La Cassazione legittima il deposito di atti inviati tramite posta
Con la
pronuncia 4 marzo 2009, n. 5160 delle sezioni unite la Cassazione legittima il deposito di atti inviati tramite posta e non
depositati direttamente presso la cancelleria. Poiché
la pronuncia deriva dall’analisi di un processo celebrato dinanzi al Giudice
di Pace, e la Cassazione
fonda le proprie argomentazioni anche rilevando la maggiore semplicità e
celerità del processo dinanzi a detto Giudice, appare quanto mai opportuno
procedere ad alcune riflessioni immediate.
Innanzitutto va posta in rilievo
l’osservazione della Corte in ordine alla natura del deposito degli atti;
essi non sono atti frutto di volizione autonoma del soggetto che li ha prodotti
e, pertanto, l’operazione del deposito può essere affidata anche a
soggetti terzi (nuncius). In concreto,
effettivamente, gli atti vengono materialmente
consegnati in cancelleria da addetti agli studi legali o altri incaricati di
enti di servizio.
In
secondo luogo la Corte
sottolinea che l’atto pervenuto per posta non
può essere improduttivo di qualsiasi effetto, dovendosi semmai prestare
attenzione al momento in cui tali effetti possono dirsi compiuti. Gli atti
pervenuti per posta, pertanto, non potranno mai essere dichiarati inesistenti.
In terzo
luogo la nullità consegue direttamente da una norma che la preveda
esplicitamente e detta norma non esiste per gli atti inviati tramite posta; si
può parlare di irregolarità ma non di nullità.
Lo scopo
essenziale del deposito di un atto giudiziario è la concreta presa di contatto
fra la parte, nonchè l’espressione della difesa
della sua posizione processuale, e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale
pende la trattazione di qualcosa che la riguarda. Il raggiungimento di tale
scopo costituisce il presupposto per l’accettazione del deposito
dell’atto inviato.
Con la detta
pronuncia la
Cassazione sembra distinguere una forma di deposito
“tipico” da un deposito “atipico”.
Il
deposito tipico è quello esplicitamente previsto dalla normativa di rito, con
la consegna personale allo sportello della cancelleria. Normalmente in simili
situazioni, alla presentazione dell’atto da depositare, il cancelliere
preleva il fascicolo di pertinenza, verifica la natura dell’atto da
depositare, la sua provenienza, la sua correttezza
rituale, appone il timbro di depositato e inserisce l’atto nel fascicolo.
Il
deposito atipico dovrebbe essere individuato nell’invio degli atti
tramite servizio postale, così come ammesso fin d’ora solo per taluni
settori di giurisdizione, o in forza di espresse norme
di legge o a seguito di pronunce della Corte costituzionale.
La
sentenza de quo sembra voler elevare a rango di norma ordinaria ciò che fino ad
ora era l’eccezione, ritenendo non giustificata una disparità di
trattamento in ragione della materia o del rito applicato.
Poiché la
stessa Cassazione ammette che il deposito tramite posta avviene al di fuori
della previsione normativa, occorre porsi il problema degli effetti di tale
forma di deposito atipico e determinare alcun conseguenze.
1.
il
tempo del deposito: sarà quello attribuito dal cancelliere, e non soltanto
dall’ufficio, al momento della ricezione dell’atto. Nelle sedi
giudiziarie di particolari dimensioni, infatti, è presumibile che l’atto
pervenga presso un ufficio posta e che solo in una fase successiva venga trasmesso al cancelliere competente per la natura
dell’atto o per il riferimento al procedimento in corso. Non potrà essere
considerata la data di spedizione, in assenza del quadro normativo di
riferimento; ne deriva che il tempo tecnico del trasporto e consegna del plico resta a totale carico del mittente, con tutte le conseguenze
relative (incluso il rischio dello smarrimento o del deterioramento). Resta,
pertanto, una differenza di trattamento con il deposito diretto, nonché con gli atti soggetti a notifica (per i quali vale la
data di richiesta della notifica e non quella dell’effettivo recapito).
2.
la
modalità del deposito: la cancelleria sarà obbligata a istituire una
forma di protocollo di ricezione degli atti oppure ad apporre il timbro di
deposito immediatamente all’atto del ricevimento (con oneri aggiuntivi
inimmaginabili, nella già precaria situazione del personale amministrativo).
3.
l’inserimento nel fascicolo: la cancelleria sarà onerata dello
smistamento degli atti ricevuti e del regolare inserimento nei fascicoli di competenza:
ciò comporterà l’esame dell’atto, il rinvenimento degli estremi del
procedimento, l’inserimento nel fascicolo qualora si tratti di atto
correttamente formato e previsto dal codice di rito.
4.
la
verifica dell’atto: le ipotesi che si possono formulare
nell’immediato sono due. Nel primo caso la cancelleria dovrà verificare
la provenienza dell’atto, la data, la certezza della riconducibilità
ad un soggetto legittimato, per poi apporre il timbro di depositato e inserire
l’atto nel fascicolo. Nel secondo caso la cancelleria si limiterà
all’inserimento nel fascicolo, dopo aver apposto il timbro di deposito,
lasciando al Giudice ogni determinazione sulla idoneità
e completezza dell’atto, con la decisione se ammettere il deposito oppure
no.
5.
atti non previsti dal rito e documenti: occorre determinare quale
debba essere il comportamento da tenere in caso di inoltro di atti di
trattazione non corrispondenti ad un modello di rito o di semplice trasmissione
di documenti. La soluzione più immediata potrebbe essere quella
dell’apposizione del timbro di ricevimento e la trasmissione al Giudice
per i provvedimenti di sua competenza in ordine alla
ammissione o meno. Ciò determinerebbe una particolare complicazione delle
attività del Giudice, con provvedimenti fuori udienza e relative comunicazioni.
6.
i
mezzi di trasmissione: nel menzionare lo strumento di inoltro
“a mezzo posta” la
Cassazione dimentica di considerare che, al momento attuale,
con il detto termine non si può identificare soltanto lo strumento di
trasmissione cartacea. Anche la riforma del codice di
rito (ed altresì i progetti sul processo telematico)
legittimano la posta elettronica e il fax.
La
dottrina ha già avuto modo di sollevare alcune perplessità su detti strumenti,
anche se limitatamente alla materia delle notificazioni e comunicazioni (si
veda in proposito il contributo di autori vari in Foro
it. 2005, parte V, pagg. 89 e segg.).
In tema
di posta elettronica si ritiene che le perplessità possano essere superate
dalla cosiddetta posta certificata. Tuttavia sarebbe necessario, a tutela anche
dei diritti del mittente, che l’ufficio giudiziario confermasse il
ricevimento del messaggio al momento della sua apertura; ciò si perfezionerebbe
contestualmente alla lettura del messaggio, obbligando quindi l’ufficio a
successive comunicazioni in caso di irregolarità o
inammissibilità del deposito.
Resta da considerare che a tale struttura di
corrispondenza certificata dovrebbe essere aggiunta la particolarità della
firma digitale, che permette la sicura attribuzione della provenienza ad un
soggetto identificato e munito di certificato.
L’ottenimento
della firma digitale prevede: una procedura di iscrizione
e legittimazione, il rilascio di un certificato con durata limitata e
rinnovabile, costi annuali di esercizio, la necessità di ricorrere a strumenti
informatici non comuni (lettore di smart card, potenza del processore, RAM,
collegamento ADSL). Verosimilmente tutto ciò limiterà l’accesso ai soli
studi professionali o comunque causerà un
accessibilità non facile e non economica per la generalità dei cittadini. Ciò
riproduce una disparità effettiva difficile da giustificare, rispetto alle
premesse.
Quanto al
fax sono già state sollevare incertezze rispetto alla provenienza, alla data
certa, alla funzionalità certificata degli apparecchi di ricevimento, alla autenticità delle firme; anche in tal caso, comunque,
la cancelleria verrebbe caricata di nuovi oneri di accertamento del deposito,
con conseguenze difficili in caso di atti in scadenza, di assenza di personale,
di panne elettroniche o telefoniche.
Non basta
una sentenza, per quanto autorevole, ad eliminare i problemi di strutture e di
personale nell’ambito dell’attività giudiziaria.