La Philips Morris condannata a pagare i danni alla vedova di un fumatore
New York. La vedova di un
fumatore morto di cancro ha messo ko la Philip Morris. La Corte Suprema degli
Stati Uniti ha messo fine a un braccio di ferro decennale tra il gigante del tabacco
e Mayola Williams, una donna dell’Oregon che aveva accusato l’industria delle
sigarette di non fornire informazioni sufficienti sui rischi da fumo. I giudici
di Washington hanno respinto, senza dissensi e senza fornire motivazioni,
l’ultimo appello della multinazionale lasciando in piedi una sentenza che
condanna la Philip Morris a pagare danni per 79,5 milioni di dollari, saliti a
145 milioni con gli interessi. La decisione della Corte, la seconda sul caso
dell’Oregon, è con ogni probabilità l’epilogo della vicenda che ha visto
protagonista la vedova di Jesse Williams, un custode di Portland che aveva
cominciato a fumare negli anni Cinquanta nell’esercito ed è morto nel
al polmone. La donna aveva avviato, poco dopo la morte del marito, l’azione
legale contro la Philip Morris, sostenendo che la società andava ritenuta
responsabile per aver lasciato credere ai fumatori che i propri prodotti, e in
particolare le Marlboro aspirate dal marito per oltre 40 anni, non creano fenomeni
di dipendenza. Due anni fa la stessa Corte Suprema aveva respinto, sia pure di
stretta misura, la richiesta di maxi-risarcimento della Williams argomentando
che ripagare la vedova, «una persona non direttamente danneggiata, potrebbe
creare precedenti e standard difficili da gestire nel futuro». Era stata una
boccata d’ossigeno per i produttori di tabacco, ma una vittoria di breve durata
anche perché i giudici di Washington si erano rifiutati di porre paletti per
future cause, tant’è che la Williams era tornata alla carica. Lo stato
dell’Oregon si è affiancato in questi anni alla vedova e riceverà, se la
vicenda non avrà altri sviluppi giudiziari, il 60% del risarcimento che verrà
devoluto a un fondo per le vittime di crimini violenti. Un giudice aveva ritenuto
Philip Morris colpevole una prima volta nel 1999 e la Corte suprema dell’Oregon
nel 2002 aveva respinto la richiesta di appello. La stessa decisione è arrivata
adesso dai giudici di Washington, nei quali l’industria del tabacco confidava
per una sentenza che mettesse un freno ai maxi-risarcimenti. L’attuale verdetto
apre infatti la strada ad analoghi pronunciamenti. Intanto, in Italia la
Commissione Sanità del Senato è impegnata ad approvare in tempi brevi una legge
bipartisan che prevede, tra l’altro, l’obbligo per i produttori di inserire nei
pacchetti il cosiddetto bugiardino, un foglietto illustrativo sulla presenza di
sostanze cancerogene ad oggi sconosciute. «Abbiamo chiesto la deliberante. I
gruppi sono d’accordo, ma non abbiamo ancora avuto l’autorizzazione a
procedere. L’intenzione è di fare in fretta», annuncia il presidente della
Commissione, Antonio Tomassini.