Integra il reato di truffa l’aver assunto lavoratori collocati in mobilità nel semestre precedente omettendo l’esistenza di rapporti di collegamento fra le società
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15955 del 26 aprile 2012, ha affermato che ricorrono tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen. qualora il legale rappresentante di una società abbia ottenuto il riconoscimento dei benefici contributivi di cui agli artt. 8, comma 2, e 25, comma 9, della legge n. 223 del 1991, consistenti nella limitazione della contribuzione a carico del datore di lavoro in misura pan a quella prevista per gli apprendisti, omettendo di indicare che i dipendenti ai quali la richiesta si riferiva nei sei mesi precedenti erano stati collocati in mobilità da parte di imprese dello stesso settore di attività e che, al momento del licenziamento, presentavano assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con l’impresa assuntrice e risultavano con essa in rapporto di collegamento o controllo. Nello specifico l’impresa aveva attestato falsamente la non ricorrenza delle condizioni ostative di cui all’art. 8, comma 4-bis, legge n. 223 del 1991, cioè l’esistenza di rapporti di collegamento fra le società che avevano posto in mobilità i lavoratori e quelle interessate alla nuova assunzione dei medesimi. La mancata comunicazione del collegamento tra le imprese aveva favorito una errata rappresentazione dei presupposti da parte dell’ente cui i contributi dovevano essere erogati, dandosi così luogo a un’artificiosa creazione e rappresentazione di una situazione di fatto in grado di legittimare, per effetto di una vera e propria induzione in errore dell’ente, il riconoscimento di una pretesa giuridica non dovuta. Il Tribunale – secondo i giudici di legittimità – aveva erroneamente ritenuto la confutabilità nella specie dell’art. 316-ter cod. pen. ed aveva conseguentemente annullato l’ordinanza di sequestro preventivo per equivalente, adottata nei confronti del legale rappresentante della società, ritenendo che il fatto contestato fosse riconducibile non al delitto di truffa ai danni dell’INPS, bensì a quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. Non così per gli Ermellini secondo i quali la condotta è corrispondente al paradigma di cui all’art. 640. La Sesta Sezione penale della Suprema Corte ha altresì precisato che “la condotta fraudolenta contestata non si è ridotta alla mancata rappresentazione di dati rilevanti, ma affonda le sue radici in una serie coordinata di condotte fraudolente: prima l’artificiosa messa in mobilità dei lavoratori; poi l’altrettanto artificiosa creazione di entità societarie delle quali si nasconde il reciproco collegamento come riconducibile a un unico assetto imprenditoriale; quindi l’assunzione dei medesimi lavoratori posti in mobilità da parte delle nuove imprese; e solo infine il ridotto pagamento degli importi il contributivi sulla base dell’allegata disciplina di cui alla legge n. 223 del 1991”.