IPOTECA ILLEGITTIMA: LE NUOVE FRONTIERE DEL RISARCIMENTO“DANNO IN RE IPSA”
Il protesto consiste nella constatazione in forma determinata del mancato pagamento attraverso un atto autentico redatto da un pubblico ufficiale. Esso è disciplinato dall’art.51 del R.D. 14 dicembre 1933, n.1669, è quella di garantire gli obbligati di regresso circa la tempestività della presentazione del titolo e l´effettivo suo pagamento. Ne discende che “il protesto cambiario, conferendo pubblicità all’insolvenza del debitore, costituisce causa di discredito sia personale, che commerciale e, pertanto, se illegittimo, è idoneo a provocare danno patrimoniale“. (Cassazione civile, sez. I, 23 marzo 1996, n. 2576 – Giust. civ. Mass. 1996, 420 Danno e resp. 1996, 320).
Qualora il protesto sia illegittimo perchè privo dei presupposti legali, la legge cambiaria tace in ordine alla responsabilità che pertanto dovrà ricondursi nell’ambito di quella aquiliana.
Con la sentenza del 1986 il giudice delle leggi approdò ad un modello di responsabilità aquiliana basato sui concetti di danno evento, risarcibile in sè, e danno conseguenza, risarcibile come conseguenza diretta ed immediata del danno evento.
Superando la naturale classificazione normativa , danno patrimoniale/ danno non patrimoniale, si plasmava una nuova figura di danno, svincolata dal parametro patrimonialistico in senso stretto, ma concernente la tutela della persona globalmente intesa.
Da tale posizione discende chiaramente che lo stesso iter logico può essere ripercorso per ogni diritto della persona costituzionalmente tutelato, pertando il danno alla persona incidente sul diritto costituzionale all´onore e alla reputazione è un danno evento, risarcibile ex sè, in quanto il danno ingiusto è insito nella lesione stessa.
In dottrina ci fu chi sostenne che l´incidenza negativa del protesto sull´immagine commerciale del debitore e “sulle sue facoltà di operare serenamente nel suo consueto ambiente”, arriva addirittura a configurare un´ipotesi di danno biologico.(Zeno-Zencovich, Considerazioni sul danno da protesto illegittimo, in Banca Borsa, 1991, II, 499, in commento a Trib. Milano, 28 settembre 1989).
In ogni caso la cassazione si orientò nel senso di ritenere che il protesto, poiché attribuisce pubblicità all´insolvenza del debitore, costituisce un motivo di discredito sia personale che commerciale.
Tale fatto, sarebbe dunque idoneo a “provocare un danno patrimoniale sotto il profilo della lesione dell´onore e della reputazione del debitore come persona”, e ciò indipendentemente da eventuali suoi interessi commerciali.
Tale distinzione assume rilievo ai fini dell’onere della prova: se il danno concerne la reputazione commerciale, la lesione è ritenuta costituire un semplice indizio dell´esistenza di un danno effettivo “da valutare nel contesto di tutti gli altri elementi della situazione in cui si inserisce”.
In tale ipotesi il danno risarcibile sarà il danno ingiusto al patrimonio dell´imprenditore da valutarsi secondo il dettame dell´art. 1226 cod. civ., quale pregiudizio economico dell´imprenditore eziologicamente riconducibile al protesto illegittimo.
Per converso, la lesione della reputazione personale esimerebbe il soggetto leso dall´onere di fornire in concreto la prova del danno in quanto questo viene considerato in re ipsa.
Per i giudici di legittimità, ex art. 2043 cod. civ., si evince come l´onore sia considerato un bene del “patrimonio personale” latamente inteso di ogni individuo. Tradizionalmente tutelato solo in sede penale, ha trovato poi ulteriore protezione in sede civilistica quale danno morale soggettivo puro, grazie al rimando ai “casi espressamente previsti” ex art. 2059 cod. civ. e all´ausilio dell´art. 185, 2° comma, c.p..
L’originaria distinzione di stampo penalistico tra onore in senso formale -che spetta a ciascuno- e onore in senso reale -che riguarda i meriti e il prestigio acquisiti in ambito societario- è refluita nella distinzione civilistica fra onore e reputazione. Ed, infatti, mentre il primo si caratterizza per una percezione soggettiva interna della persona del proprio valore sociale, inteso come complesso delle doti morali, intellettuali, fisiche; il secondo, invece, ha un riflesso esterno che si incentra nella percezione che gli altri hanno di noi, intesa come stima e considerazione sociale, quale “ rapporto di giudizio tra un soggetto ed una comunità”. (Antolisei, Manuale di diritto penale (parte speciale I), 1999, Milano, p. 192 e ss – Fiandaca- Musco, Diritto speciale, 2000).
Avendo riguardo all’evoluzione giurisprudenziale in materia, è indubbio che gli orientamenti in tema di protesto illegittimo abbian fatto da specchio e contraltare, talvolta da campo prova, alle dispute che negli ultimi trent’anni hanno riguardato la figura del danno esistenziale.
In particolare la rivoluzione copernicana del sistema risarcitorio ( Cassazione, sez III, 31 Maggio 2003, n.8827, e n.8828, nonché Corte costituzionale, 11 luglio 2003 , n. 233), incentrato sulla ripartizione delle voci di danno in due categorie: danno patrimoniale, art. 2043 cod. civ., e il danno non patrimoniale, l´art. 2059 cod. civ., comporta “il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale”, e disciolto dal legame con la relativa fattispecie di reato.
L’ insegnamento della III sez. della Cassazione è applicato anche al caso di danno da illegittimo protesto, configurandolo quale danno alla reputazione dell’imprenditore, persona fisica, o anche persona giuridica, come danno non patrimoniale, ex art. 2059 c.c., fondato sul rispetto della dignità sociale e professionale del medesimo in base alla lettura composita degli artt. 2, 3, 41 Cost., in relazione alla libertà di produzione ma in condizioni di rispetto della propria immagine ed attività professionale.
Conseguenza fu che nel 2005 la giurisprudenza (Cassazione, sez. III civile, 30.03.2005 n. 6732) riposizionò il danno da illegittimo protesto includendolo “nella categoria dei danni non patrimoniali anche i danni che derivano dalla violazione e lesione di posizioni soggettive protette, di rango costituzionale o ordinario, sulla base di precisi riferimenti normativi”.
Sulla scia dei danni “da valori costituzionali” si ribadisce che “ll protesto cambiario, conferendo pubblicità ipso facto all´insolvenza del debitore, non è destinato ad assumere rilevanza soltanto in un´ottica commerciale imprenditoriale, ma si risolve in una più complessa vicenda, di indubitabile discredito, tanto personale quanto patrimoniale, così che, ove illegittimamente sollevato ed ove privo di una conseguente, efficace rettifica, esso deve ritenersi del tutto idoneo a provocare un danno patrimoniale anche sotto il profilo della lesione dell´onore e della reputazione del protestato come persona, al di là ed a prescindere dai suoi eventuali interessi commerciali” (Cassazione, sez. I civile – 28 giugno 2006 n. 14977).
In particolare afferma il Collegio che qualora l´illegittimo protesto venga riconosciuto lesivo di diritti della persona, come l´immagine, il danno è da ritenersi in re ipsa, e va senz´altro risarcito, non incombendo sul danneggiato l´onere di fornire la prova della sua esistenza; diversamente, allorché venga in considerazione il danno, squisitamente patrimoniale, da lesione del diritto alla reputazione commerciale, è indispensabile allegare e provare specifiche circostanze dalla quali sia possibile desumere una compromissione, nell´ambiente commerciale, del credito goduto dal soggetto illegittimamente protestato, come, ad esempio, l´interruzione di forniture o trattive commerciali (v. App. Genova, sez. III, 30/06/2005, n.669).
Può dirsi pacifico pertanto sul punto l´orientamento pretorio che riconduce il danno da illegittimo protesto nell´alveo dei danni non patrimoniali da lesione dei valori costituzionali, fino a spingersi al punto di classificarlo nella controversia categoria dei danni esistenziali ( Trib. Modena, 29 marzo 2007).
Ultima conferma ci giunge da una recentissima sentenza della Corte di Cassazione ( Cassazione, sez. III civile – 18 aprile 2007, n. 9233 ) che a chiare lettere sottolinea che “Allorché emerga l´illegittimità del protesto, spetta il risarcimento del danno conseguente alla lesione della propria reputazione personale, e la prova della lesione, contestuale alla prova della illegittimità del protesto, costituisce danno ingiusto “in re ipsa” (come affermato da ultimo ex pluribus da Cassazione sent. n. 2576/96 ; n. 11103 /98 ; n. 4881/01 e n. 14977/06).
La Corte valuta l´ingiustizia del danno nella lesione dell´immagine sociale della persona che si vede ingiustamente inclusa nel cartello dei cittadini insolventi e dunque lesa nella propria immagine sociale e socialmente discriminata. Sostiene, pertanto, che per la perdita della immagine professionale o sociale, la quale di per sé costituisce danno reale, il danneggiato deve essere risarcito in modo satisfattivo, ed equitativo. E ciò sia a titolo contrattuale per inadempimento che a titolo extracontrattuale in base alla clausola generale del neminem laedere.
In altre parole l´ormai pacifica tesi giurisprudenziale differenzia la natura del pregiudizio subito a seguito dell´illegittimità del protesto essenzialmente ai fini dell´onus probandi: se è lesa la reputazione commerciale il danneggiato dovrà in giudizio dimostrare le conseguenze pregiudizievoli alla propria attività lavorativa che costituiscono conseguenze dirette e immediate dell´illegittimità del protesto.
Al fine di giustificare la natura oggettiva del danno la Corte richiama la nuova legge sull´usura n.108/96 laddove negli artt. 17 e 18 , si prevede la possibilità per il soggetto che abbia subito un unico protesto legittimo nel corso dell´anno e che abbia corrisposto l´intero importo dovuto, di ottenere la “riabilitazione”, nonché l´annullamento del protesto, che deve essere considerato “a tutti gli effetti, come mai avvenuto”.
Secondo il ragionamento seguito dalla Corte, gli artt. 17 e 18 non avrebbero alcuna ragione d´essere se il protesto non fosse ritenuto fonte immediata di danno alla reputazione personale. Infatti, scopo della stessa norma è la riabilitazione come persona di chi ha subito – seppur legittimamente – il protesto.
Lo stesso vale anche alla luce dello art. II, 61 della Costituzione europea che tutela la integrità morale dell’individuo sotto il valore universale della dignità, ed il danno non patrimoniale in relazione a lesione di diritti inviolabili o fondamentali e di interessi giuridici protetti perché inerenti a beni della vita od a beni essenziali per la comunità.
E’ evidente fuor di ogni dubbio, che possa affermarsi l’applicabilità in via analogica e sussistendo la medesima ratio, degli assunti come esposti, all’ ipotesi di iscrizione di ipoteca illegittima, cioè eseguita in difetto dei necessari presupposti di cui all’art. 77 d.P.R. n. 602/1973.
L’ iscrizione illegittima, viola il disposto del neminem laedere, di cui all’art. 2043 c.c., e conseguentemente ex art. 2059 c.c., è generativa di pregiudizio ai valori costituzionali, personali, quali l’onore e la reputazione del soggetto iscritto, come tale risarcibile in re ipsa e liquidabile in via equitativa.
Tale favor nella valutazione dell’esistenza del danno appare tanto più ragionevole se si ha riguardo alla controversa possibilità di statuire con un procedimento in via d’urgenza sulla cancellazione e considerando anche taluni aspetti di dubbia costituzionalità (Ronco, Distonie tra cautele processuali ed extraprocessuali: in tema di restrizione e cancellazione di ipoteca, in Giur. it., 1996, I, 2, 306).
Un evidente incongruenza dell’attuale sistema è ravvisabile, infatti, con sorprendente facilità già nelle differenti modalità di iscrizione e cancellazione del vincolo ipotecario.
Nel primo caso esiste un ampio ventaglio di possibilità, essendo sufficiente anche un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, magari emesso inaudita altera parte; per la cancellazione occorre invece un provvedimento definitivo, contenente un ordine specifico rivolto al conservatore a cui si chiede di eseguire la cancellazione della garanzia reale in precedenza annotata nei pubblici registri immobiliari.
Ciò, in quanto, l’attuale quadro normativo in materia sembrerebbe disinteressarsi delle conseguenze gravi – e, sotto taluni aspetti, irreparabili – che potrebbero derivare ad una parte, dall’ingiustificato permanere in vita, nel corso del tempo, di un’iscrizione ipotecaria in precedenza eseguita illegittimamente, specie ove si consideri la ben nota tempistica processuale occorrente per munirsi per le «vie ordinarie» di una statuizione giudiziale definitiva, la sola idonea a poter disporre la cancellazione secondo quanto enunciato dall’art. 2884 c.c. (Tribunale Bari, 13 maggio 2005, sez. II).
Una possibile via d’uscita nel tentativo di giungere ad un ipotetico riequilibrio per quanto potrebbe risultare attinente alla tutela delle contrapposte ragioni ascrivibili alle parti interessate, potrebbe eventualmente ravvisarsi nell’accentuazione del ricorso alla forma di responsabilità aggravata sancita dall’art. 96 c.p.c., in presenza di condotte scorrette, o comunque dissimulanti un’attività emulativa a carico della parte che iscrive ipoteca.
Tuttavia, neppure tale soluzione potrebbe risultare del tutto soddisfacente, specie ove si consideri il notevole lasso di tempo intercorrente tra il pregiudizio sofferto nell’immediato, derivante dall’iscrizione ipotecaria, e l’eventuale emanazione di una pronuncia di condanna ex art. 96 c.p.c.
Sembra, quindi, che anche al fine di colmare le aporie del sistema, la soluzione più giusta sia quella di applicare l’attuale orientamento in tema di protesto illegittimo, giacchè è indubbio che il danno da iscrizione ipotecaria illegittima vada ravvisato nella probabile “segnalazione del nominativo presso la centrale dei rischi cui si rivolgono gli istituti di credito per verificare la solvibilità del cliente, con conseguente concreto ed immediato pericolo della revoca degli affidamenti, e relativo rischio di impossibilità di onorare i crediti, affidamenti che non potrebbero attendere certo, per il ripristino, i tempi di un giudizio ordinario”.
Ne segue il principio secondo cui “alla mancata cancellazione dell’ipoteca consegue il diritto del debitore al risarcimento del danno – il quale è “in re ipsa” e trova la sua causa diretta ed immediata nella situazione illegittima posta in essere dal creditore” debba seguire non più il vecchio e superato orientamento (Cassazione civile , sez. III, 03 novembre 1994, n. 9039) che si riferiva esclusivamente all’ “an debeatur”, ma i recenti assunti nella materia analoga del protesto illegittimo che ammettono in ordine al quantum una valutazionme di natura equitativa.