La rinuncia alla reintegrazione nel posto di lavoro può essere oggetto di transazione
È valida la transazione conclusa tra dipendente illegittimamente
licenziato e datore di lavoro che ha ad oggetto la rinuncia, del primo,
alla reintegrazione nel posto di lavoro. In punto di diritto, infatti,
sono invalidi e, quindi, impugnabili i soli atti abdicativi di diritti
del prestatore di lavoro derivanti da prestazioni inderogabili di legge
o dei contratti collettivi o accordi collettivi. Lo ha chiarito la
Cassazione nella sentenza 22105/09 con cui ha confermato la legittimità
dell’accordo transattivo firmato dalla dipendente di una cooperativa
che, accettando la somma di settanta milioni delle vecchie lire a saldo
e stralcio di ogni spettanza, aveva così rinunciato agli atti ed
all’impugnativa del suo licenziamento. Insomma, nel nostro ordinamento
non è vietato disporre a titolo transattivo del proprio posto di lavoro
perché l’atto non riguarda un diritto indisponibile. Per giurisprudenza
di legittimità consolidata, infatti, la reintegrazione nel posto di
lavoro è un diritto disponibile escluso dalla previsione dell’articolo
2113 Cc. Di conseguenza, il lavoratore può liberamente disporre del
diritto di impugnare il licenziamento facendone oggetto di rinunce e
transazioni che sono sottratte alla disciplina della norma richiamata.
La sezione lavoro del Palazzaccio, sul punto, ha aggiunto che
l’interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro
rientra nell’area della libera disponibilità ed è desumibile «dalla
facoltà del recesso ad nutum di cui il medesimo dispone,
dall’ammissibilità di risoluzione consensuali del contratto di lavoro e
dalla possibilità di consolidamento degli effetti del licenziamento
illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione». Insomma, il dipendente può disporre negozialmente e definitivamente del proprio posto.