La Costituzione e le regole del Web 2.0
Libertà di comunicazione e Costituzione – La “libertà di comunicazione” è disciplinata nella nostra Costituzione in due norme: l’art. 15 e l’art. 21.
La prima norma costituzionale –
l’art. 15 – riconosce e garantisce a tutti gli individui il diritto di
corrispondere liberamente e segretamente, con qualsiasi mezzo
disponibile e tecnicamente idoneo a garantire la segretezza della
corrispondenza. La seconda norma costituzionale – l’art. 21 – riconosce
a “tutti” il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con
la parola, lo scritto e ogni altro mezzo. Nonostante a prima vista
possa sembrare che le due norme abbiano il medesimo oggetto in realtà
ciò non è vero. Le due norme hanno, infatti, un ambito di applicazione
diverso e, soprattutto, un diverso sistema di limiti.
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione,
l’art. 15 tutela la liberta e la segretezza delle comunicazioni
interpersonali, solo cioè di quelle comunicazioni che avvengono tra un
numero di destinatari determinato e attraverso un mezzo tecnico idoneo
a garantire la segretezza della comunicazione. L’art. 21 ha, invece,
come oggetto le cosiddette comunicazioni al pubblico, vale a dire le
manifestazioni del pensiero rivolte ad un numero indeterminato di
soggetti. La distinzione tra i due ambiti di applicazione dipende,
dunque, sia dalla volontà soggettiva di chi comunica sia dal mezzo
tecnico utilizzato, nel senso che se lo strumento tecnico non è idoneo
a garantire la segretezza, la comunicazione rientra sempre nel
paradigma dell’art. 21 ed è considerata comunicazione al pubblico.
I limiti alla censura – Per
quanto riguarda il sistema di limiti, nell’art. 15, il Costituente ha
previsto che la libertà e la segretezza delle comunicazioni
interpersonali possa essere limitata solo dall’autorità giudiziaria con
atto motivato e sulla base di una legge dello Stato. Ha cioè previsto,
in ossequio al principio liberale di garanzia dei diritti, che la
limitazione possa essere esclusivamente disposta dal Giudice “con le
garanzie previste dalla Legge”
Per riprendere la definizione di Marco Gambaro,
la Costituzione prevede, quindi, che per le comunicazioni
interpersonali siano possibili solo limitazioni ex post, nel senso di
successive all’autorizzazione del giudice. Nell’art. 21 il Costituente
ha dettato una disciplina più complessa. Il primo e l’ultimo comma (il
sesto) della norma sono dedicati in generale alle comunicazioni al
pubblico, indipendentemente dal mezzo utilizzato, mentre gli altri
commi riguardano specificamente la libertà di stampa. I limiti comuni
sono quello esplicito del buon costume (da intendersi però come
limitato alla sfera del pudore sessuale) e quelli impliciti ricavabili
da altre norme costituzionali. Tra i limiti impliciti occorre ricordare
i limiti personali cioè quelli derivanti dalla protezione
dell’individuo che la Costituzione garantisce in altre norme (il limite
dell’onore, della reputazione, della riservatezza, dell’identità
personale) ed i limiti “pubblicistici” cioè derivanti dalla protezione
costituzionale di finalità ed interessi collettivi (il limite
dell’ordine pubblico, dell’esigenze di giustizia, della salvaguardia
delle istituzioni e dei segreti).
Per limitare le manifestazioni
contrarie al buon costume (e per analogia quelle che oltrepassano i cd.
limiti impliciti) la norma costituzionale prevede che la legge possa
stabilire “provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere”. In questi
casi, dunque, il Legislatore può prevedere anche meccanismi di
controllo amministrativo ex ante. Fermo restando, però, che quando la
libertà di manifestazione del pensiero diventa libertà di cronaca, essa
gode di uno spazio di libertà maggiore come riconosciuto da costante
giurisprudenza.
Per quanto riguarda, invece,
specificamente l’attività di stampa (da intendersi pacificamente sia in
forma tradizionale sia in forma on line) l’art. 21 Cost. ha
espressamente vietato qualsiasi tipo di autorizzazione e censura. Così
facendo ha quindi vietato qualsiasi atto limitativo preventivo o “ex
ante”. In più, la Costituzione ha disciplinato dettagliatamente anche i
provvedimenti ex post – e precisamente il sequestro degli stampati nel
caso di delitti – ricorrendo anche in questo caso al doppio meccanismo
della riserva di legge e della riserva di giurisdizione, vale a dire
subordinando – come per l’art. 15 – la limitazione ex post della
libertà all’atto motivato del giudice sulla base di una legge. Solo, in
via assolutamente eccezionale, la Costituzione consente, infine, il
sequestro da parte di ufficiali di polizia giudiziaria, anche senza la
previa autorizzazione del giudice, ma prevedendo che il provvedimento
di sequestro sia portato dinnanzi al giudice entro ventiquattro ore e
confermato nelle successive ventiquattro ore.
Comunicazione “chiusa” e “aperta”
– Sulla base di quanto argomentato partendo dalle norme costituzionali
si possono trarre due conclusioni. La prima conclusione è l’assoluta
necessità di distinguere per ogni tipo di comunicazione il paradigma
costituzionale di riferimento. Questa distinzione abbastanza semplice
con riferimento ai tradizionali mezzi di comunicazione diviene, come
avverte anche Marco Pratellesi, estremamente difficoltosa al tempo del web 2.0, dei social network, delle chat e dei social group.
Per cui può facilmente accadere che l’utente non sappia (ed in taluni
casi non possa conoscere) se la conversazione alla quale partecipa è
una comunicazione chiusa oppure una comunicazione al pubblico.
Se ad esempio si chiede l’iscrizione
ad un forum chiuso, ma l’autorizzazione è automatica si può ancora
ritenere di star conversando tra un numero determinato di soggetti?
Oppure se ci si iscrive ad un social group del quale si conoscono i
partecipanti solo attraverso il loro nickname si dovrà considerare le
proprie comunicazioni come rivolte al pubblico ? Ancora cosa accade se
si partecipa ad una conversazione tra amici e poi l’amministratore del
gruppo apre la conversazione a tutti ?
Questa difficoltà sul lato utente
si amplia se ci si mette dalla parte del legislatore. Qualora il
Legislatore decidesse, infatti, di intervenire dovrebbe adottare
necessariamente una disciplina estremamente tecnica e minuziosa.
Inoltre, dovrebbe – e questo appare difficilmente realizzabile –
aggiornarla continuamente in una corsa (persa in partenza) contro il
cambiamento tecnologico. Se anche si provasse questa strada, il
risultato potrebbe essere una iper-normazione dei servizi del web 2.0,
che presumibilmente non ne scoraggerebbe l’utilizzo, ma condurrebbe
inevitabilmente all’elaborazione di condizioni di utilizzo complicate.
Insomma l’iper-normazione si scaricherebbe sugli utenti che dovrebbero
sottoscrivere ed approvare lunghe condizioni di utilizzo senza
comprenderne appieno il significato, sempre che effettivamente decidano
di leggerle.
La seconda conclusione è che la nostra Costituzione esprime un deciso favor (che
per la verità è quasi sempre un obbligo) per interventi ex post di
limitazione delle comunicazioni sia che si tratti di comunicazioni
interpersonali sia che si tratti di comunicazioni al pubblico. Il che
significa che il Legislatore qualora decidesse di intervenire dovrebbe
sempre valutare con estrema attenzione quando è possibile prevedere un
controllo ed una limitazione ex ante delle comunicazioni sul web e come
è possibile articolare l’intervento ed il controllo nel rispetto dei
diritti costituzionali degli utenti (ivi compresa la loro privacy).
Cosa si può fare, dunque, per
arginare il fenomeno di deresponsabilizzazione che sembra emergere
dall’utilizzo dei social forum e, più in generale, del web 2.0? Come è
già stato detto occorre seguire la strada, anche indicata dal Ministro Maroni e,
peraltro in parte già intrapresa, del dialogo con i fornitori dei
servizi. In questo senso, occorre prendere coscienza del fatto che
sarebbero necessarie scelte a livello globale, ma che mancando una
efficace governance internazionale del settore, non vi è che la strada
di lavorare alla definizione di policies di utilizzo dei servizi
concordate con i fornitori dei servizi stessi. Occorre, quindi, una
continua concertazione tra le autorità nazionali (comunitarie ed
internazionali, se possibile) ed i più importanti social networks, i
motori di ricerca e più in generale i fornitori dei servizi che
caratterizzano il web 2.0. Inoltre, non si può certamente abdicare
all’idea che sia possibile sensibilizzare gli utenti sull’utilizzo dei
più moderni sistemi di comunicazione.
Questa strada ha, peraltro, già dato ottimi frutti in materia di privacy. Le raccomandazioni, i decaloghi e le guide rilasciate dall’Autorità per la protezione dati personali italiana e dal network dei garanti europei hanno
già contribuito ad un utilizzo più consapevole del mezzo. Se si guarda
proprio a Facebook, ci si può facilmente rendere conto di come,
rispetto alle origini, il social network consenta oggi agli utenti di
alzare ed abbassare discrezionalmente i propri livelli di privacy e di
come gli stessi utenti abbiano approfittato di queste nuove opzioni
permettendo – ormai nella maggior parte dei casi – solo ai propri amici
di vedere il proprio profilo, il proprio status, i propri commenti e le
proprie foto. Questo è conseguenza sia dell’accresciuta consapevolezza
degli utenti sia dell’attività di sensibilizzazione svolta
dall’Autorità di protezione dati ad ogni livello.
La medesima strada può essere
seguita – con la partecipazione di tutte le istituzioni, pubbliche e
private, e naturalmente degli stakeholders e degli utenti – anche per
sensibilizzare i cittadini sul problema dell’impatto che i commenti
lasciati in rete possono avere. Solo a questo punto sarà possibile
spiegare loro in maniera convincente, che Internet non è sinonimo di
impunità e che un reato rimane tale sia se commesso tradizionalmente
sia se commesso sulla rete.