Istat: stipendi mai così male dal 1983. Il divario con i prezzi ai massimi
Retribuzioni ferme nel mese di marzo: secondo l’Istat, si è registrata una variazione nulla rispetto a febbraio. Ma non solo: la forbice tra l’aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,2%) e il livello d’inflazione (+3,3%) su base annua, ha registrato una differenza di 2,1 punti percentuali: il divario più alto dall’agosto del 1995 e aumento tendenziale più basso dal 1983, anno di inizio della ricostruzione delle serie storiche. In particolare, le retribuzioni orarie contrattuali registrano un incremento tendenziale dell’1,7% per i dipendenti del settore privato e una variazione nulla per quelli della pubblica amministrazione.
I COMPARTI – I settori che a marzo presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: tessili, abbigliamento e lavorazione pelli (2,9%), chimiche, comparto di gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi e quello delle telecomunicazioni (2,7% per tutti i comparti). Si registrano, invece, variazioni nulle nell’agricoltura, nel credito e assicurazione e in tutti i comparti appartenenti alla pubblica amministrazione.
RINNOVI – L’Istat ha sottolineato anche che un lavoratore dipendente su tre è in attesa del rinnovo del contratto di lavoro. La quota dei dipendenti in attesa è precisamente del 32,6% nel totale dell’economia. Nel settore privato, la percentuale scende al 12,3% (circa 1 lavoratore su 6). L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è, in media, di 27 mesi tanto nel totale che nell’insieme dei settori privati.
CGIL – «I lavoratori pubblici sono al quarto anno di blocco contrattuale – ha detto il numero uno della Cgil Susanna Camusso – l’Istat conferma quello che la Cgil dice da tempo, ovvero che la condizione di reddito dei lavoratori continua a peggiorare e i contratti del lavoro privato si rinnovano con grande difficoltà».