Impedimento per altro impegno: la mancata nomina del sostituto va motivata Cassazione penale , sez. II, sentenza 30.11.2009 n° 45837
CASSAZIONE PENALE
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II PENALE
Sentenza 12-30 novembre 2009, n. 45837
Svolgimento del processo
La
Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 3.12 2007, confermava
la sentenza del Tribunale di Alessandria del 5/2/2007, appellata da
B.B., dichiarato responsabile di concorso, con A.T., nel reato di
truffa (per aver effettuato, con artifizi e raggiri, opera di
convincimento nei confronti di M. E., adducendo la necessità di
stipulare un improrogabile acquisto immobiliare, facendosi consegnare
dall’anziana donna la somma di Euro 18.000 in contanti) e condannato,
concesse le attenuanti generiche ed esclusa la contestata recidiva,
alla pena di anni uno di reclusione e Euro 200 di multa, disponendo la
sospensione dell’esecuzione della pena per anni cinque. il difensore
dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione deducendo i seguenti
motivi:
a) mancata declaratoria di improcedibilità, ex
art. 129 c.p.p., in quanto la querela è carente della specifica istanza
punitiva che deve connotarla;
b) mancato riconoscimento
dell’imputato, erronea valutazione della prova e illogicità della
motivazione in ordine all’avvenuto riconoscimento dell’imputato dopo un
anno, avendo la parte offesa visto lo stesso ripreso televisivamente da
un’emittente regionale e ritratto su un quotidiano locale quale
responsabile di un fatto simile;
c) mancato
riconoscimento del legittimo impedimento del difensore, inosservanza di
norme processuali a nullità della sentenza, essendo il difensore
impegnato, nella medesima data di celebrazione del processo in appello,
presso il Tribunale di Roma in altro processo.
Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
1)
In ordine logico va esaminato il terzo motivo di ricorso relativo al
mancato riconoscimento del legittimo impedimento del difensore a
presenziare all’udienza davanti alla Corte di appello di Torino,
essendo contestualmente impegnato in altro giudizio davanti al
Tribunale di Roma. La Corte di Appello di Torino ha correttamente e
legittimamente motivato per quale motivo non ha ritenuto legittimo
l’impedimento dell’avvocato a presenziare all’udienza, per un
concomitante impegno professionale, rilevando come il difensore non
avesse prontamente comunicato il legittimo impedimento e non avendo
giustificato le ragioni che rendevano essenziale la partecipazione ad
uno degli altri impegni professionali.
A fronte di
quanto sopra il ricorrente contrappone solo contestazioni, che non
tengono conto delle argomentazioni del Corte di appello.
Questa
Corte ha costantemente affermato che in tema d’impedimento del
difensore per concomitanza di altro impegno professionale, questi ha
l’onere di prospettare, in modo tempestivo e motivato, le ragioni che
gli impediscono di presenziare, nonchè di fornire specifica ragione
della impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102
c.p.p., sia nel processo a cui intende partecipare, sia in quelli di
cui chiede il rinvio; da parte sua il giudice deve valutare
accuratamente le deduzioni documentate, bilanciando le esigenze di
difesa dell’imputato con quelle dell’amministrazione della giustizia,
accertando che l’impedimento non sia funzionale a manovre dilatorie (V.
Cass. Sez. 6 sent. n. 49540 del 1.10.2003 dep. 31.12.2003 rv 227824).
Nel caso di specie il difensore non ha motivato le ragioni che gli impedivano di nominare un sostituto.
In
proposito questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso
dal Collegio, che è inammissibile il ricorso per Cassazione quando
manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate
dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di
impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art.
591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (Si veda
fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 –
rv 230634).
2) Anche il secondo motivo è manifestamente
infondato. La Corte territoriale, con valutazione logica, ha rilevato
che, ferma restando che l’espressione dell’intento di chiedere la
punizione degli autori del reato non ha bisogno di formule sacramentale
e può persino essere implicita (cfr Sez. 5, Sentenza n. 10543 del
24/01/2001 Ud. (dep. 15/03/2001), nel caso in esame il riferimento
all’intenzione di presentare per i fatti narrati un formale atto di
querela era addirittura esplicitato. Tale valutazione, non essendo nè
incongrua illogica, facendo riferimento a una valutazione di merito non
può essere censurata davanti a questa Suprema Corte.
3) Anche il terzo motivo segue le sorti dei precedenti.
La
Corte territoriale ha desunto la certezza dell’individuazione del
prevenuto dal riconoscimento fotografico effettuato dalla parte offesa
presso la caserma dei Carabinieri, riconoscendo la foto del prevenuto
all’interno di un album fotografico ed esprimendosi in termini di
certezza.
Peraltro la vittima ha riferito di essere
stato in compagnia dei personaggi che la raggirarono per circa due ore
e, dunque, ha visto bene l’autore del reato.
La Corte di
merito, inoltre, ha anche puntualizzato che la certezza del
riconoscimento non può essere inficiata dall’esito negativo di una
prima individuazione tentata nell’immediatezza del delitto:
invero
non vi è alcuna prova che in quella prima occasione tra le fotografie
sottoposte alla vittima vi sia stata quella dell’odierno imputato.
Per
consolidata giurisprudenza di questa Corte, (Sez. 4, sent. n. 5191 del
29.3.2000 dep. 3.5.2000 rv 216473) “E’ inammissibile il ricorso per
Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già
discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli
stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del
motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità,
come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di
aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett.
c), all’inammissibilità”, (cfr anche Sez. 1, sent. n. 39598 del
30.9.2004 dep. 11.10.2004 rv 230634).
Ai sensi dell’art.
616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso,
l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle
spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore
della Cassa delle ammende della somma di Euro Mille, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro Mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2009.
Il difensore, in caso di impedimento del
difensore per la concomitanza di altro impegno professionale, ha
l’onere non solo di comunicare ciò al giudice ma di indicare i motivi
per i quali non intende avvalersi di un sostituto.
E’ quanto
ribadito dalla Cassazione, sez. II penale, con la sentenza 12-30
novembre 2009, n. 45837, riprendendo un costante e consolidato
orientamento giurisprudenziale.
Sul punto, la Suprema Corte ha
precisato che, in tema di impedimento del difensore (art. 420 ter,
comma quinto, cod. proc. pen.), l’onere di fornire specifica ragione
dell’impossibilità di nominare un sostituto, ex art. 102 cod. proc.
pen. – che ricade sul difensore qualora questi deduca impedimento per
la concomitanza di altro impegno professionale – non sussiste quando
l’impedimento dedotto sia costituito da un sopravvenuto e grave lutto
familiare (ad esempio decesso del coniuge Cass. pen., Sez. V, 20
settembre 2006, n. 35011), comunicato al giudice e debitamente
documentato.
Da ciò si ricava che la concomitanza dell’impegno
professionale può essere difatti riconosciuto quale legittimo
impedimento del difensore soltanto quando questi dimostri le ragioni
che rendono indispensabile l’espletamento delle funzioni difensive
nell’altro procedimento: e tali ragioni debbono essere correlate alla
particolarità dell’attività da presenziare, alla mancanza od assenza di
un altro codifensore ed all’impossibilità di avvalersi di un sostituto
– ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. – sia nel procedimento al
quale il difensore intende partecipare, sia in quello del quale si
chiede il rinvio per assoluta impossibilità a comparire (Cass. pen.,
Sez. VI, 18 novembre 2003, n. 48530; Cass. pen., Sez. V, 14 febbraio
2007, n. 8129).
E’ ovvio, però, che è sottratto al sindacato di
legittimità il provvedimento con cui il giudice di merito rigetta
l’istanza di rinvio del dibattimento sulla base di una motivazione
immune da vizi logici e giuridici con la quale si dà ragione del fatto
che l’impedimento dedotto non riveste i caratteri di assolutezza
richiesti dalla legge; nè il giudice ha l’obbligo di disporre
accertamenti fiscali per verificare l’impedimento o integrare
l’insufficiente documentazione prodotta (Cass. pen., Sez. V, 20
settembre 2005, n. 35170).