione morale, rappresenta una minaccia per l’integrità psico-fisica de la persona che ne
è bersaglio.
Nello specifico possiamo definire il mobbing come una forma di maltrattamento deliberato e
ripetuto neI tempo (almeno 6 mesi), da parte di un superiore (mobbing verticale o bossing) o
di uno o più colleghi (mobbing orizzontale) che ambiscono ad un controllo sul bersaglio o
addirittura alla suo distruzione. Sono descritti però anche sporadici casi di mobbing dal basso
verso l’alto, quando un gruppo di subordinati si coalizza contro un superiore (i diversi tipi di
mobbing sono esaminati più in dettaglio nel capitolo 7). Possono favorire l’azione del
mobber i cosiddetti co-mobbers, cioè quegli individui psicologicamente conformisti, proni
nei confronti delle gerarchie o delle forti personalità che tendono ad adeguarsi al gruppo o
all’autorità non appena
vedono che questi ultimi aggrediscono un singolo. Questo adeguamento al capo è uno degli
automatismi più frequenti: talvolta è sufficiente che uno o due soggetti carismatici si scaglino
contro qualcuno, perché diversi altri individui deboli si schierino subito dalla parte del più
forte, diventando così dei co-mobbers e scaricando a loro volta tutte le proprie frustrazioni
sulla vittima.
Per approfondire…
Heinz Leymann, medico tedesco vissuto in Svezia, è stato il primo ricercatore a dare, negli
anni ’80, una definizione completa di mobbing, quella che riportiamo qui di seguito.
“Il mobbing o terrore psicologico sul posto di lavoro è una modalità di comunicazione ostile
e non etica diretta sistematicamente da uno o più soggetti verso un solo individuo che è così
spinto e mantenuto in una situazione di impotenza. A causa della frequenza e della durata del
comportamento ostile, questo maltrattamento porta a sofferenza mentale, psicosomatica ed a
disagio sociale”.
Ma da un punto di vista non solo clinico è molto significativo un provvedimento legislativo
svedese (1994), nel quale il comportamento di mobbing viene definito come
“vittimizzazione” del lavoratore che comporta “azioni ricorrenti, censurabili o chiaramente
negative che sono dirette contro singoli dipendenti in modo offensivo e possono sfociare
nell’allontanamento (forzato) dal lavoro”.
Mobbing deriva dall’inglese “to mob” che significa attaccare, assalire, accalcarsi intorno a
qualcosa o qualcuno. Konrad Lorenz, studiando il comportamento animale, ha coniato il
termine mobbing per descrivere come un gruppo di uccelli attacchi un membro diverso per
allontanarlo.
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2. come riconoscerlo precocemente
Il mobbing non è uno stato ma un meccanismo ed, in quanto tale, inizia con un cambiamento.
Nella maggior parte dei casi si tratta di un cambiamento del “clima” lavorativo. Il clima, cioè
lo spazio emozionale, che non è fatto solo di azioni e di parole, ma piuttosto di sensazioni
sentimenti, percezioni. Un giorno, il soggetto “avverte” da parte del superiore o dei colleghi
una maggiore distanza, una minore cordialità, un non guardare o guardare troppo, ma non
negli occhi, una assenza o un diradarsi di quei gesti che fanno la quotidianità dei rapporti
nell’ambiente di lavoro, come la pausa del caffè, la presa in giro anche pungente ma
amichevole, la battuta che allevia la tensione, la confidenza spontanea. Solo successivamente
seguono le azioni che possono essere diversissime a secondo degli individui, dei rapporti
interpersonali, delle responsabilità e dei contesti organizzativi, ma che comunque rientrano
nelle seguenti categorie di azioni:
– impedire al lavoratore preso di mira (la vittima) di esprimersi;
– isolarlo;
– metterlo in difficoltà;
– screditare il suo lavoro;
– esporlo a rischi per la sua salute.
All’interno di questi punti si può inserire una grande varietà di comportamenti, quali:
– impedire alla vittima di esprimersi, può voler dire ignorarla quando parla o
interromperla continuamente, non rispondere alle sue richieste di colloquio o alle sue lettere,
vincolare il suo lavoro all’interno di regole così rigide da impedire qualunque autonomia;
– isolarla può variare da uno spostamento di stanza, all’esclusione del telefono,
all’inserimento di password nei programmi informatici che ovviamente non vengono
comunicati alla vittima, fino ad un trasferimento ingiustificato in sedi lontane;
– vivendo a lungo e per giornate intere con colleghi e superiori, ciascuno di noi conosce
alla fine sia i punti deboli dell’altro che le sue realtà extralavorative: questi aspetti vengono
utilizzati per mettere in difficoltà la vittima o con allusioni o facendo l’ironia aperta;
– screditare il suo lavoro, cioè la specifica attività professionale della vittima, significa
moltiplicare le occasioni di critica: niente è più fatto bene, nei contenuti, nelle forme, nella
tempistica (il mobbizzatore arriva fino alla falsificazione della documentazione e/o alla
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manomissione degli strumenti di lavoro) e gli errori o presunti errori vengono sanzionati
economicamente o con giorni di sospensione;
– poiché lo scopo del mobbing è distruggere psicologicamente e fisicamente il
bersaglio, allora, oltre ai comportamenti descritti, la via migliore è esporre il soggetto a rischi
che sono incompatibili per le sue condizioni psico-fisiche, a maggior ragione se si tratta di
una persona già portatrice di ridotte capacità lavorative.
Questi punti sono solo una minima parte delle innumerevoli modalità con cui la fantasia del
mobbizzatore riesce ad esprimersi e che raggiunge spesso il massimo livello nella prima fase
del processo quando il mobbizzatore sperimenta e seleziona le tecniche più efficaci allo
scopo, e misura la tenuta del soggetto e le sue capacità di reazione.
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3. come si differenzia da una normale conflittualità
Un punto essenziale nella possibilità di controllare il fenomeno sta nel distinguerlo dalla
conflittualità presente negli ambienti di lavoro, episodica ed occasionale. Ricordiamo che le
strutture occupazionali riuniscono gruppi di lavoratori collegati tra loro per il raggiungimento
dei fini aziendali, ciascuno con le proprie competenze e professionalità ma anche con
obiettivi personali che possono essere di autorealizzazione o di carriera. Si entra all’inizio
della propria vita produttiva con l’obiettivo personale di essere riconosciuti nel proprio valore,
si costruisce una professionalità che si auspica sarò ricompensata con miglioramenti
economici e avanzamenti di carriera e quindi di status. Allora e facile intuire che per alcuni
soggetti o in alcuni casi la “lotta per il riconoscimento sarà un elemento necessario e non
potrà avvenire se non cercando di dimostrarsi più bravi, più capaci, più abili e/o utili ai fini
aziendali rispetto ad altri dipendenti. Si tratta dunque di situazioni che possiamo definire
“normali” in una sana competizione organizzativa, in cui le uniche abilità utilizzate sono le
abilità specifiche, la capacità di utilizzarle, lo sforzo sostenuto, la costanza ed il
mantenimento delle motivazioni originarie anche in seguito ad una sconfitta. Vi si comprende
anche un certo grado di abilità o intelligenza sociale che consente di cogliere l’occasione
giusta nel momento giusto per dimostrare le proprie capacità. Questo tipo di lotta non esclude
il conflitto aperto, la discussione, la messa in causa di comportamenti e conoscenze ma
sempre su dati di fatto dimostrabili e in un clima di reciproca chiarezza e di obiettivi
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dichiarati. Il mobbing non è niente di tutto questo, al contrario implica sempre una strategia
attuata, ma non dichiarata (ideata dal mobber, chiunque egli sia), condotta in maniera
sistematica e duratura nel tempo. Come si è detto può nascere, ma non sempre, da una paura,
paura del diverso, del più bravo, del più qualificato, o, più semplicemente, da una strategia di
eliminazione di qualcuno ritenuto “esubero”. In questi casi non contano più le capacità
individuali, la professionalità, la devozione all’azienda, anzi questi sono proprio gli aspetti
che la strategia del mobber punta a distruggere ricorrendo non ad un “leale conflitto”, ma alle
tecniche di cui già si è parlato.
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4. gli effetti che provoca
Il mobbing è causa di importanti effetti sulla salute della persona presa di mira, in quanto
esercitato a lungo ed in modo continuativo; queste conseguenze sono soprattutto a carico del
benessere psichico e psicosomatico.
Come fonte di stress, il mobbing, costituisce un “fattore lesivo sia per la psiche che per il
corpo, producendo alterazioni funzionali a vari livelli, diversi da soggetto a soggetto.
I lavoratori sottoposti a violenza psicologica presentono un alto rischio di sviluppare disturbi
di ansia e di umore, con gli effetti tipici del disturbo post-traumatico da stress, che riportiamo
in tabella.
– presenza di fenomeni di iperallerta;
– pensiero concentrato in modo ossessivo sui problemi di lavoro con incubi, flashback,
etc.;
– fenomeni di evitamento, cioè comportamenti tesi od evitare ogni situazione che ricordi
il problema;
– disturbi di ansia, depressivi e dissociativi;
– possibilità di esiti a lungo termine.
La diagnosi di disturbo post-traumatico da stress inizia infatti ad essere accettata, sia in sede
psichiatrica che di medicina del lavoro e di medicina legale, nei paesi dell1Europa del Nord e
Centrale; in questi stati i tribunali del lavoro hanno iniziato ad ammettere il fenomeno e ad
emettere sentenze che riconoscono il danno biologico da esso indotto.
La seconda diagnosi formulata come conseguenza del mobbing è quella di disturbo
dell’adattamento, sino ad ora diagnosi molto più frequente della precedente. Questa diagnosi
che a prima vista sembrerebbe penalizzare l’individuo che non avrebbe capacità di
adattamento, in realtà pone l’accento più sulla situazione di lavoro che è così incongruo e
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negativa da non consentire, anche nei soggetti normodotati, di mantenere attivi nel tempo i
meccanismi di adattamento. Sentimenti di ansia, depressione, impotenza e disagio si
associano ad una sensazione di vergogna e ad un atteggiamento, soprattutto all’inizio, di
autocolpevolizzazione e sfiducia in se stessi. L’individuo entra così n un circolo vizioso che,
poiché determina sempre maggiore debolezza, provoca un ulteriore aumento della
vulnerabilità.
Il disturbo dell’adattamento è caratterizzato da:
– fattori di rischio di intensità e durata inferiori a quelli riscontrati nella prima diagnosi
(quella di disturbo post-traumatico da stress);
– fenomeni clinici simili (ansia, depressione, etc.), ma di minore gravità;
– assenza di conseguenze permanenti (*).
(*) a questo proposito è però da segnalare che se la situazione mobbizzante dura a lungo,
come spesso si verifica, il disturbo tende a persistere rendendo problematico valutare se si
tratti di danno permanente o provvisorio.
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5. i diritti che lede
Il mobbing lede diritti fondamentali del lavoratore al rispetto, alla dignità ed alla tutela della
salute psicofisica.
Di fronte ad un’esplosione del fenomeno, non esistono ancora leggi specifiche, ma si contano,
dal 1996, disegni di legge in attesa di discussione e alcune sentenze favorevoli ai lavoratori
colpiti da mobbing.
Facciamo un rapido quadro al fine di verificare quanto la normativa vigente possa tutelare il
lavoratore italiano da forme di molestie, di violenze e da quant’altro possa aggredire e turbare
la sua personalità morale.
– Costituzione: (art.32) la salute è un diritto dell’individuo e della collettività, (art. 41)
1’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o
in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
– Codice Civile (art.2087): sulla tutela delle condizioni di lavoro. Richiama l’imprenditore “…
ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro”. Come a dire che il legislatore, già all’inizio degli anni 40, riconosceva la
complessità dell’uomo, fatto di struttura organica (integrità fisica), ma anche di emozione,
pensiero, sentimento (personalità morale) che l’imprenditore è tenuto ugualmente a tutelare.
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– Codice Penale: prevede sanzioni specifiche in caso di omissione dolosa (art.437) e colposo
(art.451) di cautele contro gli infortuni sul lavoro; inoltre denuncia per “lesioni personali”,
punisce con la reclusione da tre anni a “a chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale,
dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella ‘mente” (art.582) e punisce con l’arresto fino
a sei mesi di reclusione chiunque “reca molestie o disturbo” a qualcuno (art.660).
E siccome il mobbing può causare malattie professionali e quindi costituire reato, può essere
punito dall’art.590 secondo il delitto di lesione personale colposa.
– Statuto de Lavoratori L.300/1970 (art.13): al dipendente non possono essere date mansioni
di livello professionale inferiore a quello d’inquadramento.
– D.Lgs. 626/94 riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul
luogo di lavoro: definisce che il datore di lavoro (art.4 comma 5 lett.c, nell’affidare i compiti
ai lavoratori, deve tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla
loro salute e alla sicurezza.
Per approfondire…
Nei casi di mobbing possono esservi quindi degli importanti risvolti medico-legali e legali
tali per cui è possibile ricorrere, per risarcimento del danno al Tribunale del Lavoro nei
seguenti casi:
– se l’art.2087 CC non è rispettato dal datore di lavoro e
– se si sviluppano malattie della sfera neuropsichica e psicosomatica nelle quali è possibile
stabilire il nesso di causa con le condizioni di mobbing. Presso la Clinica del Lavoro di
Milano (Centro del Disadattamento Lavorativo) sono stati messi o punto protocolli
diagnostici adatti a verificare lo stato di malattia neuropsichica e a porre in evidenza il
fondato sospetto che sia causato dal mobbing stesso.
Come sopra accennato, in questi casi è possibile avanzare richiesta di riconoscimento del
cosiddetto “danno biologico” sancito dalla Corte Costituzionale nel 1986 che lo ha definito
come un danno al “valore uomo” in tutte le sue manifestazioni esistenziali (benessere, salute,
rapporti familiari, sociali, sessuali. etc.).
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6. quali consigli utili dare al mobbizzato
Il lavoratore mobbizzato, provato emotivamente e fisicamente, rischia di commettere passi
falsi che possono compromettere maggiormente il suo benessere.
La prima indicazione da dare è quella di non prendere decisioni irreversibili. Qualunque
decisione, infatti, egli intenda assumere sotto la spinta dell’emozione, si rivelerà in futuro
insoddisfacente. Insomma niente “dimissioni per disperazione” o accettazione di
prepensionamenti forzarti e via dicendo. E’ importante che sia guidato a seguire un certo
comportamento e a prendere alcuni provvedimenti in prima persona per aiutarsi ed agevolare
le azioni di chi lo potrà assistere. Quelli che seguono sono una serie di suggerimenti da
fornire al mobbizzato per affrontare la sua situazione.
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1°: Rafforzare se stessi e documentarsi
Il primo passo che il mobbizzato dovrà fare è raggiungere la consapevolezza della propria
situazione, cioè comprendere che i sentimenti prima descritti sono causati dal mobbing e non
ne sono essi stessi la causa e capire che sarà necessario mettersi in gioco in prima persona e
che gli aiuti esterni (medici, psicologi, avvocati, sindacato) potranno essere dei validi
supporti, ma non potranno sostituirsi all’azione della vittima.
Come comportarsi allora? La scelta migliore è quella di non abbandonare il posto di lavoro,
soprattutto se non si ha ancora una valida alternativa di occupazione, e di reagire agli
attacchi.
E’ utile rispondere ai tentativi di violenza in modo calmo, ma chiaro e deciso e far notare
all’aggressore e ai testimoni che la via intrapresa si identifica con un termine specifico, cioè
mobbing o molestia morale.
2°: Raccogliere informazioni
La vittima a questo punto deve tentare di crearsi una base di elementi che potrebbero servire in futuro come
prove giuridiche.
La raccolta delle informazioni e della documentazione deve essere effettuata su tre argomenti
principali.
a) Mobbing: per combattere contro qualcosa o qualcuno bisogna conoscere il “nemico”.
b) Ambiente di lavoro: serve per comprendere se il mobbing è una strategia perpetrata
dall’azienda per liberarsi di collaboratori “scomodi” o se invece si tratta di un caso
individuale.
Dove cercare informazioni:
– contattare altre persone con o stesso problema o che lo hanno avuto in passato;
– parlare con impiegati anziani o ex-dipendenti;
– valutare la presenza di comportamenti aggressivi o atteggiamenti antisindacali
all’interno dell’azienda
Raccogliere sempre:
– nome della fonte;
– date degli avvenimenti;
– documenti, e-mail, appunti e qualsiasi altro materiale scritto che attesti una
determinata situazione. Anche una mancata risposta ad una domanda fatta per iscritto può
essere una prova della degenerazione dei rapporti.
Facendo però attenzione a:
– rispettare la privacy altrui;
– evitare di chiedere informazioni ad amici o collaboratori stretti del mobber.
c) Informazioni personali
– precedenti scatti di carriera, premi e promozioni;
– riportare le azioni mobbizzanti: prendere nota di tutti gli attacchi con date, luoghi e
nomi delle persone coinvolte o presenti;
– effetti psico-fisici sulla persona;
– relazione temporale azioni-effetti
3°: Cercare alleati
Quando si ha la sensazione di trovarsi in una situazione senza via d’uscita, diventa necessario
cercare aiuti concreti, che a seconda dello stadio in cui ci si trova, possono essere più indicati:
– Sindacato;
– Associazioni;
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– Medico di base, medico competente, psichiatri, psicologi, ecc.;
– Avvocati.
4°: Allontanarsi dal posto di lavoro?
Quando lo stress e la tensione psicologica diventano inaccettabili si è tentati dall’abbandonare
il lavoro per lasciarsi alle spalle una situazione insostenibile. Si può ricorrere ad un
allontanamento provvisorio oppure definitivo, ma in entrambi i casi le scelte vanno valutate
attentamente.
Malattia:
Un periodo di cura e di riposo può essere utile anche perché permette di allentare la tensione
psicologica e fare il punto della situazione con un po’ più di serenità.
Tuttavia un’assenza dal lavoro prolungata può aggravare le persecuzioni e rendere ancora più
tesi i rapporti con l’azienda, un metodo tipico per continuare a molestare il dipendente durante
la malattia, ad esempio, è l’invio eccessivo di visite medico-fiscali a domicilio che possono
ulteriormente esasperare la situazione.
Trasferimento:
In alcuni casi può essere utile richiedere un trasferimento, sempre che la struttura aziendale lo
consenta. A volte questa scelta si dimostra risolutiva perché si elimina l’occasione del
conflitto che può essere alla base del mobbing. Se però il mobbing origina dai vertici stessi
dell’azienda questa soluzione sarà ostacolata proprio per portare il dipendente alle dimissioni.
Dimissioni:
Il fatto di sentirsi con le spalle al muro può portare il mobbizzato a vedere come unica via
d’uscita le dimissioni.
Abbandonare il lavoro è comunque una sconfitta perché ci si ritira lasciando l’aggressore
impunito, è un duro colpo per l’autostima e in più si corre il rischio di non riuscire a trovare
una nuova occupazione in tempi brevi.
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5°: Le vie legali
Quando sono falliti tutti i tentativi possibili di accordo e di soluzione del problema, l’ultima
via che rimane è quella legale. Bisogna essere coscienti però del fatto che intraprendere le vie
legali comporta un notevole dispendio di energie psico-fsiche ed economiche.
Nella scelta del legale bisogna stare attenti ad alcuni punti:
– scegliere un avvocato che abbia già esperienza di casi simili;
– evitare studi collegati in qualche modo con l’azienda o con i datori di
lavoro;
– accertarsi che la stessa persona segua il caso fino in fondo;
– decidere assieme gli obiettivi da raggiungere ed assicurarsi di aver ben chiare le
strategie;
– stabilire una cadenza degli incontri;
– fornire tutto il materiale raccolto in ordine cronologico;
In caso di licenziamento con successivo reintegro in seguito a esito positivo del procedimento
legale è necessario essere consapevoli che spesso le azioni persecutorie subiscono solo una
battuta d’arresto, ma i problemi di fondo permangono e a volte peggiorano.
Qualche indicazione su come comportarsi in queste situazioni:
– continuare a segnalare gli abusi;
– mettere a corrente più gente possibile;
– ercare di rendere pubblica la situazione.
6°: La famiglia e gli amici
Riuscire a parlare razionalmente con i famigliari e gli amici aiuta ad acquisire
consapevolezza e a creare un fronte comune contro l’aggressore. Bisogna però stare attenti a
non cadere nell’errore opposto, cioè quello di scaricare sugli altri tutti i problemi,
concentrandosi sulla situazione con atteggiamento ossessivo. Questa reazione potrebbe
rendere insofferenti le persone che circondano la vittima causando ulteriore solitudine e
conflittualità. E’ utile ricorrere per tempo ad un supporto psicologico, a gruppi di auto-aiuto o
ad un centro specializzato per evitare per quanto possibile che anche la famiglia e la vita
sociale della vittima vengano coinvolti dai conflitti avorativi.
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7. i rischi
Affrontare il tema del mobbing in quanto condizione organizzativa che produce disagio
significa intervenire rispetto a due questioni centrali: la tutela dell’integrità psicofisica del
lavoratore e la tutela della salute intesa non come assenza di malattia, ma come benessere,
fisico, mentale e sociale. Fin dalla metà degli anni 50 è presente nella gestione
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dell’infortunistica italiana, il concetto di “sicurezza integrata”, concetto confermato e diffuso
dal decreto legislativo 626/94, secondo cui la sicurezza è la risultante degli aspetti oggettivi
(eliminazione/riduzione dei rischi, misure di protezione collettiva, dispositivi di protezione
individuale) e soggettivi (l’idoneità psicologica, motivazione al lavoro, identità personale)
della sicurezza stessa.
In accordo a questa modalità di approccio, in grado di cogliere la complessità del sistema
(tecnologia, meccanismi operativi, uomini, ruoli, ecc.), i rischi presenti negli ambienti di
lavoro possono essere divisi in tre categorie:
1. RISCHI PER LA SICUREZZA (di natura infortunistica): strutture, macchine, impianti,
sostanze pericolose, incendio-esplosione
2. RISCHI PER LA SALUTE (di natura igienico-ambientale): agenti fisici, chimici e
biologici
3 RISCHI PER LA SICUREZZA E LA SALUTE (di tipo trasversale): organizzazione del
lavoro, fattori psicologici, fattori ergonomici, condizioni di lavoro difficili
È evidente che il mobbing afferisce al capitolo dei rischi organizzativi, vale a dire quei rischi
che trovano la loro origine nelle scelte organizzative (gestione delle risorse umane,
comunicazione, sistema premiante, ecc.) ed hanno una ricaduta sullo stato di salute e di
benessere dei lavoratori analogamente all’esposizione ad un agente chimico o fisico.
Pur consapevoli delle difficoltà di analisi delle variabili organizzative – sicuramente è più
facile misurare l’intensità della luce o la velocità dell’aria che verificare l’efficacia de sistema
informativo – tuttavia è necessario che la struttura della sicurezza aziendale, dal datore di
lavoro al RSPP, dal medico competente al RLS impari a considerare anche questi tipi di
rischio, sempre più scanditi dal complesso delle innovazioni tecnologiche, ed a prevedere le
misure idonee di prevenzione e d’intervento.
Come già detto il mobbing è una forma di violenza sistematica, tipica degli ambienti di
lavoro, che ha come obiettivo l’espulsione del soggetto dal processo o dal mondo lavorativo.
Si possono avere due diverse forme di mobbing
a. MOBBING VERTICALE (quando implica la gerarchia organizzativa):
1. mobbing strategico: vale a dire quella forma di mobbing che viene usata strategicamente
dalle imprese (prevalentemente private) per promuovere l’allontanamento dal mondo del
lavoro di soggetti in qualche modo scomodi. Può trattarsi di soggetti appartenenti ad una
gestione precedente o assegnati ad un reparto che deve essere dismesso, di soggetti divenuti
troppo costosi (un senior costa di più di due contratti di formazione lavoro) o che non
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corrispondono più alle attese dell’organizzazione.
E’ prassi frequente nelle imprese che hanno subito ristrutturazioni, fusioni, cambiamenti che
abbiano comportato un esubero di personale difficile da licenziare.
2. bossing: è la forma più frequente nella pubblica amministrazione. La strategia
dell’espulsione prende forma nell’intenzione del diretto superiore e in questo caso è mirata
piuttosto ad estromettere il soggetto dal processo lavorativo (sono stati riferiti casi di
mobbing della durata di 20 anni). Il soggetto mobbizzato infatti può rimanere in servizio
anche per tutta la durata della vita lavorativa.
L’obiettivo è quello di isolare la persona che si ritiene rappresenti un pericolo o una
minaccia, bloccargli la carriera, togliergli il potere, renderlo innocuo. Nel bossing la
competenza sociale e le caratteristiche di personalità del mobber e della vittima giocano un
ruolo decisamente importante.
3. down-up: è una forma di mobbing abbastanza rara. Si ha quando un gruppo di collaboratori
si coalizza per estromettere il capo, svuotando dall’interno il suo potere.
5. MOBBING ORIZZONTALE:
è quello praticato tra colleghi, meno frequente in Italia, anche se si cominciano a registrare i
primi dati di cambiamento. Infatti la difficoltà di occupazione, aggiunta alla mancanza di
trasparenza nell’accesso a lavoro e nello sviluppo di carriera, favoriscono una forte
competizione in grado di attivare alti livelli di aggressività e di destrutturare i rapporti
relazionali.
Indici di disagio:
Esistono dei comportamenti ricorrenti che l’RLS può utilizzare come indicatori di probabile
rischio mobbing? Diverbi, litigi, scontri di opinione sono frequenti in qualsiasi relazione,
quindi a maggior ragione nel mondo del lavoro, ma nella maggior parte dei casi i conflitti si
risolvono e abbastanza rapidamente si ristabilisce l’equilibrio. Quando ciò non accade e la
situazione si trascina nel tempo, subentra una modificazione del clima lavorativo in cui
sospetto, tensione, maldicenza diventano predominanti. Questo è il primo segnale che può
essere colto: un cambiamento di clima. Riportiamo qui di seguito alcune tra le azioni
mobbizzanti più significative che l’RLS può verificare, suddividendole in 5 categorie (quelle
indicate da Leymann) che possono rappresentare una guida pratica per l’osservazione.
1. attacchi alla possibilità di comunicare:
a) il capo e/o i colleghi limitano le possibilità di esprimersi della vittima;
b) viene sempre interrotto quando parla;
c) si fanno critiche continue al suo lavoro e alla sua vita privata;
d) gli si rifiuta il contatto con gesti o sguardi scostanti.
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2. attacchi alle relazioni sociali:
a) il soggetto è costantemente isolato, non gli si rivolge la parola;
b) ci si comporta come se non esistesse;
c) viene trasferito in un ufficio lontano dai colleghi.
3. attacchi all’immagine sociale:
a) si sparla alle sue spalle;
b) lo si ridicolizza;
c) lo si sospetta di essere malato di mente;
d) si prende in giro un suo handicap fisico o la sua vita privata;
e) lo si costringe a lavori umilianti.
4. attacchi alla qualità della situazione professionale e privata:
a) non gli si affidano più compiti da svolgere o gli si affidano compiti senza senso;
b) gli si affidano lavori molto al di sotto della sua qualificazione professionale o molto al di
sopra delle sue capacità per indurlo in errore;
c) gli si cambia continuamente mansione lavorativa;
5. attacchi alla salute:
a) lo si costringe a fare lavori che nuocciono alla sua salute;
b) lo si minaccia di violenza fisica;
c) gli si causano danni per svantaggiarlo;
d) gli si fa violenza fisica leggera o più pesante;
f) gli si mettono le mani addosso a scopo sessuale.
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il Rischio MOBBING
8. Mobbing e organizzazione del lavoro
L’obiettivo che ci si pone – oggi rispetto al mobbing, ma in prospettiva rispetto al quadro più
complicato e complesso dei disagi – è intervenire sulle possibili degenerazioni delle relazioni
umane, regolate in generale da fattori di interesse e dal fattore sentimento.
Non v’è dubbio, infatti, che il contesto socio economico che motiva e, in qualche modo,
autorizza il mobbing ha dimensioni a scala generale: esiste una stretta relazione fra le vicende
di un contesto macrosociale e macroeconomico e la situazione in cui si sviluppano le
dinamiche del microcosmo nel quale il mobbing si produce.
Vi sono, infatti, caratteristiche che appartengono al generale e non allo specifico: la
competizione esasperata tipica di quella che viene definita la fase del “turbocapitalismo”, il
trasferimento del sistema di relazioni sociali dal piano dei diritti al piano dei rapporti di forza;
l’individuazione di un modello che concepisce la competizione come la chiave attraverso la
quale costruire qualunque soluzione possibile ad un problema; la selezione delle risorse
umane fatta non più in base al principio della competenza bensì a quel o della forza, che
finisce con il racchiudere in sé la nozione stessa di efficienza, per cui ciò che è forte diviene
per definizione efficiente.
É in un quadro così complesso che il mobbing si fa strumento di selezione, di
allontanamento, di divisione, di frammentazione dell’unità dei lavoratori e delle lavoratrici,
di indebolimento dell’autorevolezza sindacale, forma moderna e degradata dello sfruttamento.
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Quale percorso si dovrà seguire per mettere a punto un sistema di intervento capace di
prevenire il mobbing e non soltanto di costruire forme di intervento “a posteriori”?
In primo luogo, dovranno essere definiti dei percorsi formativi rivolti a chi si occupa della
gestione della prevenzione all’interno delle imprese.
In una realtà come quella del lavoro oggi, nella quale il nuovo si aggiunge al vecchio creando
forti potenzialità di conflitto e di discriminazione, è necessaria la capacità di dialogare con
l’una e l’altra realtà e non solo con una parte di essi, solo in questo modo si creano le
condizioni per una effettiva prevenzione di fenomeni disgreganti quali il mobbing.
In secondo luogo, l’informazione mirata a coinvolgere le istituzioni, gli operatori della
prevenzione, le strutture sindacali e i lavoratori stessi, in quanto l’obiettivo non è quello di
promuovere una generica assistenza o solidarietà, ma da un lato nel riconoscere e nel fare
emergere domande e disagi legati alla vita concreta dei lavoratori ed alle oro difficoltà,
dall’altro nello stimolare la disponibilità di soggetti motivati e culturalmente preparati ad
interpretare la domanda di socialità dei lavoratori.
il Rischio MOBBING
9. le Prospettive
La prima difesa delle vittime del mobbing è resa più facile dalla presa di coscienza
dell’esistenza de fenomeno stesso, delle sue dimensioni e della sua gravità e pericolosità per
la salute ed il benessere dei lavoratori colpiti.
È chiaro che questo è un passaggio obbligato ed importante, del quale tutti dovranno essere
partecipi, i lavoratori, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (aziendali e territoriali), i
rappresentanti sindacali (e comunque le organizzazioni sindacali nel loro complesso), così
come pure la parte datoriale; quest’ultima in particolare sarà chiamata a prendere atto di
come il fenomeno abbia notevoli riflessi negativi sul funzionamento e sulla produttività
dell’azienda.
I casi accertati e quelli per i quali si è avviata denuncia all’INAIL sono in continuo aumento e
sul fronte del risarcimento dei danni, o del riconoscimento degli stessi, alcuni risultati si sono
ottenuti come nel caso di riconoscimento del danno biologico o di ipotesi ancora in via
sperimentale, di “lesione all’integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico-legale,
della persona”, in base all’art. 13 del decreto legislativo n. 38 del 2000, e che dunque potrà
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essere indennizzata dall’INAIL.
L’approccio verso il problema, se ora è legato alla soluzione di emergenze, cioè di casi
conclamati, dovrà diventare sempre più a carattere preventivo, così come già indicato dal
decreto legislativo 626 per le questioni di sicurezza e prevenzione degli infortuni, sulla via di
una garanzia totale di salute e benessere per chi lavora.
L’azione preventiva dovrà essere svolto dalla contrattazione collettiva e dall’introduzione di “codici di buone
prassi” e da accordi specifici aziendali, nei quali siano contenuti delle indicazioni di comportamenti considerati
illegittimi con l’impegno da parte del datore di lavoro ad intervenire sull’organizzazione del lavoro per prevenire
questi comportamenti e informare tutti i dipendenti delle misure concordate per a prevenzione dei
comportamenti identificabili come mobbing e dei provvedimenti disciplinari previsti.
Su un altro versante, quello legislativo, sarà comunque opportuno procedere per arrivare ad
una vera tutela dei lavoratori colpiti da mobbing e dettare norme di prevenzione nei luoghi di
lavoro. Le disposizioni legislative che abbiamo visto nel capitolo 5, “i diritti che lede” sono
strumenti utili anche per affrontare i casi di mobbing, ma presentano dei limiti notevoli non
essendo state pensate per un fenomeno complesso come il mobbing.
Questi provvedimenti legislativi tutelano l’integrità fisica e la personalità morale del
lavoratore, ma contemplano dei casi specifici: ci si trova così di fronte a persecuzioni messe
in atto proprio tenendo conto delle norme poste a tutela dei lavoratori e delle loro limitazioni,
per evitare che le vittime possano farvi ricorso. Inoltre, nei casi di violenza morale esercitata
da colleghi, le norme civili sono inefficaci in quanto pensate proprio per tutelare il soggetto
debole, i singolo lavoratore, dalle prevaricazioni del datore di lavoro o di superiori che
agiscano per canto di quest’ultimo.
Mentre le norme penali possono essere utilizzate solo in casi limite, per fare un esempio,
quando dal pettegolezzo si arriva alla diffamazione, le battute diventano minacce o gli scherzi
si trasformano in episodi di violenza. Emerge chiaramente la necessità di una legge specifica
sul mobbing, che lo definisca e contemporaneamente lo renda oggetto di riprovazione
sociale. Questa legge dovrà fornire gli strumenti sia per prevenire che per reprimere il
fenomeno, consentendo la rimozione degli effetti che hanno provocato il caso di mobbing,
risarcendo gli eventuali danni e condannan-do gli autori.
Sinora, nella XIII legislatura, sono state presentate, nei due rami del Parlamento, proposte di
legge, ma sono tutte ferme in attesa di approvazione.
– Camera: Proposta di Legge n.1813, 9 luglio 1996
Norme per la repressione del terrorismo psicologico nei luoghi di lavoro (Cuicu, Marras e
altri).
– Camera: Proposta di Legge n. 6410, 30 settembre 1999
Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica
(Benvenuto, Ciani, Pistone, Repetto).
– Camera: Proposta di Legge n. 6667, 5 gennaio 2000
Disposizioni per la tutela della persona da violenze morali e persecuzioni psicologiche
(Fiori).
Si deve però registrare agli inizi del 2001 l’approvazione della Commissione Lavoro della
Camera dei deputati di una proposta di legge che unifica le tre presentate in precedenza alla
Camera.
– Senato: Disegno di Legge n. 4265, 13 ottobre 1999
Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell’ambito
dell’attività lavorativa (Tapparo, Battafarano, Smuraglia e altri).
– Senata: Disegno di Legge ne 4313, 2 novembre 1999
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Disposizioni a tutela dei lavoratori e delle lavoratrici dalla violenza psicologica (Athos De
Luca).
– Senato: Disegno di Legge n. 4512, 2 marzo 2000
(Tomassini, Asciutti, Bettamio, Bruni, Costa, De Anna, Germanà, Lauro, Manca, Manfredi,
Piccioni, Porcari, Sella di Monteluce, Terracini, Toniolli, Vegas, Ventucci).
Per approfondire …
Una esperienza significativa a livello europeo è quella riguardante l’emanazione nel 1993
delle “Disposizioni relative alle misure da adottare contro forme di persecuzione psicologica
negli ambienti di lavoro” da parte dell’Ente Nazionale Svedese per la Salute e la Sicurezza,
già dai suoi principi generali individua nel datore di lavoro il soggetto che attraverso la
pianificazione e l’organizzazione del lavoro debba garantire la prevenzione del mobbing a
partire dalla comunicazione ai lavoratori di assoluta intolleranza verso il verificarsi di forme
di persecuzione nello svolgimento dell’attività. Le disposizioni sono particolarmente
interessanti e significative al fine di indirizzare l’esperienza italiana, anche per l’approccio di
metodo: nel corso dell’attività lavorativa ogni azienda dovrà prevedere delle procedure tali da
consentire di individuare i sintomi di condizioni di lavoro persecutorie o di problemi inerenti
all’organizzazione del lavoro; nel caso dovessero comunque verificarsi dovranno essere
immediatamente adottate ed applicate delle contromisure ed i lavoratori che abbiano subito
atti di persecuzione dovranno ricevere aiuto e sostegno attraverso procedure speciali messe in
atto dal datore di lavoro.
mobbing è vergognoso questo comportamento che hanno alcuni datori di lavoro/lavoratori nei confronti dei propri dipendenti/colleghi. anche io poichè sono iscritto al sindacato e denunzio in azienda la mancanza di igiene,sicurezza sono vittima di mobbing. sono minacciato,isolato,discriminato nelle mansioni, nei premi di produzione dal datore di lavoro e da alcuni colleghi. è una situazione complessa dalla quale è difficile uscirne poichè non c’è nessuno tra i colleghi che ha il coraggio di schierarsi contro il datore di lavoro e in favore del collega in difficoltà.