Indennizzo “legge 210″: non spetta a chi ha subito un danno di minima entità
Indennizzo di cui alla legge 210/92, nell’ipotesi di epatite post-trasfusionale è dovuto soltanto allorché la lesione subita dal trasfuso raggiunga una soglia minima di gravità pari alla categoria più bassa riportata dalla tabella A allegata al Dpr 834/81.
Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, infatti, l’articolo 1, comma 3, della legge 210/92, letto unitamente al successivo articolo 4, comma 4, deve interpretarsi nel senso che prevede un indennizzo in favore di coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali sempre che tali danni possano inquadrarsi, pur alla stregua di un mero canone di equivalenza, e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare, nell’ambito delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella A annessa al testo unico sulle pensioni di guerra approvato con Dpr 23 dicembre 1978 n. 915, come sostituita dalla tabella A allegata al Dpr 30 dicembre 1981 n. 834.
Rientra, infatti, nella discrezionalità del legislatore, compatibile con il principio di solidarietà (articolo 2 della Costituzione) e con il diritto a misure di assistenza sociale (articolo 38 della Costituzione), la previsione di una soglia minima di indennizzabilità del danno permanente alla salute nel caso di trattamenti sanitari non prescritti dalla legge o da provvedimento dell’autorità sanitaria.
Sembrerebbe, quindi, che il suesposto limite non possa trovare applicazione con riferimento ai trattamenti obbligatori per legge e, quindi, per esempio, all’indennizzo per lesioni derivanti da vaccinazioni obbligatorie. In tal caso, infatti, “la discrezionalità del legislatore ordinario è limitata in riferimento sia all’an che al quantum” imponendo che un “ristoro” sia sempre previsto in caso di danno permanente alla salute e che esso sia quantificato in misura tale da potersi qualificare “equo”.
In caso di lesioni post-trasfusionali, comunque, il mancato, attuale, superamento della soglia minima indennizzabile, tuttavia, non preclude al soggetto di chiedere l’indennizzo nel futuro, allorché tale limite minimo venga superato.
A tal fine la Corte ha stabilito che il trasfuso potrà godere anche di un più mite regime decadenziale giacché “… il termine di decadenza di tre (e dieci) anni, di cui all’articolo 3, comma 1, si sposta in avanti nel senso che comincia da decorrere dal momento della consapevolezza, da parte di chi chiede l’indennizzo, del superamento della soglia”.