Irs annuncia un esposto in Procura: ci dicano se la società di riscossione ha commesso reati
Duecento artigiani di Sassari insieme per organizzare la protesta SASSARI. Mentre le imprese soffocano nei debiti e circa duecento artigiani di Sassari si riuniscono e raccontano tutta la loro disperazione, c’è chi dalle parole passa ai fatti. Irs ha deciso di presentare un esposto alla Procura della Repubblica e una denuncia all’ispettorato del lavoro contro Equitalia. Gavino Sale sintetizza: «Le tasse vanno pagate e su questo non si discute. Vogliamo però capire se nella condotta di Equitalia possano essere ravvisate ipotesi di reato». Sotto la lente di ingrandimento: i contratti dei messi notificatori e le procedure adottate nelle ipoteche. «Una denuncia congiunta» la definiscono Sale e Giuseppe Carboni (dell’area fiscalità e credito di Irs). Nei prossimi giorni presenteranno l’esposto «perché abbiamo il diritto di capire e di far capire se le procedure adottate da Equitalia sono state regolari». Si parte da un dato di fatto: «Le imprese della nostra isola stanno scomparendo. E l’ente di riscossione non fa distinzione tra i furbi e chi invece a pagare non ce la fa proprio». Contesta, Irs, l’inappropriatezza del termine “evasione”. Lo spiega bene Sale: «Qui non parliamo di contribuenti che hanno evaso le tasse ma di persone che si sono trovate in difficoltà e che non sanno più dove pescare i soldi per pagare i debiti». Una situazione drammatica che sta mandando in rovina tanti piccoli imprenditori. Doveroso, secondo il movimento indipendentista che da tempo porta avanti questa battaglia, far luce sulla situazione. Da qui la decisione di rivolgersi all’autorità giudiziaria e all’ufficio del lavoro. L’ultima battaglia di Irs ha riguardato i messi notificatori. Secondo Sale e compagni non erano abilitati: «L’assunzione dei messi con contratto a progetto – avevano detto – non sarebbe consentita perché il fine di quello stesso progetto (cioè la notifica) non può coincidere con la natura dell’azienda (sempre la notifica). «Con questo tipo di contratti – avevano detto Sale e Carboni – Equitalia ha avuto alle sue dipendenze personale a cui non sono stati pagati i contributi e non sono state fatte le opportune ritenute fiscali». Accuse alle quali Equitalia aveva replicato puntuale: «L’Irs chiama in causa in maniera pretestuosa e senza alcun fondamento una normativa applicabile solo ai messi incaricati dagli enti locali per la notifica degli atti di accertamento e delle ingiunzioni». Questioni denunciate con un condizionale quanto mai d’obbligo allora e anche oggi. Almeno fino a quando non si pronuncerà la magistratura. Intanto, però, c’è il grido disperato dei piccoli imprenditori. Sono circa duecento gli artigiani di Sassari soffocati dai debiti che hanno deciso di organizzarsi e prepararsi alla “lotta”. Sono meccanici, fabbri, termoidraulici, falegnami, elettricisti, carrozzieri, gommisti. «Equitalia rateizza 830 milioni di debiti – dicono in coro – Cifre da Emirati Arabi. Peccato, però, che noi sardi non produciamo oro nero e di conseguenza non siamo nababbi. Le 57mila rateizzazioni di cui parla Equitalia corrispondono ad altrettante microimprese e famiglie distrutte. Non riusciremo mai a pagare perché le banche non danno denaro se non hai un buon reddito da lavoro aziendale o da dipendente». Uno di loro racconta i sacrifici di una vita. Scrive la sua storia su un pezzo di carta, una sorta di autobiografia. Parla di se stesso e si dà anche un nome: Vittorio. «Sono nato nel 1937, a 13 anni sono entrato in un’autofficina come apprendista meccanico, nel 1959 assunzione in una grande fabbrica automobilistica italiana, nel 1966 assunto da una grande concessionaria come capo tecnico, nel 1968 la decisione di aprire un’autofficina attrezzatissima. Lavoro bene fino al’75, poi il commercialista mi convince a investire. E arriva l’acquisto del terreno e poi di un capannone. Mai l’avessi fatto. Tutto funziona più o meno bene sino al 1995. Le richieste diminuiscono e nel 1998 mi rendo conto che la rottamazione e il demolitore avevano ridotto il lavoro più del 50 per cento». Il disastro è dietro l’angolo. I clienti mancano, le tasse sono superiori al reddito prodotto, le leggi sono inadeguate rispetto agli investimenti fatti: «Quando una microazienda investe in locali e attrezzature – spiega Vittorio – al massimo il 30 per cento è dell’artigiano, il resto sono soldi delle banche». Uno sfogo amaro che si conclude con la dignità tipica di chi nella vita non ha mai avuto paura di sporcarsi le mani: «Noi le tasse vogliamo pagarle. Purtroppo a volte non si è nelle condizioni di poterlo fare».