Illegittimo il licenziamento del lavoratore che si ribella per tutelare la salute sul posto di lavoro
Il lavoratore ha il dovere giuridico (oltreché morale) di pretendere la tutela della propria salute sul posto di lavoro senza perciò temere che l’esercizio di tale diritto gli possa compromettere il posto di lavoro.
Lo ha stabilito il giudice del lavoro Stefania Izzi del Tribunale di Vasto (Chieti) lo scorso 20 settembre, che ha annullato il licenziamento
intimato ai danni di un operaio della Pilkington: il lavoratore si era
lamentato, in modo fermo e deciso, nei confronti del proprio datore di
lavoro, per il mancato rispetto della normativa sulla sicurezza e sulla
salute nel luogo di lavoro, a causa della presenza di amianto.
Tale comportamento, visto come atto di insubordinazione nei confronti
dell’azienda, era stato sanzionato con il definitivo allontanamento dal
posto di lavoro.
L’ordinanza ha senza dubbio segnato un ulteriore passo significativo
sul piano della difesa del diritto alla salute: il rispetto nei
confronti del diritto alla salute ha vinto anche contro una
multinazionale come la Pilkington, da anni produttrice di vetro nel territorio italiano.
Negli scorsi mesi, sia grazie all’iniziativa dell’O.N.A.
(Osservatorio Nazionale Amianto) che a quella dei Cobas, si erano
registrate numerose manifestazioni di protesta contro il licenziamento
dell’operaio, che già in passato (in qualità di dirigente sindacale)
aveva più volte “combattuto” per il rispetto della salute e della
sicurezza sul lavoro.
Stando al precedente qui commentato, il datore di lavoro che non
rispetti il diritto alla salute nel luogo di lavoro non può licenziare
il lavoratore che contesti tale stato di cose, sia pure in modo acceso;
l’eventuale licenziamento pertanto è nullo.