La posizione della “testa di legno” per gli illeciti dell’amministratore di fatto
Per quanto attiene alla bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione delle scritture contabili, secondo gli ermellini, si può ritenere la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (la c.d. testa di legno), stante il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture.
Contrariamente, nel caso di bancarotta patrimoniale (o per distrazione), nei confronti dell’amministratore apparente, non può trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di alcuni beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato recepimento, in assenza di una adeguata destinazione impressa agli stessi, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, posto che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non implica necessariamente la consapevolezza dei disegni criminosi degli amministratori di fatto.
Tutto ciò con la precisazione, secondo la quale “per la figura dell’amministratore di fatto […] vale il principio della assoluta equiparazione alla figura dell’amministratore di diritto quanto a doveri, sicché si è rilevato che l’amministratore di fatto, in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 c.c., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40 c.p., comma 2”.