La ex moglie ha diritto al mantenimento anche se ha abbandonato volontariamente la professione forense
Con sentenza n. 22312 depositata il 26 ottobre 2011, la Corte di Cassazione ha stabilito che non può essere revocato o ridotto il mantenimento dovuto alla ex moglie che ha lasciato la professione forense se si dimostra che durante il matrimonio lei guadagnava meno di lui. La prima sezione civile del palazzaccio dichiarando il ricorso inammissibile ha così confermato una sentenza della Corte di Appello di Lecce. Secondo la ricostruzione della vicenda, il Tribunale di Taranto dichiarava cessati gli effetti civili del matrimonio e affidava il figlio minore alla madre, cui assegnava la casa coniugale, condannando contestualmente il marito a corrispondere assegno per il figlio e per la moglie. La Corte d’Appello di Lecce, su ricorso proposto dal marito che chiedeva la revoca o la riduzione del mantenimento dato che la sua ex moglie aveva abbandonato volontariamente la professione, con sentenza, in parziale accoglimento dell’appello, riduceva l’importo dell’assegno mensile facendo però notare che la differenza reddituale tra i due coniugi sussisetva anche in passato. Il caso finiva poi in Corte dei cassazione dove l’ex marito, lamentava la violazione dell’art. 5 comma sesto legge n. 898 del 1970 e contestava la sussistenza dei presupposti dell’assegno divorzile. Investita della questione, la Corte, dichiarando il motivo di ricorso inammissibile ha spiegato che “non si dà contro di una specifica violazione ovvero falsa applicazione od erronea interpretazione della predetta norma, ma si contesta che il giudice a quo, sulla base di una situazione di fatto erroneamente accertata, abbia affermato la spettanza alla moglie dell’assegno divorzile. La censura riguarda quindi una valutazione di fatto, da ricollegarsi semmai ad un vizio di motivazione. E significativamente il quesito formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c, abrogato, ma ancora operante per i rapporti pregressi, riguarda appunto una valutazione di fatto: l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto durante la convivenza matrimoniale, e la volontarietà dell’abbandono da parte del coniuge stesso della professione forense. Il motivo appare altresì non autosufficiente, non precisando l’entità dei redditi della moglie quando essa svolgeva attività forense (va ricordato che, secondo la Corte d’Appello, il divario reddituale tra le parti esisteva in passato)”.