Il Tar multa il sindaco anti slot-machine
I ragazzini bigiano la scuola per giocare alle slot-machine fino a diventare schiavi della droga del gioco? Non è un problema sanitario ma di ordine pubblico. Quindi il sindaco stia alla larga e non danneggi le società-casinò. Lo dice una sentenza del Tar contro il Comune di Verbania. Chiamato a pagare quasi un milione e mezzo di euro sulla base di una legge vecchia come il cucco del 1931.
Da oltre sessant’anni Fëdor Dostoevskij aveva raccontato ne «Il giocatore» come la febbre del gioco possa essere una malattia rovinosa. Ma certo mancava del tutto, a quei tempi, la consapevolezza attuale della gravità esplosiva del problema. Anche perché negli ultimi anni, ricordiamolo, la situazione è precipitata. A causa della scelta oscena dello «Stato biscazziere», dal 2000 a oggi siamo passati infatti da 4 a 76 miliardi di euro giocati legalmente, più almeno un’altra decina nel circuito illegale. Una catastrofe per decine di migliaia di famiglie. Con una spesa annuale, dalle slot machine ai casinò online sui quali lo Stato pilucca vergognosamente lo 0,14%, di 1.260 euro pro capite.
Davanti alla deflagrazione del problema, il 30 maggio 2005, quando i soldi buttati nel gioco erano quintuplicati rispetto ai cinque anni prima, la giunta comunale di Verbania, allora di centrosinistra e guidata da Claudio Zanotti, giustamente convinto di avere la responsabilità della salute dei cittadini, decise dunque di mettere un argine sugli orari. Così da scoraggiare almeno la tentazione di tanti scolari di bigiare la scuola per andare a giocare alle macchinette. E fece un’ordinanza stabilendo che queste potessero essere in funzione soltanto dalle 3 del pomeriggio alle 10 di sera. Una scelta condivisa anche dall’opposizione che governa oggi la città con il sindaco Marco Zacchera: «Verbania ha 31.500 abitanti e la sola società Euromatic (poi ci sono le ditte concorrenti!) gestiva all’instaurarsi della causa (oggi sono perfino di più) ben 402 apparecchi. Non so se mi spiego: uno ogni 78 abitanti. Altro che Las Vegas!».
Quale sia il risultato di 15 sale gioco più centinaia di macchinette sparse per i bar lo racconta Aurora Martini, responsabile dei servizi sociali del Comune: «Il problema è enorme. Donne della piccolissima borghesia che col gratta e vinci si sono rovinate arrivando a rubare i soldi al marito e ai figli. Pensionati che si fanno fuori la pensione e i risparmi. Vecchi assediati dall’usura che non escono più di casa e muoiono in modo “strano” dopo avere mostrato un tale terrore da non aprire la porta neppure ai ragazzi del centro sociale che portavano loro il pasto caldo. Gente che smette di pagare l’affitto e non viene buttata in strada solo perché abita in case pubbliche e gli enti, sbagliando, fanno finta di non vedere».
Ma che importa, a chi su quelle macchinette fa business? Ed ecco che la società Euromatic e un bar a essa collegato hanno fatto ricorso al Tar di Torino. Il quale, senza neppure porsi il problema che il Codice Rocco sia incartapecorito rispetto ai tempi d’oggi, alle emergenze sopravvenute, alla decisione dell’Oms di considerare quella del gioco una patologia individuale e sociale, invece di sollevare il tema davanti alla Corte costituzionale, ha preso la legge di ottant’anni fa che vedeva la questione delle bische e del gioco come un problema esclusivamente di ordine pubblico, e l’ha applicata così com’è. Una scelta paragonabile a quella di entrare in Facebook con penna d’oca e calamaio.
Ed ecco il verdetto: «Mediante la previsione di un orario di “disattivazione” degli apparecchi da gioco il Comune si è arrogato una potestà normativa che non trova sostegno in alcuna disposizione legislativa…». Infatti, stando anche alla sentenza 237 della Suprema corte del 2006, «i profili relativi all’installazione degli apparecchi e congegni automatici da trattenimento o da gioco presso esercizi aperti al pubblico, sale giochi e circoli privati» disciplinati dal regio decreto del 1931 «afferiscono alla materia “ordine pubblico e sicurezza”» di «competenza esclusiva dello Stato».
Del tutto indifferente ai drammi delle patologie, la sentenza prosegue ribadendo quindi che «si tratta di una materia che si riferisce alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico». Di conseguenza, con quella ordinanza fatta senza alcuna «copertura» legislativa, il Comune ha inciso «negativamente su situazioni soggettive dei privati connesse alla libertà di iniziativa economica». E non si permettesse di rivendicare il diritto di fissare gli orari degli esercizi pubblici perché può farlo «unicamente “al fine di armonizzare l’espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti” e non anche per finalità inerenti alla sicurezza pubblica».
Una posizione, sia chiaro, formalmente ineccepibile. Tanto che gli avvocati del Comune hanno consigliato a Zacchera di non fare neppure ricorso al Consiglio di Stato: sarebbero soldi buttati. La legge è platealmente inadeguata ma finché non viene scaraventata nel cestino è legge. A quel punto la Euromatic, passata in giudicato la sentenza, ha chiesto «il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall’attuazione di tale regolamento per via delle illegittime, quanto gravose, limitazioni dal medesimo recate all’orario di attivazione degli apparecchi da gioco».
Il tocco finale è così peloso da essere irresistibile: «La società comunica che una parte dei proventi che saranno liquidati in suo favore all’esito del giudizio instaurato dinanzi al Tar saranno devoluti a un’associazione locale contro il gioco patologico e problematico». Troppa grazia, signori biscazzieri… Troppa grazia..