Informativa contenzioso bancario. Lettera aperta alle vittime del sistema bancario
Come è
ben noto ai tutti gli operatori del settore, gli istituti di credito,
approfittando di una posizione contrattuale forte a cui spesso corrisponde lo
stato di bisogno delle società correntiste, gestiscono i rapporti bancari
tenendo un comportamento contra legem,
confortato il più delle volte da una generale impunità; sono molti, infatti, i
comportamenti delle Banche che violano le norme poste a presidio del cliente
(il cd. contraente debole), richiamandosi a presunti usi normativi che – ad una
più accurata analisi – si rivelano semplicemente imposizioni unilaterali di
clausole fortemente dannose per l’utente bancario, spesso inconsapevole.
La giurisprudenza mostra una sempre maggiore attenzione per questi casi e per
la necessaria tutela che spetta ai clienti delle banche, imprenditori e
consumatori che siano.
A tale
proposito, una premessa è d’obbligo: il
comportamento che una banca tiene nei confronti di un proprio correntista, cui
ha “concesso” una linea di credito o un’anticipazione di
crediti (il classico esempio è quello della anticipazione su fatture) è, il più
delle volte, legalmente attaccabile. Sono molti, difatti, i profili di
illegittimità in cui incorrono gli istituti di credito, andando così a
fomentare una prassi di illegalità che sicuramente non li rende immuni da
responsabilità per la difficile situazione economica che sta attraversando il
nostro paese. Chiaramente, ogni rapporto bancario ha una sua storia e
peculiarità. È sempre consigliabile, pertanto, richiedere una consulenza ad hoc, che permetta ad un legale
l’esame della documentazione in proprio possesso (scritture contrattuali
ed estratti conto) per verificare in concreto le probabilità di intraprendere
con successo un’azione di recupero delle somme illegittimamente versate
per anni alle banche da clienti inconsapevolmente danneggiati. Vi sono, in ogni
caso, profili di illegittimità che ricorrono con una
frequenza maggiore di altri: appare opportuno, pertanto, riportare brevemente
alcuni aspetti di tali questioni che abbiamo trattato con successo nella nostra
attività forense:
1) ANATOCISMO
Tra le pratiche illegittime
ascrivibili agli Istituti di Credito vi è la capitalizzazione trimestrale degli
interessi passivi, nell’ambito del fenomeno regolato dall’art. 1283
del c.c., il cd. anatocismo.
Infatti, in passato le Banche
imputavano gli interessi al capitale sui saldi di conto corrente passivi per il
cliente ogni tre mesi, considerando tale pratica un uso normativo ed in quanto
tale pienamente legittimo.
Ciò avveniva automaticamente, in
quanto la clausola anatocistica nei contratti di
conto-corrente era compresa nei moduli predisposti dagli istituti di credito,
in conformità con le indicazioni delle associazioni di categoria. Tale clausola
diveniva così insuscettibile di negoziazione individuale e la sua
sottoscrizione costituiva presupposto indefettibile per accedere ai servizi
bancari.
Numerosi interventi giurisprudenziali,
a partire dal 1999, hanno sancito
l’illegittimità di tale pratica, escludendo che la clausola anatocistica potesse rientrare negli usi normativi e
ribadendone la natura negoziale. Da ciò consegue la nullità delle clausole
relative alla capitalizzazione trimestrale degli interessi per violazione
dell’art. 1283, con conseguente obbligo di restituzione ai clienti delle
cifre illegittimamente lucrate dalle banche. Un intervento legislativo del
luglio 2000 ha
poi tentato di “sanare” la pratiche anatocistiche, legalizzandole a condizione che fossero
pattuite per iscritto e che venisse rispettato il cd. principio di
“reciprocità”. In pratica, però, ancora oggi un rapporto sorto
prima del febbraio 2000 è contrassegnato il più delle volte dalla illegittimità
dell’anatocismo operato dalle banche, anche per gli anni successivi, in
quanto quasi mai gli istituti di credito si sono preoccupati di pattuire per
iscritto con i clienti la capitalizzazione trimestrale delle competenze. Per
quanto riguarda i rapporti sorti dopo il 2000, una parte della giurisprudenza
ha dato ragione a quei clienti che contestavano l’illegalità della
capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori effettuata dalle banche
in virtù della violazione del cd. principio di reciprocità, in quanto le stesse
banche prevedevano sì la capitalizzazione trimestrale anche degli interessi
creditori, ma nel determinare questi ultimi nell’ordine dei decimali (ad
es. 0,01%) annullavano qualunque effetto favorevole per il cliente di tale
capitalizzazione.
2) COMMISSIONE
MASSIMO SCOPERTO E SPESE
In merito ai contratti di apertura
di credito, è prassi degli istituti di credito imputare al saldo passivo del
cliente la commissione massimo scoperto (cms), in
genere ogni tre mesi. Si è storicamente sostenuto che la c.m.s.
ha carattere corrispettivo dell’obbligo della banca di tenere a
disposizione del cliente una determinata somma per un tempo determinato, a
prescindere dall’utilizzo o meno della stessa da parte del cliente. Essa
andrebbe così calcolata o sull’intera somma messa a disposizione della
banca oppure sulla somma restante rimasta disponibile e non utilizzata dal
cliente. Per esempio, se la Banca mettesse a disposizione 5000 ed il cliente utilizzasse 4000, la cms
andrebbe calcolata su 1000. Invece, le Banche hanno calcolato per anni la cms non sulla somma affidata o rimasta disponibile, ma al
contrario sulla somma massima utilizzata nel periodo (solitamente il trimestre)
e per tutti i giorni di riferimento. Nell’esempio precedente, la cms verrebbe calcolata su 4000 e
non, come sarebbe corretto, su 1000, con relativo aggravio a carico del
cliente. Da ciò consegue che il comportamento della Banca in relazione al
conteggio della cms è in contraddizione con il
carattere della stessa, che ne giustifica l’apposizione nei contratti di
apertura di credito. Per questo motivo, sempre più frequente giurisprudenza di
merito ritiene le commissioni massimo scoperto nulle per mancanza di causa,
poiché tale commissione costituisce una voce di addebito che si sostanzia in un
ulteriore e non pattuito aggravio di interessi debitori rispetto a quelli
convenzionalmente pattuiti per l’utilizzazione dell’apertura di
credito.
Va sempre ricordato che sia per le
commissioni massimo scoperto che per le spese dei conti correnti e dei conti
anticipo (spese fisse, chiusura trimestrale, tenuta conto,
per operazioni) devono sussistere precise previsioni contrattuali, che
permettano al cliente di comprenderne non solo la quantificazione, ma anche i
criteri utilizzati dalla banca per il calcolo delle stesse; la mancanza di tali
pattuizioni – che devono essere rigorosamente per iscritto – implica la
inapplicabilità delle commissioni massimo scoperto, non essendoci statuizioni
contrattuali che le regolano.
Di
fronte alle ripetute pronunce giurisprudenziali di condanna delle banche alla
restituzione ai correntisti di quanto trattenuto a titolo di cms, vi è stato un intervento legislativo nel gennaio del
2009, che ha ritenuto valida quella commissione in relazione agli sconfinamenti
assistiti da fido e di durata superiore a trenta giorni. Le banche hanno
risposto a tale chiarificazione del legislatore – che comunque non sana
l’illegittimità delle cms per il periodo
precedente – innalzando i costi per i correntisti, comportamento censurato
dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato con nota del
29.12.2009, nota che avvalora ancora di più le probabilità di successo, oggi
come ieri, del correntista che richieda la restituzione di quanto versato a
titolo di cms.
3) GIORNI DI VALUTA
Spesso le Banche, nei rapporti di
conto-corrente, calcolano i giorni di valuta in relazione alla propria
convenienza, comportamento che, ravvisabile negli estratti conto, danneggia
significativamente la posizione della società cliente. Infatti, la valuta
applicata permette agli istituti di credito di posticipare o/e anticipare –
secondo al propria convenienza – le date su cui
calcolare gli interessi passivi ed attivi in relazione agli assegni negoziati, girofondi , bonifici, ecc., e ad ogni altra operazione che
non sia “immediata” ( come ad es.
versamento e prelevamento in contanti). Tale metodologia di calcolo influenza
in maniera significativa nel arco temporale il
rapporto di calcolo degli interessi sia attivi che passivi in relazione alle
operazioni predette; infatti la Banca, così facendo, può aggiungere dei giorni
di valuta alla data dei versamenti e sottrarne rispetto alle operazioni di
addebito. È evidente che tali operazioni debbano essere concordemente pattuite,
cosa che raramente avviene. Di conseguenza, quando non sussiste alcuna
pattuizione in merito, va richiesto il ricalcolo
del saldo di conto corrente, il quale dovrebbe essere fatto tenendo conto della
data effettiva in cui la banca acquista e/o perde la disponibilità
dell’importo relativo all’operazione effettuata. Da ciò
si deduce che la mancata previsione in contratto della determinazione della
valuta comporta che, nel rapporto dare-avere operante tra le parti, si debba
tenere conto solo della valuta effettiva (che fa riferimento alla data del
giorno in cui la banca acquista o perde la disponibilità giuridica delle somme
versate o prelevate) e non di quella bancaria (che risulta dall’aggiunta
o dalla sottrazione di un certo numero di giorni banca alla valuta effettiva). Infatti la banca, che è la parte forte nel rapporto di conto corrente, può facilmente, tramite tali
operazioni, determinare un aumento artificioso del tasso annuo effettivo
praticato nel rapporto di conto corrente, come evidenziato da numerose pronunce
giurisprudenziali. Di qui la necessità di computare le operazioni di accredito
effettivo delle valute dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la
disponibilità dei correlativi importi.
4) TASSI DI
INTERESSI ULTRALEGALI
Come è ben noto, nel corso dei
rapporti con il cliente la banca applica “esosi” tassi di interesse e
commissioni, notevolmente superiori a quelli dovuti e comunque correnti su
piazza. Conseguentemente è possibile contestare le somme indicate come
“competenze” che appaiano riportate sugli estratti dei conti
correnti, in quanto gli interessi debitori non sono pattuiti specificamente per iscritto
e perché è nulla la eventuale convenzione di determinazione degli interessi
alle condizioni praticate su piazza; conseguentemente il saldo debitore deve
essere rideterminato applicando il tasso legale sino all’08/07/92 ed il
tasso nominale minimo dei B.O.T. annuali dall’08/07/92 ai sensi
dell’art .5 della L. 154/92 e dell’art. 117 comma 7, letta del D.LGS n. 385/93 (cd. T.U. di leggi in materia bancaria e
creditizia).
5) LEGGE
ANTI-USURA
Con la legge 108/1996 (legge
antiusura) è stato fissato il tasso massimo cui deve far riferimento la
pattuizione di interessi in relazione ai contratti bancari (mutuo, apertura di
credito, anticipazione bancaria, ecc.). Oltre tale tasso, che varia in
relazione alle singole operazioni e si ricava dagli indici previsti trimestralmente
con Decreto del Ministero del Tesoro, gli interessi sono usurari e la clausola
con la quale si pattuiscono è nulla, con conseguente obbligo della banca di
restituzione di quanto percepito a titolo illegittimo. Ai fini della
valutazione del superamento del tasso soglia antiusura si deve tener conto di
tutti gli addebiti effettuati dalla banca, compresi quelli a titolo di c.m.s., spese ed ogni altro
accessorio. È prassi censurabile, pertanto, quella degli istituti di credito, i
quali – ai fini della valutazione del tasso soglia anti–usura
– considerano esclusivamente il tasso
d’interesse convenzionale; la giurisprudenza più attenta, anche di
merito, ha ritenuto, invece, che ai fini del superamento del tasso soglia
anti-usura, debba tenersi conto di tutti
gli indici di cui sopra (quindi le c.m.s., le spese e
l’incidenza della capitalizzazione trimestrale degli interessi) in quanto
l’addebito di tali voci determina un aumento del costo effettivo annuo
del denaro di un ulteriore trentacinque per cento. Conseguentemente i tassi, in
base ai rilievi formulati, sono quasi sempre usurari; il cliente può
legittimamente e con enormi probabilità di vittoria ricorrere all’Autorità
giudiziaria per far accertare la nullità della clausola che prevede la
corresponsione degli interessi ed il proprio diritto, ai sensi della legge
indicata, alla restituzione di tutti gli interessi versati.
***
In conclusione:
nelle ipotesi prospettate, un’eventuale azione di rendiconto proposto nei
confronti di un istituto di credito avrebbe certamente esiti favorevoli di
accoglimento; la somma riconosciuta potrebbe assumere un’entità rilevante
qualora non venisse prodotto da parte
dell’istituto di credito il contratto di c/c; si verifica frequentemente,
infatti, che – a seguito delle fusioni tra istituti di credito- non vengano
rinvenute valide scritture contrattuali, oppure si rinvengano scritture firmate
da una sola delle parti e come tali invalide. Tale circostanza determinerebbe
l’accoglimento di tutte le tesi prospettate con la presente nota.
Restiamo
a disposizione per qualunque chiarimento.
L’occasione
ci è gradita per porgere i nostri più cordiali saluti.
Napoli,
26/01/2009
Angelo Pisani, Presidente Nazionale dell’associazione Noiconsumatori.it