La qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella iniziale stipulazione del contratto di lavoro non è determinante
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8300 del 25 maggio 2012, torna sul tema della qualificazione del rapporto di lavoro sottolineando in particolare le differenze che intercorrono tra il lavoro autonomo e quello subordinato. Nello specifico la Suprema Corte sottolinea che “ai fini della configurabilità del lavoro subordinato e la sua distinzione da quello autonomo, sono decisivi l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro con la conseguente limitazione della sua autonomia e il suo inserimento nell’organizzazione aziendale, mentre la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella iniziale stipulazione del contratto non è determinante, stante la idoneità, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad esprimere sia una diversa effettiva volontà contrattuale, sia una nuova diversa volontà”. Inoltre i giudici di legittimità ribadiscono, come già affermato da diverse pronunce della Corte, che “l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è il vincolo di soggezione personale del lavoratore – che necessita della prova di idonei indici rivelatori, incombente sullo stesso lavoratore – al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale; pertanto, gli altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione, ed eventuali altri, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire gli indici rivelatori, complessivamente considerati e tali da prevalere sull’eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, attraverso i quali diviene evidente nel caso concreto l’essenza del rapporto, e cioè la subordinazione, mediante la valutazione non atomistica ma complessiva delle risultanze processuali: la relativa valutazione di fatto di tali elementi è rimessa al giudice del merito, con la conseguenza che essa, se risulta immune da vizi giuridici ed adeguatamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità, ove, invece, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto”.