La perdurante risarcibilità del danno esistenziale
1.
La tripartizione delle “previsioni di legge” che consentono la
liquidazione dei danni non patrimoniali (Cass., sez. un., 11 novembre
2008, n. 26972/3/4/5): l’accoglimento della teoria della tipicità
elastica in relazione all’ “ingiustizia costituzionalmente qualificata”
L’esame
della giurisprudenza di legittimità intervenuta dopo le decisioni
Carbone-Preden dell’11 novembre 2008 ([1]) attesta la sostanziale
condivisione del modello proposto dal Supremo Collegio di nomofilachia
secondo cui le lesioni inferte a situazioni soggettive
costituzionalmente protette (antecedentemente etichettate come danni
esistenziali) non devono essere risarcite come categoria formalmente
autonoma bensì a titolo di danno biologico o di danno morale nella sua
nuova e più ampia configurazione.
Le
decisioni in rassegna hanno pienamente condiviso la tripartizione delle
categorie di “previsioni di legge” (che consentono la liquidazione dei
danni non patrimoniali contemplati dall’art. 2059 c.c.) e la natura
giuridica “tipicamente elastica” di quella fondata su un’“ingiustizia
costituzionalmente qualificata” ([2]). Difatti, la tipicità contemplata
dall’art. 2059 c.c. avrebbe natura “stretta” in relazione a previsioni
di legge contemplanti fattispecie di reato o di risarcibilità espressa
dei danni non patrimoniali oltre che “elastica” per quelle fondate
sull’“ingiustizia costituzionalmente qualificata” per le quali verrebbe
in rilievo un “rinvio mobile” a tutti i “nuovi interessi emersi nella
realtà sociale perché aventi rango costituzionale”. L’“ingiustizia
costituzionalmente rilevante” (che dà luogo al risarcimento dei danni
non patrimoniali previsti dall’art. 2059 c.c.), quindi, costituisce una
categoria aperta a tutela della persona umana ed in linea con le
decisioni della Corte costituzionale Maccarone ([3]), Dell’Andro ([4])
e Marini ([5]).
2.
Le possibili opzioni ermeneutiche circa la “gravità del danno” e la
“serietà della lesione”. Le criticità poste dall’interpretazione
quantitativa: verso un’inedita regola “de minimis”?
Il
risarcimento del danno non patrimoniale per lesione di interessi e
valori della persona (che diviene fruibile anche in relazione
all’illecito contrattuale ([6])), quindi, diviene possibile solo
all’esito di un giudizio bifasico teso all’accertamento dell’esistenza
di una lesione di una situazione soggettiva “costituzionalmente
inviolabile” (c.d. “ingiustizia costituzionalmente rilevante”) ([7]) e
del superamento della soglia della “gravità dell’offesa” e della
“serietà del danno”.
L’introduzione
di nuove categorie quali la “gravità del danno” e la “serietà della
lesione” ([8]) spinge l’interprete a chiedersi quale possa essere la
chiave di lettura più conforme alle istanze del personalismo
costituzionale che ha prodotto nella materia della responsabilità
civile l’emersione del principio della tutela risarcitoria minima delle
situazioni soggettive costituzionalmente rilevanti.
Tra
le possibili ricostruzioni accanto ad una opzione che valuta i predetti
requisiti in senso qualitativo (di cui si tratterà in seguito) se ne
giustappone una quantitativa (c.d. regola de minimis).
L’interpretazione
quantitativa non appare in linea con il principio costituzionale della
“tutela risarcitoria minima”. Difatti, al riconoscimento
giurisdizionale del carattere inviolabile della situazione soggettiva
danneggiata dovrebbe ragionevolmente conseguire una tutela piena ed
omnicomprensiva.
È
dubbio che, specie in assenza di base giuridica, possa essere applicata
all’illecito civile un’inedita regola “de minimis” che, per converso, è
stata positivamente introdotta in altre materie (concorrenza e divieto
di aiuti di Stato) per soddisfare esigenze di public policy che
difficilmente potrebbero essere estese ai rapporti interprivati. In
relazione all’illecito civile, infatti, il principio compensativo
specie in relazione a lesioni inferte ad interessi e valori della
persona umana impone, per converso, l’integrale risarcimento dei danni
cagionati come è stato del resto chiarito dalle Sezioni unite (“il
risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso
che deve ristorare interamente il pregiudizio”([9])).
In
altri termini, il riconoscimento del carattere inviolabile di una
specifica situazione soggettiva dovrebbe implicare l’impossibilità di
falcidiare la tutela giurisdizionale per motivi prettamente
quantitativi sulla base di una (criticabile) interpretazione dei dicta
delle Sezioni unite che sembra confondere il piano delle valutazioni
finalizzate all’accertamento dell’an debeatur con quello della
liquidazione del quantum e, ancora, quest’ultimo con quello afferente
la stessa “attivabilità” giurisdizionale delle pretese fondate sul
“personalismo costituzionale” dal quale è germogliato il principio
della “tutela risarcitoria minima”.
Pertanto, l’azione risarcitoria non può essere preclusa alle small claims ([10]).
Diversamente
opinando, mettendo da parte l’irragionevole discriminazione che si
profilerebbe tra danni patrimoniali e non ([11]), si creerebbero vaste
aree di immunità giurisdizionale e, per tale ragione, la stessa
convivenza sociale richiamata dalle Sezioni unite sarebbe
irrimediabilmente pregiudicata nella misura in cui le Corti si
sentissero autorizzate a non amministrare giustizia in relazione ad
attività illecite che abbiano prodotto danni “di piccolo taglio”.
Proprio in relazione a questi ultimi, tra l’altro, le politiche
comunitarie e nazionali vanno in direzione opposta (si pensi al recente
Libro Verde del 27 novembre 2008 “sui mezzi di ricorso collettivo dei
consumatori” ([12]) che ha indirizzato il problema aprendo un’ampia
consultazione paneuropea nonché all’introduzione della “class action
all’italiana” nel codice del consumo). Del resto, parte della dottrina
nostrana, proprio per assicurare il rispetto del principio “il torto
non paga” in relazione a quelle condotte illecite ad ampia diffusività
che producano una miriade di danni di “piccolo taglio”, ha scomodato la
figura dei danni punitivi al fine di assicurare un minimo di
deterrenza. Ci si potrebbe allora anche accontentare di una mera
compensazione purché però sia realmente integrale!
2.1.
(Segue) La tesi qualitativa ovvero la necessità di un sindacato
giurisdizionale più rigoroso sulle conseguenze lesive esistenziali.
Rilevata
l’impossibilità di aderire ad un approccio quantitativo, deve, quindi,
indagarsi se un accertamento di tipo qualitativo dei requisiti in esame
sia più in linea con il principio costituzionale della tutela
risarcitoria minima (“gravità dell’offesa” e “serietà del danno”) come
sembra sottendere il passaggio del punto 3.9. della decisione 26972/08
(“Palesemente non meritevoli della tutela risarcitoria, invocata a
titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi,
disappunti, ansie ed in ogni tipo di insoddisfazione concernente gli
aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel
contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di
prossimità”).
Al
di là delle mere questioni classificatorie, i giudici di legittimità e
di merito stanno certamente manifestando un atteggiamento più prudente
ed accorto nelle liquidazioni dei danni non patrimoniali.
Sotto questo profilo la freccia delle Sezioni unite ha colto decisamente nel segno.
L’analisi
della giurisprudenza intervenuta dopo le decisioni delle Sezioni unite,
difatti, conferma che, pur se la categoria del “danno esistenziale”
viene formalmente abbandonata, l’ontologia della medesima continui ad
essere ancora considerata risarcibile (e non avrebbe potuto essere
altrimenti essendo la stessa preordinata ad assicurare la tutela
risarcitoria minima alle lesioni dei valori ed interessi della
persona), venendo liquidata, a seconda dei casi, attraverso le
(sotto)categorie (che restano in vita allargandosi) del danno biologico
e morale ([13]).
In
presenza di liti “battellari” pretestuose ed abusive, le Corti,
utilizzando le nuove categorie della “gravità dell’offesa” e della
“serietà del danno” in combinazione con il nuovo principio
dell’inautonomia del danno esistenziale, hanno sovente concluso per la
“futilità” delle pretese attivate, mentre nelle ipotesi in cui
sussistano reali conseguenze dannose derivanti da lesione di interessi
e valori della persona non hanno esitato ad accogliere le richieste
risarcitorie.
In
altri termini, dallo schema bifasico del danno esistenziale proposto
dalle Sezioni unite in tema di demansionamento ([14]) i giudici sono
passati a quello parimenti bipartito prospettato dalle medesime Sezioni
nel novembre 2008.
A
livello strutturale, difatti, il test continua ad essere articolato in
due fasi successive potendosi accedere alla seconda solo all’esito
positivo della prima. Quest’ultima, tesa all’accertamento del requisito
ribattezzato “ingiustizia costituzionalmente qualificata”, era
sostanzialmente presente anche nelle sentenze gemelle del 2003 ed in
quella in tema di danno esistenziale da demansionamento del 2006.
Le
categorie formali di riferimento per la seconda fase cambiano
formalmente ma non sostanzialmente. Precedentemente, seguendosi la
logica del danno-conseguenza, si richiedeva che il danneggiato avesse
dato la dimostrazione (consentendosi “la prova testimoniale,
documentale o presuntiva”) delle specifiche conseguenze dannose (di
“natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente
accertabili”) derivanti dalla lesione di un preciso interesse
costituzionalmente rilevante ([15]). Del pari, anche oggi, si afferma
che non è sufficiente fermarsi all’accertamento di un’“ingiustizia
costituzionalmente qualificata”, dovendosi, per converso, accertare la
“gravità del danno” e la “serietà della lesione” che non deve essere
“futile”. In termini sostanziali, quindi, si dovrà, sia pure con
l’estremo rigore peraltro già richiesto dalle medesime Sezioni unite
nel 2006, effettuare una valutazione sulla reale esistenza nella sfera
del danneggiato di conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla
violazione di interessi e valori della persona umana.
È
evidente e fisiologico, dunque, che la sussunzione delle fattispecie
concrete nelle descritte categorie astratte proposte dalle Sezioni
unite possa dare luogo ad interpretazioni più o meno restrittive.
Compete,
difatti, all’alta sensibilità dei giudici, sotto la guida orientativa
della Corte costituzionale e delle Sezioni unite della Cassazione, la
prudente applicazione del diritto ivi compreso quello emergente dal
formate giurisprudenziale.
3.
Gli orientamenti giurisprudenziali successivi alle Sezioni unite del
2008 confermano che le pretese “esistenziali” refluiscono nel danno
biologico e/o in quello morale. La posizione delle Sezioni unite e
della Sezione prima.
L’analisi
delle decisioni di legittimità intervenute dopo le Sezioni unite del
novembre 2008 conferma la richiamata prospettiva di tipo qualitativo.
Nelle
ipotesi di attivazione di situazioni soggettive abusive, pretestuose e
macroscopicamente infondate anche in relazione a carenze processuali
riscontrate, la Cassazione taglia corto utilizzando motivazioni secche
e sintetiche (e, pur richiamando il principio dell’inconfigurabilità di
un’autonoma categoria di danno esistenziale, ha cura di evidenziare le
carenze in punto di allegazione dei fatti costitutivi della pretesa e
di asseverazione probatoria ([16])). Sono numerose le decisioni che
vanno in questa direzione specie in relazione alle controversie
risarcitorie da irragionevole durata del processo ([17]). L’importanza
del rispetto degli oneri di allegazione ed asseverazione è sottolineata
anche in quelle decisioni in cui la Sezione prima ha censurato
decisioni che abbiano apoditticamente escluso la liquidazione di danni
esistenziali, biologici e morali in presenza di specifiche allegazioni
probatorie ([18]). In particolare, criticando il percorso motivazionale
della Corte d’appello (secondo cui “sebbene tale processo avesse
superato di un anno e mezzo il termine di ragionevole durata, stimabile
in anni 3 nonostante si trattasse di causa di lavoro, la pretesa
indennitaria doveva essere disattesa, poiché il danno patrimoniale non
era stato provato e l’esiguità della somma oggetto della domanda, pari
a L. 600.000, induceva ad escludere un apprezzabile patema
esistenziale”), la Corte è stata molto chiara nell’affermare il
principio che il modesto valore economico della controversia può “solo
comportare una riduzione dell’indennizzo ma non escluderlo” ([19]).
In
altre ipotesi, a prescindere dalle categorie utilizzate dai giudici
nelle decisioni impugnate, la Suprema Corte è entrata, sia pure solo ad
abundantiam, “nel merito” della congruità delle quantificazioni
attraverso un giudizio di ragionevolezza della motivazione ([20]).
Una
delle pronunce più significative è sicuramente quella delle Sezioni
unite intervenute in materia di azioni risarcitorie da pubblicità
ingannevole (caso delle c.d. sigarette lights) ([21]). L’impugnata
decisione del Giudice di pace di Napoli aveva risarcito al consumatore
“il danno da perdita della chance di scegliere liberamente una
soluzione alternativa “rispetto al problema fumo” e quello esistenziale
dovuto al peggioramento della qualità della vita conseguente allo
stress ed al turbamento per il rischio del verificarsi di gravi danni
all’apparato cardiovascolare o respiratorio” ([22]). Le Sezioni unite
non hanno fatto ricorso al principio di irrisarcibilità del danno
esistenziale come categoria autonoma che avrebbe determinato la
cassazione della decisione senza rinvio, ma, precisando i principi di
diritto che presiedono all’azione risarcitoria per danni da pubblicità
ingannevole, hanno rimesso la causa al Giudice di pace di Napoli
affinché possa applicarli al caso concreto. Quanto al danno, in
particolare, le Sezioni unite, richiamando i principi già enucleati
nelle decisioni del novembre 2008, hanno avuto cura di precisare che è
risarcibile ex art. 2059 c.c. “il danno non patrimoniale […]
determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non
connotati da rilevanza economica” solo quando si sia “in presenza di
un’ingiustizia costituzionalmente qualificata […] Nello svolgere
l’indagine sopra descritta, il giudice può anche servirsi delle
presunzioni, nei limiti e nei modi in cui le ammette il codice di rito,
ed, una volta individuato il danno, potrà procedere equitativamente
alla liquidazione del relativo risarcimento, purchè essa non sia
simbolica o affatto svincolata dagli elementi di fatto emersi” ([23]).
Nella
fattispecie appena descritta appare forte l’ontologia del danno
esistenziale che non è stata negata sulla base di affermazioni formali
quali quelle utilizzate nei confronti delle pretese bagattellari
abusive ove, come si evidenziato, la Cassazione ha fatto ricorso
all’argomento dell’irrisarcibilità autonoma della categoria. Tra
l’altro le Sezioni unite, in relazione alla specifica azione
risarcitoria attivata (danni da pubblicità ingannevole), richiamando
correttamente la necessità di rispettare pienamente il principio del
riparto dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), ne hanno, altresì,
ridefinito l’assetto concreto.
3.1. Le decisioni della Sezione terza.
Sono,
tuttavia, le decisioni della Sezione terza ad essere, ad oggi, le più
interessanti. In relazione ad una richiesta risarcitoria avanzata dai
congiunti di un soggetto deceduto a causa di un incidente stradale, in
particolare, è stata confermata la decisione impugnata rilevandosi che
il danno da perdita del rapporto parentale fosse stato già considerato
nella liquidazione del danno morale in quanto “la sofferenza patita nel
momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna
l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti
del complessivo pregiudizio” ([24]). Anche la mera lesione del rapporto
parentale (illecito sanitario determinante la nascita di un figlio
macroleso) è stata ricondotta all’ampia rinnovata categoria del danno
morale ([25]). Pertanto, viene da chiedersi se si possa estendere il
rapporto familiare sino a ricomprendervi le relazioni affettive con
animali specie nelle ipotesi in cui venga ampiamente dimostrata in
giudizio l’esistenza di un vincolo amorevole profondo (per esempio
laddove la persona viva sola e abbia come unico o prevalente punto di
riferimento esistenziale l’animale). Superando l’orientamento negativo
manifestato sotto l’impero del danno esistenziale ([26]), la Sezione
terza, di recente ([27]), sembrerebbe essersi allineata alle posizioni
francesi (che riconoscono da tempo la risarcibilità di questa tipologia
di pregiudizi ([28])). In realtà, la motivazione non si fonda sulla
nuova e più ampia conformazione del danno morale bensì sull’assunto
(con evidenza disallineato rispetto al decisum delle Sezioni unite) che
i principi informatori della materia del danno non patrimoniale non
vincolano il giudice di pace che decida secondo equità nelle cause di
valore inferiore a € 1100,00. Tale decisione, pertanto, appare non
idonea a definire la questione sopra prospettata.
Tra
le pronunce in rassegna, inoltre, spicca, per la motivazione raffinata
ed estesa, quella relativa ad un sinistro stradale (un giovane
insegnante a bordo di una moto era stato urtato, riportando lesioni
gravissime, da un autobus che aveva invaso la corsia di marcia opposta)
laddove la Corte, cassando con rinvio la decisione impugnata, ha
chiarito che il risarcimento della “qualità delle vita quotidiana e di
relazione” deve essere risarcito come “componente personalizzante del
danno biologico” e che il “danno morale conserva una sua autonomia in
relazione alla lesione del bene della sfera morale e della dignità
della persona e deve essere valutato in concreto tenendo conto della
gravità della lesione e della serietà del danno” ([29]).
Di
rilievo anche la decisione che ha affermato la risarcibilità a titolo
di danno morale (da reato) non solo delle sofferenze transeunti ma
anche di quelle “stabili e permanenti” quali i patemi d’animo e
turbamenti psico-fisici derivanti dalla continua sottoposizione a
controlli medici tesi ad accertare l’assenza di patologie tumorali
cagionate dalla sottoposizione ad agenti inquinanti cancerogeni che
comunque determinino, a prescindere dall’insorgenza del cancro, un
peggioramento della qualità della vita ([30]).
Fin
qui è stata ripercorsa la giurisprudenza della Sezione terza
applicativa ad interessi di indiscussa rilevanza costituzionale
(salute, integrità fisica e morale, rapporti familiari) delle nuove
tecniche liquidative.
Quanto
alle situazioni soggettive atipiche, la Sezione ha formato il proprio
convincimento alla luce delle specificità e caratteristiche proprie
delle fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio anche in
considerazione degli elementi probatori forniti dalle parti attoree.
In
questo modo è stata ammessa la tutela risarcitoria della situazione
soggettiva di coloro che avessero dettagliatamente prospettato “effetti
molesti, fastidiosi e insalubri del fumo passivo” derivanti dalle
“immissioni moleste di fumo di sigarette” prodotte dai vicini che li
avevano costretti a “tenere chiuse le finestre anche in piena estate
per tutelare la propria salute” rilevandosi, altresì, che “la sentenza
impugnata [aveva] descritto le conseguenze delle lamentate immissioni
sul modo di vivere la casa dei danneggiati” individuando “ciò che
[avrebbe potuto] essere liquidato come danno non patrimoniale” ([31]).
Un’interpretazione
più rigorosa, per converso, è stata seguita in relazione alla
cassazione senza rinvio di una decisione del Giudice di pace di Catania
che aveva condannato l’Agenzia delle entrate a pagare € 300,00 in
favore di un cittadino a titolo di “danni morali e da stress subiti a
seguito delle lungaggini dell’iter burocratico affrontato per ottenere
lo sgravio di somme non dovute” (l’annullamento in autotutela era
intervenuto solo a sei mesi di distanza dalla sua richiesta dopo
reiterati solleciti e visite allo sportello). Per la Sezione terza un
tale pregiudizio al “diritto alla tranquillità”non raggiunge la soglia
dell’“ingiustizia costituzionalmente qualificata” ([32]).
La decisione, tuttavia, non deve essere letta come una bocciatura assoluta del c.d. “diritto alla tranquillità”.
Probabilmente,
la posizione della Corte sarebbe stata di segno diverso laddove quel
cittadino fosse stato colpito da una serie di “cartelle pazze” emessa a
causa di macroscopici errori del sistema informatico dell’ente
impositore.
In
una fattispecie concreta quale quella esaminata dalla Sezione terza un
cittadino dovrebbe tollerare e sopportare le inefficienze altrui,
mentre nel secondo e diverso caso ipotizzato, attesa la gravità
qualitativa della lesione, sembra opportuno riconoscere una qualche
forma di risarcimento.
3.2. La posizione della giurisprudenza contabile, amministrativa e di merito.
Anche
la giurisprudenza contabile ([33]), amministrativa ([34]) e di merito
([35]), sia pure continuando talvolta ad utilizzare le vecchie
categorie formali, si è allineata agli orientamenti della
giurisprudenza di legittimità attraverso un sindacato più cauto e
ragionevole sui danni non patrimoniali conseguenti ad un’“ingiustizia
costituzionalmente qualificata”. Del resto, al di là dei profili di
“etichetta” (taluni giudici di merito hanno continuato a discorrere di
danno esistenziale pur adeguandosi al nuovo rigore), le Sezioni unite
saranno ben liete di riscontrare che conformemente alle loro
indicazioni, il sindacato giurisdizionale si stia rivelando più severo
nei risarcimenti dei danni non patrimoniali da lesioni di valori ed
interessi della persona evitando sconfinamenti nell’area del patologico
utilizzo abusivo del principio costituzionale della “tutela
risarcitoria minima”.
4.
Conclusioni: all’abbandono dell’etichetta formale “danno esistenziale”
non consegue la morte dell’ontologia sostanziale della categoria bensì
la perdurante risarcibilità dei pregiudizi alle situazioni soggettive
costituzionalmente rilevanti.
Terminata la rassegna della giurisprudenza in materia si possono finalmente tirare le fila.
Nella
giurisprudenza esaminata, quindi, non sembra sia scomparsa l’ontologia
del danno esistenziale che è, a seconda delle ipotesi, refluita nel
danno biologico (come sua “componente personalizzante” ([36])) o nella
rinnovata configurazione del danno morale (non più limitato alla
sofferenza transeunte interiore ([37])).
Appare
evidente, quindi, che, salvo l’allargamento del danno morale e
biologico alle spese del danno esistenziale, nihil novi sub soli!
Sulla
scorta dell’analisi delle decisioni passate in rassegna, pertanto,
ritornando solo descrittivamente al dibattito tra “esistenzialisti” ed
“antiesistenzialisti”, sembra proprio possa ritenersi che le Sezioni
unite, senza scontentare nessuno, abbiano soddisfatto entrambe le parti
in causa (esistenzialisti ed antiesistenzialisti), soprattutto senza
incidere sul principio costituzionale della “tutela risarcitoria
minima” degli interessi e valori della persona umana. Negando
cittadinanza formale al danno esistenziale come sottocategoria autonoma
del danno non patrimoniale, non ne hanno disconosciuto l’ontologia
facendola, per converso, refluire, a seconda dei casi, nelle
sottocategorie (delle quali la giurisprudenza di legittimità continua
pacificamente a discorrere) del danno biologico (come sua “componente
personalizzante” ([38])) o del danno morale (in una rinnovata, più
ampia, dimensione ([39])). Le tecniche liquidative, specie se
finalizzate a riportare chiarezza nella giungla dei risarcimenti, sono
nella piena disponibilità del giudice di nomofilachia sempreché non
determinino nel concreto (come non pare sia accaduto in questo breve
periodo) indebite falcidie di tutela giurisdizionale ai valori ed
interessi della persona umana che, come chiarisce il preambolo al
Trattato di Lisbona del dicembre 2007, è stata finalmente posta al
centro delle politiche dell’Unione europea. Del resto, una soluzione
diversa dall’interpretazione sinora prospettata sarebbe disallineata
sia rispetto ai principi del quadro di riferimento comune per il
diritto privato europeo (l’art. VI. – 2:101 del QCR accademico
espressamente contempla la risarcibilità di danni, sostanzialmente
esistenziali, etichettati “impairment of quality of life” ([40])), che
con le principali esperienze continentali europee (in Francia, ad
esempio, il danno esistenziale è risarcito da tempo ([41]) e ha di
recente trovato l’importante conferma della Plenaria della Corte di
cassazione d’oltralpe ([42]), ampiamente condivisa dalla giurisprudenza
successiva ([43])).
Note
[1]
Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975, in
Foro it., 2009, I, 120 ss. con commento di A. Palmieri, La rifondazione
del danno non patrimoniale, all’insegna della tipicità dell’interesse
leso (con qualche attenuazione) e dell’unitarietà, di R. Pardolesi, R.
Simone, Danno esistenziale (e sistema fragile): “die hard”, e G.
Ponzanelli, Sezioni unite: il “nuovo statuto” del danno non
patrimoniale, in Giur. it., 2009, 61-72, con commento di G. Cassano,
Danno non patrimoniale ed esistenziale: primissime note critiche a
Cassazione civile, Sezioni unite, 11 novembre 2008, n. 26972, 259-261 e
di V. Tomarchio, L’unitarietà del danno non patrimoniale nella
prospettiva delle Sezioni Unite, 318-325,in Corr. giur., 2009, 48 ss.,
con commento di M. Franzoni, Il danno non patrimoniale del diritto
vivente, in Danno resp., 2009, 19 ss., con commento di A. Procida
Mirabelli di Lauro, Il danno non patrimoniale secondo le Sezioni unite.
Un “de profundis” per il danno esistenziale?, di S. Landini, Danno
biologico e danno morale soggettivo nelle sentenze della Cass. SS.UU.
26972, 26973, 26974, 26975/2008, di C. Sganga, Le Sezioni unite e
l’art. 2059 c.c.: censure, riordini e innovazioni del dopo principio.
Per
la descrizione e l’inquadramento sistematico delle decisioni P. Fava,
Lineamenti storici, comparati e costituzionali del sistema di
responsabilità civile verso la European Civil Law, e G. De Angelis, Il
danno risarcibile (contrattuale, extracontrattuale e precontrattuale)
ed il nesso di causalità. La tutela per equivalente pecuniario:
funzioni, tipologie e tecniche liquidative del risarcimento danni, in
P. Fava, La responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 2009.
In
dottrina, altresì, AA.VV., Il danno non patrimoniale. Guida commentata
alle decisioni delle S.U., 11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5, Milano,
Giuffrè, 2009; C. Castronovo, Danno esistenziale: il lungo addio, in
Danno resp., 2009, 5 ss.; P.G. Monateri, Il pregiudizio esistenziale
come voce del danno non patrimoniale, in Riv. civ. prev., 2009, 56 ss.;
E. Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la
complessità dei danni non patrimoniali, , in Riv. civ. prev., 2009, 63
ss.; S. Patti, Le Sezioni Unite e la parabola del danno esistenziale,
in Corr. giur., 2009, 415 ss.; D. Poletti, La dualità del sistema
risarcitorio e l’unicità della categoria dei danni non patrimoniali, in
Riv. civ. prev., 2009, 76 ss.; C. Scognamiglio, Il sistema del danno
non patrimoniale dopo le decisioni delle Sezioni Unite, in Resp. civ.
prev., 2009, ss.; G. Vettori, Danno non patrimoniale e diritti
inviolabili, in www.personamercato.it; P. Ziviz, Il danno non
patrimoniale: istruzioni per l’uso, in Riv. civ. prev., 2009, 94 ss.
Con
le predette decisioni le Sezioni unite hanno avallato un sistema misto
a tipicità “stretta” ed “elastica” che ammette il risarcimento del
danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. in presenza di: 1) un fatto
astrattamente sussumibile all’interno di una fattispecie criminale
(art. 185 c.p.), 2) una previsione specifica di legge che contempli
espressamente la risarcibilità del danno non patrimoniale e 3)
un’“ingiustizia costituzionalmente qualificata” chiarendo, in
conformità con quanto altrove già rilevato (P. Fava, La
rivitalizzazione costituzionalmente orientata del rapporto
obbligatorio: gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, di
quella di legittimità e della scienza giuridica italiana, in Id., Le
obbligazioni. Diritto sostanziale e processuale, Milano, Giuffrè, 2008,
153-213, nonché Id., Personalismo costituzionale, drittwirkung e
“tutela risarcitoria minima” delle situazioni soggettive
costituzionalmente garantite: l’art. 2059 c.c. è norma a tipicità
“stretta”, “elastica” oppure atipica? (La protezione degli interessi e
dei valori della persona umana attraverso il danno esistenziale di
nuovo al cospetto delle Sezioni Unite), in Riv. Corte conti, 2007,
316-326, ove si era concluso per il rigetto della tesi della “stretta
tipicità” e l’accoglimento di un sistema a “tipicità elastica”), che
“il catalogo dei casi […] non costituisce numero chiuso. La tutela non
è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente
riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in
virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve
ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema
costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi
emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per
l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni
inviolabili della persona umana” (le situazioni soggettive previste
dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo non ricevendo una
costituzionalizzazione automatica – in tal senso C. cost., 24 ottobre
2007, n. 348 e 349 – non possono beneficiare tout court della tutela
risarcitoria minima – punto 2.11. della decisione 26972/08).
[2]
In relazione alla tutela degli interessi e valori della persona umana,
quindi, la Suprema Corte non ha accolto la tesi della “stretta
tipicità” alla tedesca (c.d. numerus clausus) aderendo, per converso,
alla ricostruzione perorante “tipicità elastica”.
[3] C. cost., 12 luglio 1979, n. 87 e 26 luglio 1979, n. 88.
[4] C. cost., 14 luglio 1986, n. 184.
[5] C. cost., 11 luglio 2003, n. 233.
[6] Punto 4.1. della decisione 26972/08.
[7]
Secondo le Sezioni unite, difatti, l’“ingiustizia costituzionalmente
qualificata” verrebbe in rilievo solo in relazione a situazioni
soggettive “costituzionalmente inviolabili” (sembrerebbero esclusi
dalle guarentigie della “tutela risarcitoria minima” quegli interessi
che, pur costituzionalmente previsti, non abbiano tale carattere).
Non
è chiaro, tuttavia, se la Cassazione consideri “inviolabili” tutti gli
interessi e i valori della persona umana, non identificando né fornendo
un catalogo esemplificativo di quelli che tali non siano.
È
noto che la Consulta, a differenza della Suprema Corte, non si sia mai
impegnata (fino ad oggi) ad usare una terminologia simile che è, per
converso, di conio dottrinale [E. Navarretta, Diritti inviolabili e
risarcimento del danno, Torino, Giappichelli, 1996; in seguito Id., I
danni non patrimoniali. Lineamenti sistematici e guida alla
liquidazione, Milano, Giuffrè, 2004, 18-19 e 35 ss. e G. Comandè,
Diritto privato europeo e diritti fondamentali. Saggi e ricerche,
Torino, 2004, 34; la dottrina ha fatto leva sulla decisione della
Consulta del 19 maggio 1971, n. 109. Va in contrario rilevato che, a
parte il rilievo che la questione concreta interessava la materia
previdenziale (un pensionato affermava di essere stato leso dalla legge
di recepimento dell’accordo Italia-Libia sul trasferimento delle
posizioni assicurative dell’INPS all’ente previdenziale libico il
quale, in applicazione della legge libica, aveva corrisposto una
pensione inferiore a quella che il ricorrente avrebbe percepito
dall’INPS), la Corte non ha voluto espressamente prendere posizione
sulla questione dei confini dell’inviolabilità: “A prescindere da ogni
altra considerazione sulla classificabilità di un diritto, solo perché
costituzionalmente garantito, fra i diritti inviolabili dell’uomo”,
punto 3 del “considerato in diritto”].
Nella
trilogia Maccarone-Dell’Andro-Marini il Giudice delle Leggi, difatti,
non ha limitato la fruibilità della tutela risarcitoria minima alle
violazioni di situazioni soggettive cui la Carta costituzionale
riconosca il carattere dell’inviolabilità (sul punto C. conti, 24
aprile 2009, n. 473 secondo cui “le previsioni costituzionali integrano
pienamente il requisito previsto dall’art. 2059 c.c. (che
contrariamente a quanto comunemente ritenuto non contempla una “riserva
di legge” ma una mera “previsione di legge”), anche perché le
richiamate sentenze della Consulta (C. cost., 87 e 88/79, Id., 184/86 e
Id., 233/03) non hanno subordinato la “tutela risarcitoria minima” al
requisito dell’inviolabilità ma esclusivamente alla copertura
costituzionale della situazione soggettiva pregiudicata attivata in
giudizio attraverso l’azione risarcitoria”), anzi, in numerose
occasioni ha precisato che la predetta tutela risarcitoria deve essere
sempre concessa in relazione a “tutti i danni che potenzialmente
ostacolano le attività realizzatrici della persona umana (sentt. Corte
cost. nn. 184 del 1986 e 307 del 1990)” (C. cost., 7 maggio 1991, n.
202)).
A
questo punto pare che, anche per l’espresso accoglimento da parte delle
Sezioni unite della tesi della “tipicità elastica”, i giudici di merito
dovranno effettuare una valutazione che sia il più vicino possibile
agli orientamenti della Corte costituzionale e alla coscienza comune
attuale. Sotto tale questo profilo, dunque, dovrà chiarirsi se esistano
e quali siano i valori ed interessi della persona “non inviolabili” e
se sia costituzionalmente ammissibile privare questi ultimi della
guarentigia (costituzionale) della “tutela risarcitoria minima”.
[8]
Le Sezioni unite, introducendo ai fini dell’“ammissione a risarcimento”
un “requisito ulteriore” non contemplato dall’art. 2059 c.c., hanno
sancito che non tutti i pregiudizi inferti a situazioni soggettive
“costituzionalmente inviolabili” possono dare luogo al risarcimento dei
danni non patrimoniali ma esclusivamente quelli che determinino
un’“offesa grave” e un “danno serio” (“la gravità dell’offesa
costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei
danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti
costituzionalmente inviolabili” e che “il diritto deve essere inciso
oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio”;
l’introduzione del requisito viene fondato sul dovere di tolleranza
precisando che “la lesione deve eccedere una certa soglia di
offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole
di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza”, di
guisa che “il filtro della gravità della lesione e della serietà del
danno” possa attuare un “bilanciamento tra il principio di solidarietà
verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il
risarcimento del danno non patrimoniale” sia “dovuto solo nel caso in
cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia
futile”. Ciò perché “pregiudizi connotati da futilità ogni persona
inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del
dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.)” –
punto 3.11. della decisione 26972/08).
[9] Punto 4.8. della decisione 26972/08.
[10]
Non è chiaro per quale ragione debba escludersi l’attivabilità
giurisdizionale delle c.d. small claims (liti di piccolo taglio),
laddove venga in rilievo una situazione soggettiva costituzionalmente
rilevante, per giunta “inviolabile” (come affermano le Sezioni unite),
che deve essere garantita e rispettata anche nei rapporti interprivati.
Va
chiarito, dunque, che, un conto è l’analisi degli aspetti qualitativi
(attinente al se la situazione soggettiva sia costituzionalmente
rilevante), altro la valutazione di quelli quantitativi che rilevano
soltanto ai fini della liquidazione.
Laddove
l’interesse protetto abbia già superato la prima fase di valutazione
(trattandosi di un caso di “ingiustizia costituzionalmente
qualificata”) rinvenendo protezione a livello costituzionale
(mantenendo, peraltro, le anzidette riserve al criterio limitante
dell’“inviolabilità”), non si comprende quale sia la base giuridica che
consenta di introdurre la regola “de minimis”.
Se
il livello di protezione è così alto (“inviolabilità”) ci si
aspetterebbe, infatti, una protezione quantitativa di ampio raggio.
[11]
Affermare che delle offese non gravi né serie “non curat Praetor”
(regola “de minimis”) significherebbe creare una disparità di
trattamento irragionevole tra danno patrimoniale e non senza alcuna
base normativa. Nessuno, difatti, ha mai pensato, ad esempio, a
falcidiare la tutela di lavoratori, pensionati o consumatori che si
dolgano della mancata corresponsione di infinitesime voci stipendiali o
pensionistiche oppure facciano valere questioni di natura contrattuale
consumeristica sol perché le pretese attivate siano di piccolo taglio
(small claims).
[12] COM(2008)794.
[13]
Le Sezioni unite precisano che laddove vengano “in considerazione
pregiudizi che, in quanto attengano all’esistenza della persona, per
comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come
esistenziali” (punto 3.4.2.) non potrebbe comunque “configurarsi una
autonoma categoria di danno” (punto 3.4.2.) dovendosi, per converso,
ricorrere al danno biologico (che con riferimento ai pregiudizi alla
vita di relazione ha una “portata tendenzialmente omnicomprensiva”
(punto 2.1.)) oppure al “danno morale, nella sua rinnovata più ampia
configurazione” (punto 4.9.).
[14] Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572.
[15] Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572.
[16]
Cass. sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3677 “nessuna allegazione in fatto
è stata effettuata sulla esistenza del pregiudizio”, punto 11; Cass.,
sez. lav., 26 febbraio 2009, n. 4665.
[17]
Cass., sez. I, 18 marzo 2009, n. 6574 (“nessuna specifica allegazione
di tale danno è stata articolata”); Cass., sez. I, 13 gennaio 2009, n.
529 (“quanto al danno esistenziale, poiché la Corte territoriale ha
correttamente individuato il relativo onere probatorio in capo al
ricorrente, ha ritenuto l’assunto non provato e la statuizione non è
stata oggetto di censura”).
[18] Cass., sez. I, 6 marzo 2009, n. 5592, Id., sez. I, 23 marzo 2009, n. 7005.
[19] Cass., sez. I, 6 marzo 2009, n. 5592 (punto 2.).
[20]
Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 557, ove si afferma che
correttamente il giudice di merito ha riassorbito il danno da lesione
del rapporto parentale nel danno morale.
Per
l’analisi sistematica della decisione F. Fedeli, M. Carnì, La
responsabilità per pubblicità ingannevole e da spamming, in P. Fava, La
responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 2009.
[21] Cass., sez. un., 15 gennaio 2009, n. 794.
[22] In questi precisi termini Cass., sez. un., 15 gennaio 2009, n. 794.
[23] Cass., sez. un., 15 gennaio 2009, n. 794.
[24] Cass., sez., III, 11 febbraio 2009, n. 3359.
[25] Cass., sez., III, 13 gennaio 2009, n. 469.
[26] Cass., sez. III, 27 giugno 2007, n. 14846.
[27] Cass., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4493.
[28]
Secondo la Cassazione francese la morte di un animale (nella specie il
“cavallo Lunus”) può costituire per il suo proprietario la scaturigine
di un pregiudizio d’ordine soggettivo e affettivo suscettibile di dare
luogo a riparazione monetaria (Cass., 1re, 16 gennaio 1962, D. 1962,
199; in termini Cass., 1re, 27 gennaio 1982, JCP 1983, II, 19923).
[29] Cass., sez. III, 20 gennaio 2009, n. 1351.
[30] Cass., sez. III, 13 maggio 2009, n. 11059.
[31] Cass., sez. III, 31 marzo 2009, n. 7875.
[32]
Cass., sez. III, 9 aprile 2009, n. 8703 (“nella specie, non sussiste
un’“ingiustizia costituzionalmente qualificata”, tantomeno si verte in
un’ipotesi di danno patrimoniale prevista dal legislatore ordinario,
risultando, piuttosto, la ritenuta lesione del “diritto alla
tranquillità” insuscettibile di essere monetizzata, siccome
inquadrabile in quegli sconvolgimenti quotidiani “consistenti in
disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione
(c.d. bagattellari) ritenuti non meritevoli di tutela risarcitoria””).
[33]
C. conti, sez. Campania, 24 aprile 2009, n. 473, secondo la quale il
danno al senso di appartenenza alla repubblica (c.d. danno
all’immagine), pur non avendo natura inviolabile, riceve sicuramente
una copertura costituzionale (“Si evince dagli atti, del resto, la
rilevante qualifica rivestita da tre dei quattro convenuti con funzione
di sindaco, vice-sindaco e/o consigliere comunale mentre l’addebito per
danno all’immagine può essere contestato solo entro certi limiti al P.
titolare di una funzione non apicale quale quella di esperto
amministrativo della commissione di gara. L’attività posta in essere
dai convenuti, integrando astrattamente specifiche previsioni di reato
(in concreto patteggiate o estinte per prescrizione o per morte del
reo), costituisce, a prescindere da valutazioni penalistiche, un
comportamento gravissimo anche in considerazione del fatto che tre dei
quattro convenuti figuravano come il “vertice ideale” della comunità
amministrata. La cattiva gestione delle finanze pubbliche genera nei
consociati un senso di sconforto e delusione, nonché mina alle radici
il senso di appartenenza allo “Stato-persona”. Tale pregiudizio,
costituzionalmente rilevante ai sensi dell’art. 1, 5, 97, 114 Cost.,
deve essere risarcito in favore dell’Ente pubblico locale danneggiato
(Comune di Forio). La Repubblica, difatti, una ed indivisibile,
costituita da enti locali, regioni e dallo Stato, è sensibile alla
promozione del senso civico dei cittadini e alla pubblicizzazione delle
proprie attività promozionali dei beni e degli interessi della persona,
nonchè accrescitive della concorrenzialità e potenzialità del sistema
economico-sociale. Ingenti risorse pubbliche vengono riversate per
migliorare la qualità della comunicazione istituzionale (legge 7 giugno
2000, n. 150, recante “disciplina delle attività di informazione e di
comunicazione delle pubbliche amministrazioni”), anche con la
costituzione di uffici stampa e l’implementazione di web sites più
efficienti e chiari, nonché, con particolare riferimento agli enti
locali, attraverso la promozione di attività culturali, ricreative,
sociali (per esempio feste di paese, manifestazioni, esposizioni,
sagre, etc.). Tutte queste spese per promuovere la “cultura dello
Stato” e il “senso di appartenenza dei cittadini e delle imprese alla
Repubblica” sono vanificate da condotte quali quelle poste in essere
dai convenuti che riescono a mandare in fumo gli sforzi di corretta e
sana gestione della gran parte degli Amministratori italiani che
giustificano, agli occhi della collettività, il prelievo fiscale
pubblico che si dirige verso forme sempre più articolate di
“federalismo fiscale”. Essendo, quindi, ammissibile in concreto una
pretesa risarcitoria da lesione del senso di appartenenza dei cittadini
alla Repubblica (c.d. “danno all’immagine” – Cass., sez. un., 25 giugno
1997, n. 5668; Id., 25 ottobre 1999, n. 744; Id., 4 aprile 2000, n. 98;
Corte conti, sez. riun., 28 maggio 1999, n. 16/1999/QM, Id., 23 aprile
2003, n. 10/2003/QM), a prescindere dal dibattito sulla controversa
natura giudica dello stesso (patrimoniale o non patrimoniale),
l’esistenza della descritta situazione costituzionalmente rilevante
(così C. cost. 233/03; in precedenza C. cost., 87 e 88/79 e Id.,
184/86), lo rende sicuramente possibile oggetto di ristoro patrimoniale
per equivalente pecuniario (ex art. 2043-2059 c.c. e 1, 5, 97, 114
Cost.). Difatti le previsioni costituzionali integrano pienamente il
requisito previsto dall’art. 2059 c.c. (che contrariamente a quanto
comunemente ritenuto non contempla una “riserva di legge” ma una mera
“previsione di legge”), anche perché le richiamate sentenze della
Consulta (C. cost., 87 e 88/79, Id., 184/86 e Id., 233/03) non hanno
subordinato la “tutela risarcitoria minima” al requisito
dell’inviolabilità ma esclusivamente alla copertura costituzionale
della situazione soggettiva pregiudicata attivata in giudizio
attraverso l’azione risarcitoria. Il “danno al senso di appartenenza
dei cittadini alla Repubblica” (c.d. danno all’immagine), peraltro, nel
rispetto della sua natura giuridica di danno-conseguenza, risulta
ampiamente asseverato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi: clamor
fori, gravità delle condotte, lesione del senso di appartenenza dei
cittadini allo “Stato” (rectius Repubblica). Al riguardo, come
ampiamente condiviso dalle Sezioni Unite della Cassazione, si può
pacificamente far ricorso a presunzioni gravi, precise e concordanti
(Cass., sez. un., 13 novembre 2008, n. 26972). Nel rispetto del
principio compensativo [in Italia i danni punitivi sono contrari
all’ordine pubblico (Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2007, 1183) e,
secondo una certa ricostruzione, anche al principio di ragionevolezza
posto dall’art. 3 Cost. (App. Trento, sez. Bolzano, 16 agosto 2008, n.
151)] il danno al senso di appartenenza dei cittadini alla Repubblica
può ben essere liquidato equitativamente ex art. 1226-2056 c.c. Nel
concreto i fatti dannosi tangentizi sono gravissimi e posti in essere
da soggetti posti al vertice della comunità amministrata in dispregio
di ogni principio di “morale politica”).
[34]
Sul punto Cons. stato, sez. IV, 31 marzo 2009, n. 1899, secondo cui va
accolta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale subito da
un magistrato per l’attribuzione dell’incarico al quale aveva diritto
ad altro soggetto, ove si possano ragionevolmente ritenere
effettivamente verificati e provati gli stress e i patemi d’animo
conseguenti allo scavalcamento (nella specie disposto con un atto
discostatosi dal giudicato), e allo svolgimento dell’incarico da parte
del collega all’interno del medesimo ufficio (“13.1. Va premesso che il
sereno svolgimento delle funzioni da parte dei magistrati ha un sicuro
rilievo costituzionale, così come la loro aspirazione a conseguire gli
incarichi direttivi, previsti dalla legge. L’art. 104 Cost., sulla
indipendenza della magistratura, e l’art. 105 Cost., sulle funzioni del
C.S.M., mirano a salvaguardare la magistratura nel suo complesso ed
ogni suo singolo componente. Analoghi principi sono desumibili dalla
Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (rilevanti nell’ordinamento
interno per l’art. 117 Cost. e l’art. 6 del Trattato di Maastricht), da
cui emerge che le Amministrazioni devono dare pronta e integrale
esecuzione alle decisioni irrevocabili di giustizia, emesse a tutela
del magistrato (CEDU, Sez. V, 26-4-2006, Zubko c. Ucraina, § 68; CEDU,
Sez. V, 20-12-2007, Ptashko c. Ucraina, § 19; Sez. V, 15-5-2008,
Petrova, § 19). Pertanto, l’illecito commesso in violazione della
posizione soggettiva del magistrato, inerente alle sue funzioni,
comporta una ingiustizia costituzionalmente qualificata. Rilevano,
conseguentemente, i principi individuati dalle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione con la sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, per i
quali l’art. 2059 del codice civile – anche nell’ambito dei rapporti di
lavoro – consente la risarcibilità dei pregiudizi di tipo esistenziale
non solo quando l’illecito costituisca reato o comporti la violazione
di un diritto inviolabile della persona, ma in ogni caso in cui sia
ravvisabile la lesione di un bene costituzionalmente protetto. Di tali
pregiudizi conosce il giudice amministrativo, nelle materie devolute
alla sua giurisdizione esclusiva (Sez. Un., 13 ottobre 2006, n. 22101),
sicché – per la liquidazione del danno – si può tenere conto della
incidenza dell’illecito sul sereno svolgimento delle funzioni da parte
del magistrato e delle conseguenze di tipo esistenziale derivanti dal
mancato conferimento di un incarico previsto dalla legge. 13.2. Ciò
posto, risultano infondate le deduzioni delle Amministrazioni
appellanti incidentali, secondo cui la mancata qualificazione
dell’illecito come reato renderebbe irrilevante il danno non
patrimoniale e precluderebbe la sua risarcibilità. Infatti, anche con
riferimento ai rapporti di lavoro, il danno non patrimoniale è
risarcibile quando l’illecito e la lesione riguardino beni
costituzionalmente protetti, tra cui rientrano le prerogative dei
magistrati e del loro status nell’esercizio delle loro funzioni.
Inoltre, nella specie si possono ragionevolmente ritenere
effettivamente verificati e provati gli stress e i patemi d’animo
(dedotti in primo grado e ritenuti sussistenti dal TAR) conseguenti
allo scavalcamento disposto con l’atto discostatosi dal giudicato, e
allo svolgimento dell’incarico da parte del collega all’interno del
medesimo ufficio. 13.3. Quanto alle censure dell’interessato, volte a
una liquidazione del danno non patrimoniale in misura superiore a
quella statuita nella sentenza gravata, a pp. 4-17 l’appello principale
si è soffermato sulla gravità dell’illecito, ha riproposto le deduzioni
originarie sul danno all’immagine, sulla umiliazione ricevuta e sul
disagio e sullo stress derivante dalla incidenza sulla fiducia nella
legge e nelle istituzioni ed ha chiesto che siano considerati il danno
morale soggettivo, il danno biologico e quello esistenziale” (p. 16).
Osserva al riguardo la Sezione che vanno respinte le deduzioni
riguardanti il danno biologico, poiché non è stato né dedotto né
provato che si sia verificata una lesione temporanea o permanente
all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento
medico-legale. Quanto alle censure riguardanti la liquidazione ‘in
misura esigua’ del danno morale e dei pregiudizi di tipo esistenziale,
ritiene la Sezione che per la determinazione del quantum possa essere
presa in decisiva considerazione anche l’attività amministrativa
susseguente alla commissione dell’illecito, specie quando essa sia
positivamente valutabile, in quanto qualificabile secundum ius. Per la
liquidazione del danno secondo equità, rileva dunque anche la
successiva emanazione della delibera dell’organo di autogoverno del 22
marzo 2007, favorevole all’interessato. La negativa incidenza
sull’immagine e sul prestigio professionale dell’interessato si deve
intendere senz’altro ridimensionata con l’emanazione di questa
delibera, che gli ha conferito l’incarico di avvocato generale sulla
base dei relativi apprezzamenti, a seguito della reiezione della
formulata proposta di ritorno della ‘pratica in commissione’ (che ha
condotto alla definizione dell’annosa questione con il provvedimento
finale divenuto inoppugnabile). L’approvazione di tale delibera –
susseguente alla commissione dell’illecito – induce a ritenere che, già
alla data di proposizione del ricorso di primo grado, risultava
ridimensionato il danno non patrimoniale originariamente patito
dall’interessato, nella misura equitativamente liquidata dal TAR.
Inoltre, per escludere una liquidazione superiore a quella effettuata
dal TAR rileva anche il fatto che per la prima volta nel presente
giudizio sono stati indicati i principi applicabili per ravvisare la
responsabilità amministrativa dell’organo di autogoverno, nella
specifica fattispecie in cui non vi sia stata la corretta esecuzione
del giudicato”).
[35]
Trib. Nola, sez. II, 22 gennaio 2009 (danni riportati da un bambino per
un morso di un cane improvviso ed inaspettato al viso); Trib. Milano,
sez. V, 19 febbraio 2009, n. 2334 (danni da incidente stradale); Trib.
Montepulciano, 20 febbraio 2009, n. 74 (danni da reiterata e protratta
violazione della carta del servizio pubblico telefonico).
[36] Cass., sez. III, 20 gennaio 2009, n. 1351.
[37] Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 557; Id., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3359.
[38] Cass., sez. III, 20 gennaio 2009, n. 1351.
[39] Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 557; Id., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3359.
[40]
“In this Book […] non-economic loss includes pain and suffering and
impairment of the quality of life” (art. VI. – 2:101 dei Principles,
Definitions and Model Rules of European Private Law – Draft Common
Frame of Reference (DCFR) – Outiline Edition, 2009).
[41]
“L’indemnité due par le responsable doit réparer non seulment
l’atteinte à l’intégrité physique de la victime, mais aussi, le cas
échéant, le préjudice résultant de la diminution des plaisirs de la
vie, causée notemment par l’impossibilité ou la difficulté de se livrer
à certaines activités normales d’agrément” (Paris, 2 dicembre 1977, D.
1978, 285, con commento di Lambert-Faivre).
[42]
La Cassazione francese danno esistenziale (préjudice d’agrément) ogni
pregiudizio di carattere personale risultante da turbamenti, disturbi o
scompigli alle normali condizioni della vita che determinino privazioni
e perdite dei piaceri ordinari dell’esistenza (“Le préjudice d’agrément
est le préjudice subjectif de caractère personnel résultant des
troubles ressentis dans les conditions d’existence” Cass., ass. plén.,
19 dicembre 2003, in Bull. civ., 8, in D., 2004, 161 e in RTD civ.
2004, 300).
[43]
Cass., 2e, 3 giugno 2004, in Bull. civ., II, n. 276; Id., 19 aprile
2005, in Bull. civ., II, n. 99; Id., 11 ottobre 2005, in Bull. civ.,
II, n. 242; Id., 5 ottobre 2006, in Bull. civ., II, n. 254).