La riproduzione di atti processuali rende inammissibile il ricorso in Cassazione
Fare copia e incolla degli atti processuali non è sufficiente per rendere ammissibile il ricorso per Cassazione. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 22 ottobre 2012, n. 18137.
Il caso vedeva un ricorrente per Cassazione presentare, come esposizione sommaria dei fatti di causa, riproduzioni delle sentenza di primo e secondo grado, nonché copie fotostatiche di altri documenti processuali.
L’art. 366, n. 3, c.p.c., dispone che il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità l’esposizione sommaria dei fatti della causa.
A tal proposito, mentre, da un lato, non è necessaria una narrativa analitica o particolareggiata, è necessario che sia possibile desumere una conoscenza del fatto, sostanziale e processuale, sufficiente per ben intendere il significato delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice.
Secondo consolidata giurisprudenza, in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366, n. 3, c.p.c., la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso.