Ingiustificata la sanzione disciplinare se il lavoratore rispetta i limiti del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7471 del 14 maggio 2012, ha
ribadito che “in tema di esercizio del diritto di critica da parte del
lavoratore nei confronti del datore di lavoro, è necessario che il
prestatore non travalichi, con dolo o colpa grave, la soglia del
rispetto della verità oggettiva con modalità e termini tali da ledere
gratuitamente il decoro del datore di lavoro o del proprio superiore
gerarchico e determinare un pregiudizio per l’impresa. Il relativo
accertamento costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di
legittimità se correttamente e congruamente motivato.”.
Nel caso di specie, la Corte di merito aveva rilevato che l’esercizio
del potere disciplinare (che aveva comportato due sospensioni dal
lavoro, rispettivamente di tre e di cinque giorni), era stato del tutto
ingiustificato perché il lavoratore, nell’aver segnalato – nella qualità
di R.S.A. – al presidente della società datrice di lavoro una serie di
irregolarità relative agli appalti di manutenzione, non aveva violato i
limiti circa il rispetto della verità oggettiva, né aveva adottato
modalità e termini tali da offendere l’onore, la reputazione e il decoro
dell’impresa.
La Suprema Corte ha precisato che le valutazioni delle risultanze
probatorie operate dal Giudice di appello, in ordine alle sanzioni
disciplinari irrogate, sono congruamente motivate e l’iter logico –
argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non
presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile
contraddizione essendosi attenuta la Corte territoriale ai consolidati e
condivisi orientamenti di questa Corte tra i quali anche quello secondo
cui “l’esercizio da parte del lavoratore, anche se investito della
carica di rappresentante sindacale, del diritto di critica, anche aspra,
nei confronti del datore di lavoro sebbene sia garantito dagli artt.
21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale imposti
dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita (art. 2 Cost.), di
tutela della persona umana; ne consegue che, ove tali limiti siano
superati con l’attribuzione all’impresa datoriale o a suoi dirigenti di
qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non
provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente
sanzionato in via disciplinare.”.
I Giudici di legittimità osservano inoltre che anche il lavoratore che
sia rappresentante sindacale se, per effetto di un comportamento
scorretto e/o ostruzionistico del datore di lavoro, lamenti di avere
subito un danno non patrimoniale, “deve allegare e provare la concreta
lesione patita in termini di violazione dell’integrità psico-fisica
ovvero di nocumento delle generali condizioni di vita personali e
sociali, in quanto il generico riferimento alla frustrazione personale e
al discredito nell’ambiente di lavoro conseguenti alla suddetta
condotta, in realtà si risolve nell’affermazione di un danno in re ipsa,
situazione che non è mai configurabile neppure ove si lamenti la
lesione di diritti inviolabili.”.