La Cassazione definisce i contenuti della frode informatica
Con la Sentenza n. 13475 del 22 marzo 2013 la Seconda sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha affrontato un argomento molto interessante ovvero la frode informatica (introdotto dall’art. 10 della Legge 547/93) e, l’occasione ha permesso agli ermellini di definire meglio i contenuti della fattispecie di reato pronunciando alcuni importanti principi di diritto alcuni già espressi in precedenti decisioni.
Il caso trattato dai Supremi Giudici ha portato alla condanna di un dipendente dell’Agenzia delle Entrare (condannato anche in appello) accusato di frode informatica ed accesso abusivo al sistema infotmatico del citato Ente modificando le situazioni contributive dei contribuenti.
L’argomento che spesso aveva creato confusione nel passato era stato affrontato e chiarito nei contenuti anche in altre recenti sentenze della Suprema Corte ed, in particolare, nella sentenza n. 9891 del 24 febbraio 2011 in cui Piazza Cavour specificava che le condotte che comportano il reato di cui all’art. 640 ter c.p. prevede:
a) l’alterazione del funzionamento di un sistema informatico o telematico intendendosi in queste definizioni tutte quelle “apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all’uomo, attraverso l’utilizzazione (anche parziale) di tecnologie informatiche, che sono caratterizzate – per mezzo di un’attività di “codificazione” e “decodificazione” – dalla “registrazione” o “memorizzazione”, per mezzo di impulsi elettronici, su supporti adeguati, di “dati”, cioè di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuata attraverso simboli (bit), in combinazione diverse, e dalla elaborazione automatica di tali dati, in modo da generare “informazioni”, costituite da un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta loro di esprimere un particolare significato per l’utente” (Cass. 3067/1999 riv 214945).
La Cassazione chiariva altresì il concetto di alterazione inquadrandolo con qualsiasi attività o omissione tale da modificare i suddetti sistemi con la manipolazione dei dati informatici incidendo in tal modo sul regolare svolgimento dell’elaborazione dei dati ovvero alterarne la componente hardware o software del sistema (ma anche danneggiandola, rompendola o perdendola).
b) l’utilizzazione “senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico”.
Un altro aspetto importante che inevitabilmente deve essere richiamato in materia di sistemi informatici o telematici riguarda il reato di cui all’art. 615 ter c.p. ovvero l’accesso abusivo e, sull’argomento la Cassazione richiamando la recente decisione delle Sezioni Unite (Cass. SS. UU., sentenza 27 ottobre 2011, n. 4694) ha ribadito che il reato si configura anche nel caso in cui pur essendo abilitati, si acceda o si mantenga un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso.
La Cassazione recepiva le indicazioni delle Sezioni Unite richiamandone il testo anche nella successiva decisione (sentenza n. 15054 depositata il 18 aprile 2012) e con la sentenza n. 42021 del 26 ottobre 2012 i giudici del Palazzaccio condannava un tecnico per violazione del domicilio informatico.
Fonte: www.sentenze-cassazione.com