Irap, non si può condannare il Fisco al rimborso senza passare ai raggi X il modello Unico del contribuente
Ancora Irap in Cassazione. Se è spesso
l’amministrazione finanziaria a “litigare” con i presupposti
dell’imponibilità indicati dalla giurisprudenza di legittimità, non
mancano i giudici frettolosi nel decidere: prima di decretare il
rimborso al contribuente bisogna almeno guardare fra le pieghe delle
dichiarazioni fiscali. È il monito alle commissioni tributarie che
arriva dall’ordinanza 21640/09.
Il caso
E’ stata cancellata con rinvio la
sentenza impugnata dalle Entrate: è sbagliato sostenere che il
professionista “incriminato” (per ben cinque annualità d’imposta) abbia
sempre svolto la sua attività senza servirsi del lavoro di terzi: per
il giudice del merito mancherebbe la prova contraria da parte
dell’amministrazione. Il Fisco, invece, deduce correttamente i compensi
pagati a terzi che emergono da due dichiarazioni fiscali del
contribuente, il modello Unico del 2002 e del 2003. E le somme versate
costituivano il corrispettivo di prestazioni ottenute che risultano
direttamente afferenti all’attività svolta dal professionista. È
evidente l’omissione del giudice che non ha considerato un punto
decisivo della controversia. Ma attenzione: l’errore si manifesta a
parti invertite se si nega il rimborso al contribuente senza indicare
quali sono gli elementi sintomatici dell’imponibilità Irap all’interno
della documentazione fiscale. Gli altri presupposti per la debenza
dell’Irap, accanto all’utilizzo di lavoro altrui, sono: il contribuente
è tenuto al versamento quando è il responsabile dell’organizzazione
(risulta esclusa l’appartenenza a strutture altrui) e impiega beni che
vanno oltre il minimo indispensabile (Cassazione 16226/09, 8838/09,
8834/09, 8835/09).