Italia, libertà di stampa a rischio
L’organizzazione americana Freedom House
ha diffuso il suo rapporto annuale sull’informazione nel mondo (Freedom
of the Press 2009), nel quale si afferma che l’Italia è il fanalino di
coda dell’Europa in termini di libertà di stampa, in buona parte per la
«situazione anomala a livello mondiale» sul piano della proprietà dei
media.
Freedom House retrocede così il nostro paese e
punta l’indice sul ruolo del presidente del Consiglio, Silvio
Berlusconi. «Il suo ritorno nel 2008 al posto di premier ha risvegliato
i timori sulla concentrazione di mezzi di comunicazione pubblici e
privati sotto una sola guida», spiega Karin Karlekar, la ricercatrice
che ha guidato lo studio, presentato ieri al Newseum, il museo
dell’informazione e del giornalismo a Washington.
La classifica globale sulla libertà di stampa,
relativa a 195 paesi, è diventata da anni uno dei principali prodotti
di Freedom House, un’organizzazione non-profit indipendente fondata
negli Stati Uniti nel 1941 per la difesa della democrazia e la libertà
nel mondo, che ebbe come prima presidente Eleanor Roosevelt.
Per il settimo anno consecutivo,
la libertà dei giornalisti di fare il loro lavoro è diminuita nel
mondo, secondo i ricercatori americani. Solo il 17% della popolazione
mondiale vive oggi in paesi dove esiste una stampa che viene ritenuta
pienamente libera. Freedom House assegna ai paesi un rating che va da 0
(i più liberi) a 100 (i meno liberi) sulla base dell’analisi dell’
ambiente legale, politico ed economico in cui lavorano i media.
L’Italia è scesa dalla fascia alta,
quella dei paesi liberi, alla fascia intermedia dei paesi “parzialmente
liberi”, con un rating di 32 che ne fa l’unico paese dell’Europa
occidentale ad essere stato declassato. Solo la Turchia, se viene
considerata come parte dell’Europa occidentale, risulta messa peggio.
«Le cause della nostra decisione
– afferma la Karlekar – sono legate all’aumento del ricorso ai
tribunali e alle denunce per diffamazione, e anche all’aumento di
intimidazioni fisiche ed extralegali da parte sia del crimine
organizzato, sia di gruppi di estrema destra. Ma la concentrazione
della proprietà dei media è il motivo principale del nostro voto e il
problema principale dell’Italia, da questo punto di vista, è
rappresentato dalla figura del premier».
Freedom House afferma
di non aver rilevato al momento segnali di attacco alla libertà dei
media da parte del governo «come negli anni 2005 e 2006», ma Karlekar
ritiene che per l’Italia sia urgente «affrontare il nodo della
concentrazione dei media nelle mani di un solo magnate: è un caso unico
al mondo».
La libertà di stampa sembra radicata soprattutto nel nord d’Europa e
nei paesi scandinavi: Islanda, Finlandia, Norvegia, Danimarca e Svezia
occupano le prime cinque posizioni mondiali per il rapporto. I peggiori
sono invece Corea del Nord (98), Turkmenistan, Birmania, Libia, Eritrea
e Cuba. Come tutte le classifiche, anche quella di Freedom House non è
stata ovviamente in questi anni esente da critiche metodologiche,
soprattutto per la tendenza spesso a considerare liberi paesi che
semplicemente non hanno alcuna regolamentazione dei media. Non è per
questo un caso che buona parte delle 72 posizioni che precedono
l’Italia siano occupate da microscopici Stati-isola polinesiani e
caraibici, dove la libertà è in buona parte legata all’assenza di
regole.