La Sentenza che ha annullato la maxi squalifica del Catania Calcio
Dopo le decisioni dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive e del TAR Lazio, il TAR Catania conferma con Sentenza il proprio Decreto Presidenziale dello scorso 4 aprile, accogliendo il ricorso dei 82 abbonati alle partite del Catania Calcio che chiedevano la sospensione cautelare del Provvedimento n. 67 del 14 febbraio 2007 (nonchè dei provvedimenti di conferma in 2° e 3° grado), con cui il Giudice sportivo della F.I.G.C. aveva comminato lo scorso febbraio la squalifica del campo e l’obbligo delle “porte chiuse” per tutte le partite casalinghe della squadra di calcio etnea fino al 30 giugno. Con la sentenza oggi in commento, il TAR ha pure condannato la F.I.G.C. al risarcimento del danno in favore di ciascuno dei ricorrenti, della somma di € 500,00 a titolo di risarcimento del danno esistenziale, e di € 500,00 a titolo di risarcimento del danno all’onore e alla reputazione.
In via preliminare, va precisato che il provvedimento in esame non è un’Ordinanza – la normale pronuncia che il giudice emette a chiusura della fase cautelare di un processo amministrativo – bensì una vera e propria sentenza definitiva, consentita dalla legge limitatamente a quei casi in cui il Collegio, già in fase cautelare, ravvisi “la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso”. Nel merito, dunque, la pronuncia oggi in commento è certamente l’ultimo atto del TAR Catania relativo a questo giudizio, e potrà essere impugnato solo davanti al giudice competente per il secondo grado, che per le sentenze dei TAR siciliani non è il Cons. Stato, bensì il C.G.A..
In tema di giurisdizione e di competenza territoriale la sentenza conferma sostanzialmente quanto già affermato nel suddetto decreto. Stesso discorso vale con riferimento alle questioni di merito, vertenti sull’erronea applicazione del Codice di Giustizia Sportiva.
Particolarmente degni di nota, invece, risultano i passaggi della sentenza in cui i Giudici catanesi chiariscono in maniera approfondita le ragioni del superamento dell’ordinanza del TAR Lazio che aveva revocato il decreto, riassunto davanti a sé il giudizio, e respinto l’istanza cautelare.
Innanzi tutto, secondo il Collegio etneo, l’atto di riproposizione in riassunzione proposto dalla FIGC e poi accolto dal TAR Lazio, è stato previsto dalla legge 280/2003 solo in via transitoria, e quindi non potrebbe applicarsi ai fatti oggetto di causa.
Inoltre, secondo il testo della norma (art. 3, comma 4, legge 280/03: “la parte interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare”), può ritenersi facoltà delle parti solo quella di “riproporre” il ricorso e l’istanza cautelare, ma non chiedere la riassunzione di un ricorso ancora pendente.
Peraltro, secondo il Collegio, tale art. 3, comma 4 deve essere letto, mutatis mutandis, in connessione con le disposizioni che regolano l’istituto del regolamento di competenza: “l’unico strumento previsto nel processo amministrativo per contestare la competenza del TAR periferico adito è esclusivamente costituito dalla proposizione del regolamento di competenza dinanzi al Consiglio di Stato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 31 della legge T.A.R., che, nella specie, non è stato proposto”. Dunque, in assenza di regolamento di competenza, perchè si perfezionasse la riassunzione nel caso in esame, sarebbe dovuto essere proprio il TAR adito a dichiararsi incompetente: “diversamente, non ci sarebbe alcun interesse alla riassunzione del giudizio avanti al Tribunale laziale”.
Il Collegio, infine, non condivide l’ordinanza del TAR Lazio in quanto si pone in contrasto con la pacifica equiordinazione di tutte le Sedi della Giustizia Amministrativa di primo grado: “giammai è prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato come se fosse giudice d’appello o T.A.R. non equiordinato agli altri, ma dotato di poteri speciali, a riformare la decisione del primo giudice”. Per tali ragioni, secondo il TAR etneo, l’interpretazione sostenuta dalla F.I.G.C. e dal T.A.R. Lazio-Roma con la menzionata ordinanza verrebbe a vulnerare gravemente il principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, comma 1, Cost.), il principio del doppio grado della giustizia amministrativa (art. 125, Cost.), il principio del giusto processo (art. 111, Cost.), con conseguente violazione del principio del ne bis in idem.
Qui di seguito il testo integrale della sentenza.
*****
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 0679/07 Reg. Sent.
N. 0729/07 Reg. Gen.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Quarta, composto dai Signori Magistrati:
Dott. Biagio CAMPANELLA Presidente rel. est.
Dott. Francesco BRUGALETTA Consigliere
Dott. Dauno TREBASTONI Referendario
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 729/2007, proposto dal sig. *** + 81, rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. Vincenzo Vitale e Danila Grasso, elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in Catania, via G. Leopardi, n. 7;
contro
-il Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
-la Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, elettivamente domiciliata in Catania, via Ventimiglia, n. 145, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Tamburello;
-la Lega Nazionale Professionisti Serie A, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Ruggero Stincardini, elettivamente domiciliata in Catania, via Monsignor Ventimiglia, n. 145, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Tamburello;
-il Giudice sportivo di primo grado, domiciliato per la carica presso la F.I.G.C., non costituito in giudizio;
-la Commissione Disciplinare della F.I.G.C.,in persona del legale rappresentante, non costituita in giudizio;
-La Commissione di Appello Federale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
e nei confronti della
-SOCIETA’ MESSINA Calcio s.r.l.,in persona del legale rappresentante pro tempore;
con l’intervento ad adjuvandum:
-di ARENA Grazia, ARENA Raimonda, GRASSO Rosina, DI MAURO Rosa ed ANASTASI Nunziata, rappresentate e difese dagli avv.ti prof. Vincenzo Vitale e Danila Grasso, elettivamente domiciliate presso lo studio del primo, in Catania, via G. Leopardi, n. 7;
-della PROVINCIA REGIONALE di CATANIA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Nicolò D’Alessandro e Francesco Mineo, elettivamente domiciliata presso l’Avvocatura dell’Ente, in Catania, via Centuripe, n. 8;
-del COMUNE di CATANIA, in persona del Sindaco pro tempore, costituito in giudizio, rappresentato e difeso dal prof. avv. Vincenzo Vitale, presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Catania, via G. Leopardi, n. 7;
-della CONFEDERAZIONE NAZIONALE NUOVI CONSUMATORI EUROPEI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Gitto, presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Catania, viale XX settembre, n. 28;
per l’annullamento,
previa sospensione dell’esecuzione, del provvedimento n. 67 del Giudice sportivo della F.I.G.C., di cui al comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007, e di ogni atto presupposto, derivato, conseguente e/o direttamente od indirettamente connesso ed, in particolare, dei provvedimenti confermativi pronunciati dalla Commissione Disciplinare della F.I.G.C.(Federazione Italiana Gioco Calcio) e dalla C.A.F. (Commissione Appello Federale) e, per quanto occorra, degli artt. 9, 11 e 14 del vigente “codice di giustizia sportiva” della F.I.G.C.;
nonché
per il rimborso ed il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dai ricorrenti;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore per la Camera di consiglio del 13 aprile 2007 il Presidente Dott. Biagio Campanella; uditi gli avvocati delle parti, come da relativo verbale, anche ai sensi dell’art. 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205, per la definizione del giudizio nel merito a norma del successivo art. 26 della legge innanzi citata.
1) Come appena accennato, ritiene, innanzitutto, il Collegio di potere definire nel merito la controversia in esame procedendo all’emanazione di sentenza in forma semplificata così come previsto dal combinato disposto dell’art. 21, 10° comma, della legge 6.12.1971, n. 1034 (introdotto dall’art. 3, 1° comma, della legge 21.7.2000, n. 205), e dell’art. 26, 4° e 5° comma, della stessa legge n. 1034/1971 (introdotti dall’art. 9, 1° comma, della predetta legge n. 205/2000). In base alle predette norme processuali, infatti, “in sede di decisione della domanda cautelare, il tribunale amministrativo regionale, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria ed ove ne ricorrano i presupposti, sentite sul punto le parti costituite, può definire il giudizio nel merito a norma dell’art. 26” (art. 21, 10° comma, legge T.A.R., aggiunto dall’art. 3, 1° comma, legge n. 205/2000) in tutti i casi in cui ravvisi “la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso” (art. 26, 4° comma, legge T.A.R., aggiunto dall’art. 3, 1° comma, legge n. 205/2000), e ciò, appunto, “nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare” (art. 26, 5° comma, legge T.A.R., aggiunto con la ripetuta “novella” della legge 205 del 2000), al fine di rendere possibile quella c.d. “osmosi” fra la fase cautelare e la fase di merito del processo amministrativo che può consentire di realizzare, in molte controversie, l’obiettivo della “ragionevole durata del processo codificato dall’art. 111, 2° comma, della Costituzione.
Per effetto di tale “osmosi”, inoltre, resta ovviamente superata la necessità, per il Collegio, di procedere “nella prima camera di consiglio utile” (art. 21, 7° comma, legge T.A.R.) all’esame della domanda cautelare ai fini della conferma, modifica o revoca degli effetti del decreto cautelare presidenziale, in quanto viene meno ontologicamente, a seguito della sentenza definitiva, ogni esigenza cautelare per mancanza del presupposto essenziale del “periculum in mora” in attesa della definizione della controversia nel merito.
2) Ciò premesso, vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di rito sollevate dalle parti resistenti.
3) Nell’ordine logico-giuridico, precede ovviamente l’esame dell’eccezione di difetto assoluto di giurisdizione sollevata, in sintesi, sul rilievo che i provvedimenti impugnati costituirebbero esercizio dell’autodichia disciplinare delle Federazioni sportive e riguarderebbero materia riservata all’autonomia dell’ordinamento sportivo a norma dell’art. 1 del D.L. n. 220/2003 convertito, con modificazioni, nella legge n. 280/2003.
Tale eccezione è palesemente infondata.
Innanzi tutto, come affermato, con motivazioni condivisibili, dalla stessa ordinanza n. 1664 del 12.4.2007 del T.A.R. Lazio-Roma-Sezione terza ter (con la quale, previo accoglimento dell’istanza di riassunzione della F.I.G.C., è stato revocato il D.P. cautelare n. 401/2007 del Presidente di questa IV^ Sezione ed è stata altresì respinta l’istanza cautelare dei ricorrenti), “ancorché l’art. 2, lett. b, D.L. n. 220 del 2003, in applicazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo da quello statale, riservi al primo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, tuttavia detto principio, letto unitamente all’art. 1, secondo comma, dello stesso decreto legge, non appare operante nel caso in cui la sanzione non esaurisce la sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo, ma rifluisce nell’ordinamento generale dello Stato (T.A.R. Lazio-3^ Sezione, 22 agosto 2006, n. 4666 (ord.); 18 aprile 2005 n. 2801 e 14 dicembre 2005 n. 13616)”. Inoltre –prosegue la predetta ordinanza del T.A.R. Lazio- “una diversa interpretazione del citato art. 2 D.L. n. 220 del 2003 condurrebbe a dubitare della sua conformità a principi costituzionali, perché sottrarrebbe le sanzioni sportive alla tutela giurisdizionale del giudice statale”. La stessa ordinanza conclude, sul punto, rilevando che, nella vicenda in esame, è impugnata la sanzione disciplinare della squalifica del campo di calcio, con l’obbligo di giocare in campo neutro e a porte chiuse, e quindi senza la presenza del pubblico le gare casalinghe; sanzione che comporta una indubbia perdita economica per la società Catania calcio in termini di mancata vendita di biglietti ed esposizione a possibili azioni giudiziarie da parte dei titolari di abbonamenti.
Per sua natura, quindi, tale sanzione assume indubbia rilevanza anche al di fuori dell’ordinamento sportivo, ed è quindi impugnabile dinanzi al Giudice amministrativo.
Ma, ciò posto in termini generali, il Collegio non può sottrarsi all’obbligo di delineare con maggior precisione quale sia la posizione giuridica soggettiva azionata col ricorso in esame, e ciò al fine precipuo di eliminare in radice ogni dubbio residuo in ordine alla possibilità giuridica di configurare, in materia, il difetto assoluto di giurisdizione.
In proposito, deve ritenersi che, come precisato dai difensori dei ricorrenti nella memoria depositata nel corso dell’udienza camerale, l’azione proposta col ricorso in esame tende congiuntamente alla rimozione della lesione, asseritamente subita per fatto e colpa del terzo (la F.I.G.C.), del diritto di credito (c.d. tutela aquiliana del credito) vantato dagli abbonati nei confronti della società sportiva Catania calcio s.p.a., nonché alla tutela dei connessi o correlati diritti personalissimi ed inviolabili (art. 2 della Costituzione) all’immagine, all’onore ed al decoro degli stessi abbonati, attraverso l’emanazione di pronunce (prima cautelari e, poi, di merito) idonee anche alla “reintegrazione in forma specifica” dei diritti lesi (così come previsto, nell’ambito della giurisdizione elusiva, dall’art. 35, 1° comma, del decreto legislativo n. 80/1998, nel testo sostituito dall’art. 7, 1° comma, lettera c, della ripetuta legge n. 205/2000, nonché, per quanto concerne anche la giurisdizione generale di legittimità, dall’art. 7, 3° comma, della legge TAR, nel testo sostituito dall’art. 7, 4° comma, della stessa legge n. 205/2000, oltre che, con estensione analogica in entrambi tali ambiti, dall’art. 2058 del codice civile).
Da diversi anni la giurisprudenza riconosce la c.d. tutela aquiliana del credito. Originariamente, la tutela accordata dall’ordinamento giuridico per reagire contro il danno derivante da fatto illecito ex art. 2043 c.c. era circoscritta ai diritti reali ed ai diritti personali (libertà, onorabilità, etc.); in un secondo momento, la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha esteso tale tutela ai c.d. diritti relativi, ossia valevoli o esercitabili soltanto nei confronti di soggetti determinati o determinabili, quali il diritto di credito.
Per quanto concerne, in particolare, tali diritti di credito, aventi ad oggetto prestazioni personali ed infungibili, è stata riconosciuta la legittimazione del creditore danneggiato a rivolgersi direttamente al terzo autore del fatto illecito, che ha reso impossibile la prestazione, e non al debitore impossibilitato ad adempiere a causa, appunto, di tale fatto illecito.
Comunque, per quanto riguarda i ricorrenti, il credito, che trova il suo momento genetico nel rapporto contrattuale intercorrente con la società in esito alla stipula del contratto di abbonamento, non è rappresentato soltanto dal diritto di assistere alle gare casalinghe, ma anche da tutto quell’insieme di condizioni psicologiche, sociali, ambientali e ludiche la cui violazione costituisce danno morale ed esistenziale.
L’impossibilità per i ricorrenti di assistere a tali incontri non deriva ovviamente da inadempimento colpevole imputabile alla società, ma dall’adozione degli atti impugnati, adottati dalla resistente F.I.G.C.
La suprema Corte ha, in proposito, affermato: “La tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. deve ammettersi anche con riguardo al pregiudizio patrimoniale sofferto dal titolare di diritti di credito, non trovando ostacolo nel carattere relativo di questi ultimi in considerazione della nozione ampia generalmente accolta di danno ingiusto come comprensivo di qualsiasi lesione dell’interesse che sta alla base di un diritto, in tutta la sua estensione. Trova, in tal modo, protezione non solo l’interesse rivolto a soddisfare il diritto (che, nel caso di diritti di credito, è attivabile direttamente nei confronti del debitore della prestazione oggetto del diritto), ma altresì l’interesse alla realizzazione di tutte le condizioni necessarie perché il soddisfacimento del diritto sia possibile, interesse tutelabile nei confronti di chiunque illecitamente impedisca tale realizzazione. In siffatta prospettiva trova fondamento la tutela aquiliana del diritto di credito. L’area di applicazione della responsabilità extracontrattuale per la lesione del diritto di credito va, peraltro, circoscritta ai danni che hanno direttamente inciso sull’interesse oggetto del diritto” (cfr., Cassazione civile-Sez. 3^, n. 7337 del 27 luglio 1998).
Conclusivamente, non si può in alcun modo dubitare che sussista, nella materia de qua la giurisdizione del G.A., che deve considerarsi esclusiva alla stregua della espressa qualificazione in tal senso contenuta nel predetto art. 3, 1° comma, della legge n. 280/2003.
4) Conseguentemente, alla stregua delle argomentazioni che precedono, deve essere disattesa l’ulteriore eccezione di difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti.
Anche tale eccezione, del resto, è stata rigettata con la menzionata ordinanza n. 1664/2007 della Sezione terza ter del T.A.R. Lazio-Roma, in base ai seguenti testuali rilievi:
“Ritenuto di dover disattendere anche l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, sollevata sempre dalle parti resistenti, essendo indubbia la posizione qualificata che gli stessi, in quanto titolari di abbonamenti per seguire le partite di calcio giocate nello stadio della società Catania, rivestono nell’ordinamento;
“Considerato infatti che, a fronte di una lesione, di carattere patrimoniale e non, che i ricorrenti affermano di subire dal provvedimento impugnato non può dubitarsi della loro legittimazione ad adire questo giudice per la tutela non tanto del diritto di natura patrimoniale, che nasce dalla stipula del contratto di abbonamento, quanto sicuramente dell’interesse a vedere le partite casalinghe di calcio della soc. Catania allo stadio, atteso che, diversamente opinando e premessa la giurisdizione di questo giudice, una tale situazione giuridica soggettiva non potrebbe trovare altra forma di tutela;
“Ritenuto a tal proposito inconferente il richiamo, effettuato dalla F.I.G.C. ai precedenti di questa stessa Sezione (1 settembre 2006 n. 7909, ecc.), che attengono alla diversa ipotesi in cui i ricorrenti erano soci di società sportive, ai quali era stata negata la legittimazione attiva sul rilievo –non estensibile alla fattispecie in esame- che la società commerciale, quale persona giuridica, assomma in sé e compone tutti gli interessi dei soggetti partecipanti, secondo le norme della organizzazione interna disposta con il contratto sociale e lo statuto, nei limiti dell’oggetto e dello scopo sociale, con la conseguenza che tali interessi sono unitariamente individuati dagli organi aventi legittimazione ad esprimerli”.
Deve ancora rilevarsi, in proposito, che la legittimazione attiva dei ricorrenti – così come il loro interesse processuale ex art. 100 c.p.c.- si configura, al di là di ogni dubbio, sulla base di ulteriori argomentazioni che possono riassumersi nei termini che seguono: non possono essere posti in dubbio l’interesse sostanziale e la legittimazione ad agire dei ricorrenti, tutti in possesso di “abbonamento” per assistere allo svolgimento delle partite “casalinghe” della squadra di calcio del Catania, relativamente al campionato di Serie A, anno 2006/2007, per cui tale interesse sostanziale si appalesa come personale, diretto e concreto; non può correre alcun dubbio sulla circostanza che ogni abbonato sia titolare tanto di un diritto soggettivo (quello al rimborso della quota parte di abbonamento pagata e non goduta), quanto di un preciso interesse legittimo a che la Federazione non adotti provvedimenti sanzionatori a carico della società calcistica che direttamente risultino lesivi della propria situazione giuridica soggettiva.
5) Per quanto concerne la competenza territoriale, con il menzionato decreto presidenziale n. 401 del 4 aprile 2007, è stato affermato che “non si applica -per il caso di specie- il disposto di cui al D.L. 19.8.2003, n. 220, convertito nella legge 7.10.2003, n. 280 che, all’art. 3, comma 2, devolve la competenza di primo grado, in via esclusiva, al T.A.R. del Lazio, con sede in Roma, atteso che tale competenza esclusiva appare dettata unicamente per i soggetti interni al mondo sportivo, nei cui confronti si pone la necessità della previa formazione della c.d. “pregiudiziale sportiva”, ossia l’esaurimento dei gradi della Giustizia Sportiva come condizione d’ammissibilità della successiva azione avanti al Giudice Amministrativo, nell’ottica di garantire la omogeneità del complessivo sistema”.
Una tale interpretazione va confermata, alla luce di un ulteriore approfondimento della questione da parte del Collegio: orbene, il decreto-legge n. 220 del 19 agosto 2003, convertito nella legge n. 280 del 17 ottobre 2003, così recita, all’art. 3 (“norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria”):
“1. Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo….”;
“2. La competenza di primo grado spetta in via esclusiva, anche per l’emanazione di misure cautelari, al tribunale amministrativo regionale con sede in Roma. Le questioni di competenza di cui al presente comma sono rilevabili d’ufficio”;
“3. Davanti al giudice amministrativo il giudizio è definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell’art. 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e si applicano i commi 2 e seguenti dell’art. 23-bis della stessa legge”;
“4. Le norme di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano anche ai processi in corso e l’efficacia delle misure cautelari emanate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2 è sospesa fino alla loro conferma, modifica o revoca da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio, cui la parte interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare….”.
Dal mero dato letterale delle disposizioni surriportate emerge un elemento assolutamente incontrovertibile: l’adizione del T.AR. del Lazio, sede di Roma, quale viene prevista e disciplinata dal quasi integralmente trascritto art. 3, ha un suo preciso presupposto nella circostanza che siano stati aditi, preventivamente, gli Organi di giustizia sportiva, e che ne siano stati esauriti tutti i gradi. Ma dal momento che gli unici soggetti abilitati ad adire la giustizia sportiva sono quelli (persone fisiche o società) che operano all’interno del mondo sportivo, in quanto tesserati, ne consegue che tale disciplina non può applicarsi nei confronti degli altri soggetti dell’ordinamento.
Oltre al dato testuale, le disposizioni in esame vanno interpretate alla luce della ratio ad esse sottesa. Va sottolineato, in proposito, che la normativa medesima è stata introdotta in un periodo molto travagliato dell’attività sportiva svolta in Italia (estate dell’anno 2003), allorché diverse società calcistiche, rivolgendo i loro ricorsi a diversi Tribunali amministrativi sparsi sul territorio nazionale, hanno provocato l’adozione di decisioni non di rado inaspettate e contrastanti, con conseguente disorientamento degli Enti preposti al coordinamento ed al controllo dell’attività sportiva medesima, specie in relazione alla possibilità di stilare in tempo i vari calendari sportivi.
Sotto altro profilo, vale un ragionamento per absurdum. Orbene, se si dovesse ritenere che anche il quisque de populo sia soggetto alla su delineata competenza territoriale, si perverrebbe ad una conclusione logicamente assurda e giuridicamente aberrante. Un comune cittadino, non essendo legittimato ad agire, allo scopo di precostituirsi la “pregiudiziale sportiva”, i relativi Organi, non potrebbe mai autodeterminarsi, ricorrendo alla tutela del Giudice amministrativo, sia pure in presenza della lesione di un proprio interesse giuridicamente tutelato; la tutelabilità del suo interesse avanti al G.A. sarebbe totalmente rimessa all’arbitrio del soggetto sportivo, unico legittimato a soddisfare quella condizione di ammissibilità. Tale interpretazione sarebbe in evidente contrasto con gli artt 24, 111 e 113 della Carta Costituzionale.
Da quanto esposto emerge con sufficiente chiarezza come l’unico criterio determinativo della competenza territoriale non può non essere quello generale che, in via principale, presiede al riparto della competenza per territorio tra i diversi TT.AA.RR., ossia il criterio che indica il T.A.R. del luogo ove il provvedimento da impugnare ha prodotto l’effetto lesivo.
Ma c’è di più: occorre tener conto della “transitorietà” di tale norma. Sotto la rubrica “norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria”, l’art. 3 della legge n. 280/2003 citata, dopo aver individuato il T.A.R. del Lazio come unico territorialmente competente per le “questioni” indicate all’art. 1, al successivo comma 4, dispone l’applicabilità della disciplina di cui ai precedenti commi “anche ai processi in corso”. E’ pacifico che i caratteri essenziali di ogni disposizione transitoria sono: 1) la temporaneità: sussiste ed è efficace sino all’esaurimento dei rapporti da essa contemplati; 2) non è suscettibile di applicazione analogica. Tale norma temporanea prevede espressamente non solo il dies a quo per per attivare il congegno procedurale da essa previsto, ma anche il dies ad quem. Il primo decorre, come recita il comma 4 citato “dalla data di entrata in vigore del presente decreto; il secondo “spira” -essendo ridotto della metà rispetto a quello ordinario- 15 giorni dopo da quella data (ossia, circa tre anni e mezzo fa). Quindi, tale normativa “transitoria” non solo disciplina le controversie “in corso” alla data della sua entrata in vigore, ma condiziona, altresì, la sua concreta operatività all’assolvimento di un preciso onere, a pena di improcedibilità: la riassunzione entro un termine decadenziale. In tale ottica, è stato adottato, in data 4 aprile 2007, il decreto presidenziale n. 401 con il quale, ritenuti sussistenti il fumus boni juris ed il periculum in mora, è stata disposta la sospensione cautelare, con efficacia erga omnes, dei provvedimenti impugnati.
Sennonché, in data 7 aprile 2007, la F.I.G.C. ha presentato “atto di riproposizione in riassunzione” avanti la Sezione Terza Ter del T.A.R. del Lazio-sede di Roma, la quale, con ordinanza n. 1664 del 12 aprile 2007, ha accolto tale istanza di riassunzione ed ha revocato, per l’effetto, ai sensi dell’art. 3, 4° comma, del D.L. n. 220, il decreto presidenziale n. 401/2007, respingendo, al contempo l’istanza cautelare.
Il Collegio non condivide tale decisione che, ovviamente, non lo può vincolare, attesa la posizione di equiordinazione di tutte le Sedi della Giustizia Amministrativa di primo grado.
Orbene, tale diverso orientamento di questa 4^ Sezione discende, oltre che dalla convinzione che, per il caso di specie, non si applichi il principio della competenza “esclusiva” del T.A.R. di Roma (come estesamente esposto), dalla circostanza che, per il caso di specie, sia stata seguita, da parte della F.I.G.C. intimata, una procedura abnorme.
Ed invero, il trascritto 4° comma dell’art. 3 della legge 280/03 prevede (o meglio, prevedeva), per il caso in cui tale inderogabile competenza funzionale non venga rispettata, che la“parte interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare…”.
Orbene, anche se può ritenersi possibile che il legislatore, con il termine “parte interessata”, si sia potuto riferire non alla parte ricorrente, ma alle Amministrazioni intimate ed ai controinteressati, non si comprende tuttavia come questi siano facultati a “riproporre” il ricorso e l’istanza cautelare. Apparendo pressocchè impossibile che il legislatore sia incorso in un così grave errore materiale, il Collegio ritiene che l’art. 4, perché ad esso possa essere attribuito un senso logico e giuridico, deve essere letto, mutatis mutandis, in connessione con le disposizioni che regolano l’istituto del “regolamento di competenza”.
La menzionata “riassunzione” presuppone, naturalmente, che sia stato adito un T.A.R. diverso da quello di Roma e che quest’altro T.A.R. si sia dichiarato incompetente; diversamente, non ci sarebbe alcun interesse alla riassunzione del giudizio avanti al Tribunale laziale. Così opinando, oltre a darsi un senso logico e un concreto significato a tale “eventuale riassunzione”, ne consegue che il T.A.R. romano agisca non come Giudice di appello (e ciò sconvolgerebbe l’assetto della giurisdizione Amministrativa), bensì, grazie all’atto di riassunzione, come Giudice di primo grado, non potendosi peraltro sottrarre al Consiglio di Stato le funzioni di Organo regolatore della competenza. In sostanza, spetta al T.A.R. adito, anche nel caso in cui non coincida con quello del Lazio, delibare sull’appartenenza della competenza nel caso sottoposto al suo esame; anche se si ritiene che un tale tipo di competenza territoriale sia inderogabile. Tuttavia, nessuna disposizione impone che una tale cognizione venga effettuato dal T.A.R. del Lazio medesimo; quello che appare necessario è soltanto che, nel caso in cui il diverso T.A.R. adito accerta che si versa nelle ipotesi di cui all’art. 2 del D.L. n. 220/2003 (corretto svolgimento delle attività sportive ed agonistiche, l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società…,etc.), tale T.A.R. deve dichiararsi incompetente. Ma non può non restare fermo il principio basilare secondo cui l’unico strumento previsto nel processo amministrativo per contestare la competenza del T.A.R. periferico adito è esclusivamente costituito dalla proposizione, da parte dei resistenti, del regolamento di competenza dinanzi al Consiglio di Stato ai sensi e per gli effetti di cui al ricordato art. 31 della legge T.A.R. (che, nella specie, non è stato proposto).
Giova ancora sottolineare che le regole ed i principi generali del riparto di competenza territoriale dei T.A.R. sono derogabili (art. 2, 3 e 31 legge T.A.R.), salvo i casi assolutamente eccezionali di competenza territoriale funzionale, non ricorrente nel caso di specie.
D’altra parte, la necessità cha tale esame avvenga presso il Giudice adito risponde alla necessità che tutti le parti si confrontino attraverso un’ordinata dialettica processuale.
Nel caso di specie, invece, il T.A.R. del Lazio, in data 12 aprile 2007, si è dichiarato competente, pur in assenza della necessaria documentazione, giacente presso questa Sezione, documentazione che è stata poi richiesta alla Segreteria con la medesima ordinanza n. 1664/07, ossia dopo che era stata adottata una decisione propria del Giudice non della “riassunzione”, ma d’appello.
Quindi, va ribadito ancora che l’itinerario logico argomentativo seguito dalla Sezione terza ter del T.A.R. del Lazio non può essere condiviso, proprio in base al criterio della “lettura costituzionalmente orientata” impropriamente invocato dalla F.I.G.C. (pag. 6 dell’atto di riproposizione in riassunzione) al fine di pervenire al risultato interpretativo della operatività anche “a regime” (e non soltanto in via transitoria) di tale anomalo ed ibrido istituto della riassunzione e della configurabilità della competenza funzionale del T.A.R. Lazio-Roma anche per le controversie in materia di sanzioni disciplinari instaurate, nei confronti del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive, da soggetti non tesserati, e quindi da comuni cittadini estranei a tali ordinamenti settoriali.
Una interpretazione adeguatrice o conforme a Costituzione, infatti, conduce ad un risultato diametralmente opposto a quello sostenuto dalla F.I.G.C. e dal T.A.R. Lazio-Roma con la menzionata ordinanza, posto che proprio la spregiudicata operazione ermeneutica finalizzata a “trasformare” una disposizione espressamente dichiarata transitoria, e disciplinata come tale dal legislatore del 2003, in norma con efficacia permanente, o, come suol dirsi, “a regime”, verrebbe a vulnerare gravemente non solo e non tanto il divieto di estensione analogica delle “leggi …che fanno eccezione a regole generali e ad altre leggi” (art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile), ma soprattutto i principi costituzionali del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, 1° comma, della Costituzione), e del doppio grado della giustizia amministrativa consacrato dall’art. 125 della Costituzione, che costituiscono indubbiamente un sistema di valori costituzionali all’interno del quale il giudice deve operare interpretando ed applicando le norme dell’ordinamento giuridico.
Viene, infatti, ad essere introdotto, per le controversie sportive di cui trattasi, un anomalo percorso che stravolge l’ordinario iter giudiziario.
La regola generale, invero, è che ad un giudizio di primo grado segua, ove la parte soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti di giudizio cautelare, sia che si tratti di giudizio di merito; giammai è prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato, come se fosse giudice d’appello o un T.A.R. non equiordinato agli altri, ma dotato di poteri speciali, a riformare la decisione del primo giudice.
Orbene, ad avviso del Collegio, siffatta disciplina integra altresì violazione del principio del “giusto processo”, di cui all’art. 111, comma primo, della medesima Carta (“La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”).
Sempre con riferimento ai processi pendenti, dinanzi a tutti i TT.AA.RR. diversi da quelli del Lazio, infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modo conforme ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in secondo grado (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un inedito duplicato del giudizio di primo grado, affidato al TAR centrale, in quanto ritenuto preminente rispetto a quelli periferici: il che costituisce, evidentemente, un palese disvalore costituzionale.
Ciò comporterebbe, altresì, una evidente violazione del principio del ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale,deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del “giusto processo” testè richiamato.
E’ questo il sistema di valori costituzionali all’interno del (e in conformità al )quale il giudice deve muoversi, e non già l’affermata necessità di accentramento di tutte le questioni relative alla materia sportiva dinanzi ad uno stesso giudice (il TAR del Lazio-Roma, come sostenuto nella ripetuta ordinanza n. 1664/2007 di tale Tribunale), ovvio essendo –ed è appena il caso di rilevarlo- che tale esigenza non è in alcun modo contemplata e consacrata nella nostra Costituzione.
7) Gli interventi ad adjuvandum della Provincia Regionale di Catania, del Comune di Catania e della Confederazione Nazionale Nuovi Consumatori Europei sono ammissibili.
In particolare, l’interesse ad intervenire del Comune di Catania, Ente esponenziale cui compete la cura e la tutela degli interessi della collettività locale, trova la sua fonte nell’art. 13 T.U. Autonomie Locali, il quale stabilisce che spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico. Dunque è evidente che il Comune di Catania abbia un sostanziale interesse ad intervenire, proprio perché il provvedimento del Giudice sportivo, fortemente lesivo della dignità e del decoro dell’intera popolazione catanese, ha causato un gravissimo danno all’immagine della città, dal momento che ha accomunato persone per bene a delinquenti, ed ha causato un grave danno all’economia della città.
Analogo discorso può essere svolto in relazione alla costituzione in giudizio della Provincia regionale di Catania, Ente esponenziale di un comprensorio ancora più esteso del Comune Capoluogo.
Anche la costituzione in giudizio dell’Associazione dei consumatori è ammissibile. In proposito, il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, ha stabilito, con la recente sentenza n. 1 dell’11 gennaio 2007, che “le associazioni dei consumatori possono sempre esperire azioni per l’annullamento di atti amministrativi ritenuti pregiudizievoli nel termine decadenziale decorrente, di norma, dalla pubblicazione – ai sensi dell’art. 2 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642- non essendo detti organismi i diretti destinatari degli atti stessi…in vista della salvaguardia dell’interesse collettivo perseguito”.
Per quanto concerne, invece, le intervenienti Arena Artura Grazia, Arena Raimonda, Grasso Rosina, Di Mauro Rosa ed Anastasi Nunziata, il Collegio non può fare a meno di pronunciare l’inammissibilità di tale intervento, atteso che tali cinque persone sono abbonate per assistere alle partite interne del Catania Calcio e vantano, quindi, un interesse personale e diretto ad impugnare i provvedimenti in epigrafe. Tuttavia, atteso che tale intervento è tempestivo (con riferimento al termine di scadenza dei provvedimenti in questione), è stato ritualmente notificato e contiene tutti gli elementi propri di un normale ricorso, l’atto di intervento in questione va convertito in ordinario ricorso (giurisprudenza pacifica).
Conseguentemente, le predette cinque intervenienti acquistano lo status di ricorrenti principali, limitatamente alla domanda di annullamento, non avendo proposto domanda risarcitoria.
8) Come già affermato con il decreto presidenziale n. 401 del 4 aprile 2007, il ricorso si basa su una serie di motivi di censura che vanno condivisi.
a) Con un primo motivo di gravame si deduce la violazione dell’art. 1, comma 1, in relazione all’art. 10, comma 1, del codice di giustizia sportiva, atteso che i tragici fatti del 2 febbraio 2007, nonostante si siano svolti in un momento successivo allo svolgimento della gara Catania-Palermo e, soprattutto, all’esterno dell’impianto sportivo, hanno dato luogo sostanzialmente ad una sorta di responsabilità automatica per la società calcistica etnea (ipotesi prevista soltanto per l’ipotesi in cui i disordini si verifichino all’interno dell’impianto), con conseguente violazione del succitato art. 10 il quale, in relazione ad eventuali incidenti ricadenti al di fuori dell’impianto, impone che la relativa responsabilità venga pronunciata quantomeno attraverso la prova che la società interessata abbia contribuito al loro accadimento “con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione ed al mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori”.
b) Anche il secondo collegato motivo di censura va condiviso; con esso si deduce la violazione dell’art. 11, comma 1°, ultimo inciso, che così recita: “la responsabilità è esclusa quando il fatto è commesso per motivi estranei alla gara”, atteso che i gravi incidenti in questione non appaiono conseguenti ad alcun episodio relativo allo svolgimento della gara (di solito, l’aggressione alle Forze dell’ordine rappresenta l’estensione di una protesta indirizzata, in primo luogo, ai protagonisti dell’evento calcistico; soprattutto, il direttore di gara).
Nel comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007 si evidenzia che i disordini erano già cominciati durante lo svolgimento dell’incontro; ciò risponde a verità; ma non sussiste alcun nesso di causalità tra gli i comportamenti, prettamente “vandalici”, verificatisi all’interno dello stadio “Massimino” e quelli, assolutamente criminali, chiaramente finalizzati all’aggressione delle Forze dell’Ordine, probabilmente pianificati da tempo, verificatisi successivamente nelle adiacenze dello stadio.
c) Condivisibile si appalesa anche il terzo motivo di censura, con i quali si deduce che i provvedimenti sanzionatori impugnati omettono completamente di valutare l’effettiva collaborazione prestata dalla Società Catania Calcio nell’identificazione dei responsabili dei tragici episodi, come imposto, invece, dall’art. 11, comma 6, del più volte menzionato codice di giustizia sportiva;
d) Fondato è anche il quarto motivo, con cui si sottolinea la carenza e la contraddittorietà della motivazione, atteso che, mentre da un lato si riconosce l’estraneità dei tragici fatti alle vicende di gioco, subito dopo si ritiene inequivoca la responsabilità della Società;
e) Giustamente si sottolinea, poi, l’evidente contrasto tra i provvedimenti impugnati e gli inderogabili principi dell’ordinamento, consacrati in apposite norme di rango costituzionale (art. 2 e 27, comma 1, della Costituzione) o di legge ordinaria (artt. 1 e 134, ultimo comma, T.U.L.P.S. ), palesandosi, in particolare, il principio della responsabilità oggettiva, specie alla luce della rigida applicazione che ne viene praticata, come contrario ai principi dell’ordinamento giuridico vigente. Qualunque sia la teoria preferita in ordine alla pluralità degli ordinamenti giuridici, resta fermo che l’ordinamento sportivo, per funzionare normalmente, deve godere di un notevole grado di autonomia. Tuttavia quest’ultima, per quanto ampia e tutelata, non può mai superare determinati confini, che sono i confini stessi dettati dall’ordinamento giuridico dello Stato. E tali fondamentali principi valgono non solo per l’ordinamento sportivo, ma anche per l’autonomia di ogni formazione sociale, pur se riconosciuta dalla Costituzione:confessioni religiose, università, accademie, istituzioni di cultura, sindacati…
Né potrebbe, in senso contrario, sostenersi che la F.I.G.C., in quanto assoggettata alle direttive impartite dalla U.E.F.A., organismo che opera in sede internazionale, sia tenuta a recepire pedissequamente ed acriticamente tali direttive medesime, atteso che alla U.E.F.A. non è comunque considerata un “soggetto di diritto internazionale” e che, in ogni caso, ogni recepimento normativo o regolamentare va comunque inquadrato all’interno delle norme di legge e dei principi costituzionali vigenti.
Tali principi si stanno affermando anche all’estero: il Tribunale Amministrativo di Parigi, adito dalla locale squadra di calcio del Paris Saint Germain, con decisione del 16 marzo 2007, ha annullato la sanzione della squalifica del campo di gioco, comminata alla squadra medesima da tutti gli Organi di giustizia sportiva della Federazione francese, statuendo che “la responsabilità oggettiva di cui all’art. 129, c. 1, del regolamento Federale viola il principio costituzionale della personalità della pena”.
Inoltre, è fondamentale rilevare che, nel caso di specie, mancano alcuni requisiti integranti l’ipotesi della responsabilità oggettiva, quale delineata da dottrina e giurisprudenza; ed invero, tra la condotta e l’evento dannoso deve essere rinvenibile un nesso di causalità materiale ben individuato e, inoltre, l’agente deve avere volontariamente tenuto un condotta che di per sé costituisce illecito, in ossequio al noto principio “qui in re illecita versatur tenetur etiam pro casu”.
Nel caso di specie, come è evidente, manca qualsiasi nesso di causalità tra i fatti dannosi verificatisi ed il comportamento tenuto dai ricorrenti.
In sostanza, i ricorrenti sono stati colpiti dalla sanzione non perché abbiano fatto o non abbiano fatto alcunché, ma solo in quanto appartenenti ad una categoria generale ed astratta.
Quindi, ben può affermarsi che, nel caso di specie, non si sono applicate delle pesanti sanzioni per una caso di responsabilità oggettiva, bensì per una forma di responsabilità “per fatto altrui”.
Pertanto, si appalesano illegittimi non soltanto gli impugnati provvedimenti sanzionatori per i “vizi” evidenziati, ma anche le stesse norme del regolamento “Codice di giustizia sportiva” della F.I.G.C., nella misura in cui, introducendo una tale forma di “responsabilità oggettiva” si pongono, fra l’altro, in contrasto con l’art. 27 della Costituzione.
Conseguentemente, vanno annullati sia l’art. 9, commi 1 e 2 (che sostanzialmente pongono a carico delle società sportive un onere di vigilanza non consentito dal T.U.L.P.S.), sia l’art. 11 di tale regolamento.
9) Va ora esaminata la domanda risarcitoria proposta dai ricorrenti contestualmente all’azione di annullamento dei provvedimenti impugnati.
Anche tale ulteriore domanda si appalesa fondata, tenuto conto che, oltre al presupposto della c.d. pregiudizialità amministrativa, e cioè alla necessità del previo annullamento dei provvedimenti lesivi della sfera soggettiva (richiesto dalla prevalente e consolidata giurisprudenza amministrativa: cfr., per tutte, A.P. del Consiglio di stato, n. 4 del 26.3.2003), sussistono nella specie tutti gli ulteriori presupposti per accordare la chiesta tutela risarcitoria, vale a dire tutti gli elementi contemplati e richiesti dall’art. 2043 ai fini della risarcibilità del danno (evento dannoso, ingiustizia del danno, sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa della P.A. quale criterio d’imputabilità alla stessa dell’evento).
Quanto al primo di tali elementi (evento dannoso), è appena il caso di ribadire che esso va individuato negli impugnati provvedimenti sanzionatori irrogati sulla base di un’illegittima normativa regolamentare ispirata alla responsabilità oggettiva, che rilevano quale fatto illecito produttivo dei danni lamentati.
Come già esposto al punto 2) circa la c.d. tutela aquiliana del credito, l’impossibilità di assistere alla gare interne, per i ricorrenti, non deriva di certo da inadempimento colpevole imputabile alla società calcistica, ma dalla persistenza e dalla reiterazione di atti illegittimi adottati dalla F.I.GC., i quali hanno inciso dall’esterno sul rapporto già instaurato tra i ricorrenti e la società medesima.
Pertanto, l’ingiustizia del danno è evidente in quanto, come più volte sottolineato, tali provvedimenti illegittimi hanno inciso, ledendoli, su diritti soggettivi perfetti dei ricorrenti (diritto di credito e diritti personali inviolabili precedentemente indicati).
Quanto, poi, all’elemento soggettivo della colpa della P.A. (nella specie, gli Organi di giustizia sportiva della F.I.G.C.), è sufficiente ricordare che, alla stregua dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, l’imputazione della responsabilità alla P.A. per illecito extracontrattuale può e deve essere effettuata non già sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità del provvedimento, bensì ancorandola alla valutazione della colpa non dei singoli funzionari agenti (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia) ma della P.A. intesa come apparato, colpa che è configurabile allorché l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di correttezza, imparzialità di buona amministrazione, alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi, e che il giudice deve valutare (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, n. 500/1999, e Consiglio di Stato-Sezione 5^, n. 1307 del 19.3.2007, paragrafi da 87 a 111).
E’ appena il caso, inoltre, di ricordare che l’onere del soggetto danneggiato di provare tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento (danno, nesso di casualità, colpa), ai sensi dell’art. 2697 c.c., può essere adempiuto anche attraverso prove indirette quali le presunzioni di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., di guisa che l’accertata illegittimità del provvedimento ritenuto lesivo dei diritti e degli interessi del danneggiato ricorrente può rappresentare, nella normalità dei casi, l’indice (grave, preciso, concordante) della colpa dell’Amministrazione (cfr., fra altre, Consiglio di Stato-Sezione 5^, n. 1307/2007, citato, paragrafi 100 e 101).