La perizia disposta in sede penale è una prova presuntiva che “salva” il contribuente nella lite con il Fisco
L’accertamento penale? Non è vincolante in sede tributaria. Ma il
giudice chiamato a comporre la lite contribuente-Fisco può ben
esonerare l’amministratore di una società di persone dalla
responsabilità solidale con la compagine rispetto alle sanzioni,
fondando il proprio convincimento sull’esito di una perizia disposta
nell’altro giudizio. A patto, però, che compia un’autonoma valutazione
sugli elementi acquisiti in sede penale. È quanto emerge dalla sentenza
21976/09, emessa dalla sezione tributaria della Cassazione.
E’ stata
confermata, contro le conclusioni del pm, la sentenza di merito
favorevole alla contribuente, amministratrice e socia accomandataria di
un’azienda che commercia in preziosi. La rettifica Iva scatta perché
nella cassaforte della donna i finanzieri trovano sette agende che
ricostruiscono le operazioni di compravendita dell’azienda e una certa
quantità di gioielli. Sospettare di conti “in nero” e mancata
fatturazione, per l’amministrazione, è automatico. Ma attenzione, il
processo verbale di constatazione non è allegato agli atti del giudizio
ed è escluso che si possa provvedere d’ufficio: il giudice non può
sopperire alle carenze istruttorie delle parti. Resta confermata la
valutazione per cui, vista la corrispondenza fra le fatture intestate
alla società e la merce ritrovata nella cassaforte
dell’amministratrice, i gioielli fossero conservati in attesa di
autorizzazione alla vendita. La mancata produzione del verbale
impedisce i riscontri sulle altre tesi “accusatorie”, a partire dalle
risultanze dei conti correnti. Legittimamente il giudice tributario usa
come prova presuntiva la perizia disposta nel giudizio penale anche se
quest’ultimo fu definito con una pronuncia che non ha efficacia di
«giudicato opponibile»: egli valuta gli elementi acquisiti in sede
penale alla luce delle regole sulla distribuzione dell’onere della
prova nel giudizio tributario.