La legittimazione ad agire in giudizio dell’amministratore di condominio
(Cass. n.2179/11)
L’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all’Assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’art. 1131 c.c., commi 2 e 3, può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione. E’ questo il dictum delle Sezioni Unite (sentenze 18331 e 18332 del 2010) con il quale e’ stato definito il contrasto di giurisprudenza sulla necessità o meno che l’amministratore condominiale, per impugnare la sentenza sfavorevole al condominio, si munisca dell’autorizzazione assembleare.
E’ stato precisato che le decisioni menzionate esulano da quelle per le quali l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1131 c.c., comma 1. Tale norma, insegnano le Sezioni Unite, conferisce una rappresentanza di diritto all’amministratore, il quale e’ legittimato ad agire (e a resistere) in giudizio (nonché a proporre impugnazione) senza alcuna autorizzazione, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c., quando si tratta:
- di eseguire le deliberazioni dell’assemblea e di curare l’osservanza dei regolamenti di condominio;
- di disciplinare l’uso delle cose comuni, cosi’ da assicurarne il miglior godimento a tutti i condomini;
- di compiere, infine, gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio;
- di riscuotere dai condomini inadempienti il pagamento dei contributi determinati in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea.
La mancanza di tale autorizzazione cagiona, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale prevalso, l’inammissibilita’ del ricorso.