La sofferenza della vittima in agonia va liquidata come danno tanatologico Cassazione civile , sez. III, sentenza 08.04.2010 n° 8360
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 8 aprile 2010, n. 8360
Svolgimento del processo
Il
**** è deceduto in **** l’agricoltore T.G., a causa di una scarica
elettrica, che lo ha colpito mentre era intento al lavoro su di un
albero di noce. Le fronde dell’albero, situato sotto la linea
elettrica, erano cresciute, giungendo a toccare i fili dell’alta
tensione.
La morte non è stata immediata, ma è
sopraggiunta dopo circa mezz’ora, mentre l’infortunato si trovava a
cavalcionì su di un ramo, impossibilitato a muoversi per effetto
dell’elettrolocuzione; benchè chiedesse aiuto, nessuno era potuto
intervenire.
Nel giudizio penale seguito all’infortunio
sono stati ritenuti responsabili il proprietario del terreno, P.G., e
l’impiegato dell’ENEL, responsabile dell’area sulla quale passa la
linea elettrica, S.A..
La sentenza penale di condanna,
emessa dal Pretore di Nocera Inferiore e passata in giudicato, a
seguito del rigetto dell’appello e del ricorso per Cassazione, ha posto
a carico dei responsabili il pagamento di una provvisionale di L. 80
milioni, in risarcimento dei danni patrimoniali, biologici e morali.
R.M.P.,
T.M.F. e T.A., rispettivamente vedova e figlie di Giovanni Todisco,
hanno proposto al Tribunale civile di Nocera Inferiore domanda di
risarcimento dei danni contro il P., il S. e la s.p.a. ENEL. L’ENEL e
il S. si sono costituiti, resistendo alle domande, mentre il P. è
rimasto contumace.
Con sentenza n. 1098/2002. Il
Tribunale civile di Nocera Inferiore ha accolto le domande attrici,
condannando i convenuti, in via fra loro solidale, a pagare Euro
60.456,45 complessivi, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali
(già detratto da tale somma l’importo della rendita costituita
dall’INAIL); Euro 100.000,00 complessivi in risarcimento dei danni non
patrimoniali (di cui il 50% per la moglie ed il 25% a testa per le due
figlie), ed Euro 90.000,00 in risarcimento del danno biologico; oltre
alla rivalutazione monetaria, agli interessi ed alle spese processuali.
Proposto
appello principale dalla s.p.a. Enel Distribuzione Campania e
incidentale da P.V. e P.L., quali eredi di P.G., si sono costituite le
danneggiate, le quali hanno eccepito il difetto di legittimazione
attiva della s.p.a. Enel Distribuzione, essendo stata citata in primo
grado l’Enel s.p.a., chiedendo comunque il rigetto dell’appello.
Si è costituito anche il S., facendo propri i motivi di impugnazione dell’Enel.
Gli
eredi P. hanno chiesto, con l’appello incidentale, di essere assolti da
ogni domanda, per avere rinunciato all’eredità del padre.
Con
sentenza 16 settembre 2004 – 15 marzo 2005 n. 184 la Corte di appello
di Salerno, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha ridotto la
somma liquidata in risarcimento dei danni patrimoniali ed ha negato il
risarcimento del danno biologico iure haereditario, per il fatto che la
morte era stata pressochè immediata.
Con atto notificato il 28 aprile 2006 le R. – T. propongono sette motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria.
Resiste l’Enel Distribuzione con controricorso.
Motivi della decisione
1.
– Con il primo e il secondo motivo le ricorrenti denunciano violazione
degli artt. 99, 100 e 101 c.p.c., per non avere la Corte di appello
rilevato l’inammissibilità dell’appello per difetto di legittimazione
attiva e per carenza di interesse ad agire dell’appellante, s.p.a. Enel
Distribuzione Campania, essendo stata la causa promossa in primo grado
contro la s.p.a. Enel e la sentenza del Tribunale pronunciata nei
confronti di quest’ultima società. 2.- I motivi non sono fondati.
Vero è che l’atto di citazione in primo grado è stato notificato alla s.p.a. Enel, con sede in ****.
Già
in quella sede, tuttavia, la convenuta si è costituita come s.p.a. Enel
– Distribuzione Campania, Centro direzionale di Napoli ****, settore
quest’ultimo che non figurava come società separata ed autonoma
rispetto all’Enel s.p.a., ma come un semplice compartimento della
stessa.
Nei confronti dell’ente così costituito, in
relazione al quale le odierne ricorrenti non hanno sollevato eccezioni,
è stata emessa la sentenza di primo grado L’atto di appello è stato
proposto ancora dalla s.p.a. Enel – Distribuzione Campania, Centro
Direzionale di Napoli, ****, che parimenti figurava come mero settore
organizzativo dell’ente e non come società autonoma e distinta dalla
s.p.a. Enel.
E’ da escludere, quindi, che l’atto di
appello sia stato proposto da un soggetto diverso dalla società che ha
partecipato al giudizio di primo grado. Si trattava solo di stabilire
se l’Enel si fosse ritualmente costituita in giudizio tramite il
suddetto compartimento, ed in particolare se la procura alle liti fosse
stata conferita (per entrambi i gradi del giudizio, non solo per
l’appello), da soggetto titolare del potere di rappresentarla.
Su
questi aspetti le ricorrenti non hanno dedotto e dimostrato in questa
sede di avere sollevato alcuna eccezione, nei giudizi di merito ed in
particolare in appello, nel quale ultimo hanno solo (ed erroneamente)
eccepito che l’appello era stato proposto da società diversa da quella
che era stata condannata in primo grado, mentre all’epoca, come si è
detto, il centro direzionale della Campania non costituiva ancora
società autonoma.
In ogni caso, rileva la resistente nel
controricorso che la procura conferita dal Direttore della
Distribuzione Campania è da ritenere valida in virtù dell’art. 14 dello
statuto dell’Enel, approvato con D.P.R. 21 dicembre 1965, n. 1720, che
attribuisce ai direttori di compartimento, nell’ambito della
circoscrizione territoriale e per gli affari di loro competenza, la
rappresentanza processuale attiva e passiva dell’ente, anche per quanto
concerne la proposizione delle impugnazioni. (Cfr. anche, sul tema,
Cass. Civ. Sez. 1^, 19 novembre 1993 n. 11441; Cass. Civ. 20 dicembre
2007 n. 26977).
Solo nel presente giudizio di cassazione
si è costituita una s.p.a. Enel Distribuzione, come società autonoma e
distinta dalla s.p.a. Enel, costituita ai sensi del D.Lgs. 16 marzo
1999, n. 79, art. 13, comma 2, sicchè il controricorso è stato
effettivamente depositato da un soggetto diverso da quello che ha
partecipato ai giudizi di merito.
Nella procura alle
liti in calce al controricorso, tuttavia, la società specifica che
l’art. 13 cit., ha disposto la sua successione a titolo particolare in
tutti i beni e i rapporti giuridici già facenti capo all’Enel, relativi
all’attività di distribuzione e vendita dell’energia elettrica nella
Regione Campania (analogamente a quanto è stato disposto per gli altri
compartimenti di distribuzione).
La società resistente è quindi legittimata a contraddire, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., u.c..
3.-
Parimenti infondato è il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta
violazione dell’art. 75 c.p.c., per il fatto che il soggetto indicato
come rappresentante dell’Enel Distribuzione in appello, ing. F.V., è
diverso da quello indicato in primo grado, ing. I.G., pur avendo l’Enel
richiamato nell’atto di appello la procura conferita al difensore con
la comparsa di costituzione in primo grado.
Ed invero,
la rappresentanza processuale dell’ente ed il potere di conferire la
procura alle liti sono inerenti alla carica di direttore
compartimentale, ed è sufficiente che tale carica sia rivestita nel
momento in cui la procura viene conferita.
Se nel
giudizio di primo grado i poteri di difesa sono stati attribuiti anche
per il giudizio di appello dal soggetto che in quel momento era
legittimato a concederli, l’eventuale, successiva cessazione dalla
carica rimane irrilevante.
4. – Con il quarto motivo le
ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2909 c.c., art. 324
c.p.c., artt. 538 e 539 c.p.p., poichè la sentenza impugnata – negando
loro il diritto al risarcimento del danno biologico a titolo ereditario
– ha disatteso una pronuncia già coperta da giudicato, ed in
particolare la sentenza del Pretore penale di Nocera Inferiore, la
quale ha attribuito alle parti civili una somma a titolo di
provvisionale, menzionando espressamente il diritto delle danneggiate
al risarcimento del danno biologico e rigettando le eccezioni di
irrisarcibilità di tale danno, con specifica motivazione.
Richiamano
la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, se il giudice penale non
si sia limitato a statuire sulla potenzialità dannosa del fatto
addebitato, ma abbia accertato e statuito sull’esistenza in concreto
del danno, la decisione produce gli effetti del giudicato (Cass. Civ.
Sez. 3^, 9 luglio 2009 n. 16113).
4.1.- Il motivo non è fondato.
La
sentenza penale passata in giudicato è vincolante per il giudice civile
per quanto concerne l’accertamento dei fatti; non quanto alle
valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili
della pronuncia, quali sono quelle che attengono all’individuazione
delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno
risarcibile.
La sentenza della Corte di cassazione n.
16113/2009, citata dalle ricorrenti a supporto della loro tesi, si
riferisce infatti ad un caso in cui venivano in questione gli
accertamenti svolti in sede penale circa l’esistenza in concreto del
danno e la sussistenza del nesso causale fra il comportamento illecito
ed il danno medesimo.
Nella specie, la sentenza penale
viene invocata come giudicato nella parte in cui ha svolto le ragioni
per cui ha ritenuto risarcibile in favore degli eredi anche il danno
subito dalla vittima per la perdita della vita, cioè in una sua parte
meramente argomentativa, che quindi non vincola il giudice civile.
5.-
Con il sesto ed il settimo motivo le ricorrenti lamentano vizi di
motivazione e violazione degli artt. 2043, 2056, 2059, 1223 e 1226
c.c., nella parte in cui la Corte di appello ha negato loro il diritto
di conseguire iure haereditario il risarcimento del danno biologico
subito dal defunto per effetto dell’incidente.
Le
ricorrenti censurano l’interpretazione della Corte di appello, secondo
cui – ove la morte sopraggiunga immediatamente o a breve distanza di
tempo dall’evento lesivo – la lesione viene a colpire non il diritto
alla salute, ma il diritto alla vita, del quale ultimo non può essere
attribuita riparazione alcuna, qualora venga a mancare, con la morte,
il soggetto che dovrebbe soffrire la perdita; e sollecitano una
revisione della conforme giurisprudenza di questa Corte.
6.- I motivi sono fondati, nei termini che seguono.
Va
in primo luogo rilevato che l’auspicata revisione della giurisprudenza
di questa Corte sul tema in oggetto vi è già stata, in data successiva
a quella in cui è stata emessa la sentenza impugnata, tramite una più
puntuale sistemazione giuridica e concettuale della nozione di danno
non patrimoniale e delle conseguenze risarcibili a questo titolo (Cfr.
Cass. civ. S.U. 11 novembre 2008 n. 26972 e n. 26973).
La
Corte di cassazione da un lato ha ricondotto i danni risarcibili
nell’ambito della classificazione bipolare stabilita dal legislatore,
riassumendoli tutti nelle due categorie dei danni patrimoniali e dei
danni non patrimoniali, specificando che le distinzioni elaborate dalla
dottrina e dalla prassi fra danno biologico, danno per morte, danno
esistenziale, ecc, hanno funzione meramente descrittiva; dall’altro
lato ha precisato che, nel procedere alla quantificazione ed alla
liquidazione dell’unica voce “danno non patrimoniale”, il giudice deve
tenere conto di tutti gli aspetti di cui sopra.
Se
pertanto debbono essere evitate duplicazioni risarcitorie, mediante
l’attribuzione di somme separate e diverse in relazione alle diverse
voci (sofferenza morale, danno alla salute, danno estetico, ecc), i
danni non patrimoniali debbono comunque essere integralmente risarciti,
nei casi in cui la legge ne ammette la riparazione: nel senso che il
giudice, nel liquidare la somma spettante al danneggiato, deve tenere
conto dei diversi aspetti in cui il danno si atteggia nel caso concreto.
Quanto
al c.d. danno tanatologico, si deve tenere conto, nel quantificare la
somma dovuta in risarcimento dei danni morali, “anche della sofferenza
psichica subita dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita
dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia, in
consapevole attesa della fine”;……..sì da evitare “….il vuoto di
tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega…. il
risarcimento del danno biologico per la perdita della vita” (Cass. S.U.
n. 26972/2008, cit., 4.9; Cass. civ. S.U. n. 26973/2006, 2.14).
Il
giudice deve cioè personalizzare la liquidazione dell’unica somma
dovuta in risarcimento dei danni morali, tenendo conto anche del c.d.
tanatologico, ove i danneggiati ne facciano specifica e motivata
richiesta e le circostanze del caso concreto ne giustifichino la
rilevanza.
Nella specie la Corte di appello, in
contrasto con i suddetti principi, ha del tutto negato ai ricorrenti il
risarcimento, a titolo ereditario, dei danni morali subiti dalla
vittima, a causa delle gravi sofferenze che hanno preceduto la morte.
La
somma liquidata in risarcimento dei danni morali risulta infatti
quantificata con esclusivo riferimento al compenso spettante ai
superstiti per i danni morali subiti iure proprio, a causa della
perdita del rapporto parentale.
7.- Il quinto motivo,
con cui i ricorrenti lamentano che l’appello incidentale degli eredi P.
avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per carenza di
legittimazione passiva degli stessi, avendo essi rinunciato
all’eredità, è inammissibile per carenza di interesse, avendo la Corte
di appello disposto per l’appunto in questo senso, nella motivazione
(cfr. pag. 6, terza riga, della sentenza).
8.- In
accoglimento del sesto e del settimo motivo di ricorso la sentenza
impugnata deve essere cassata, limitatamente al capo relativo alla
mancata liquidazione delle somme richieste a titolo di risarcimento del
danno morale subito dal defunto (erroneamente definito come danno
biologico) e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la
causa può essere decisa nel merito.
La domanda di
risarcimento dei danni morali subiti dalla vittima nel tempo che ha
preceduto la morte, proposta dagli odierni ricorrenti a titolo
ereditario, deve essere accolta, sulla base delle argomentazioni e
della diversa qualificazione di cui sopra (cfr. Cass. civ. Sez. 3^, 28
novembre 2008 n. 28423; Cass. civ. Sez. 3^, 30 settembre 2009 n. 20949;
Cass. civ. Sez. 3^, 19 gennaio 2010 n. 702), ed alle somme già
liquidate dalla Corte di appello in risarcimento dei danni patrimoniali
e non patrimoniali subiti dalle ricorrenti iure proprio, deve essere
aggiunta una somma a compenso dei danni morali, loro spettante “iure
haereditario”, somma che si ritiene di quantificare nel medesimo
importo di Euro 90.000,00, già liquidato dal Tribunale come danno
biologico.
Restano ferme le altre statuizioni della
sentenza impugnata, ivi incluse quelle attinenti al diritto delle
danneggiate alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sulle
somme liquidate; rivalutazione ed interessi che spettano anche
sull’importo liquidato in questa sede, con la decorrenza stabilita
nella sentenza di primo grado.
Gli intimati debbono
essere condannati al pagamento delle spese del giudizio di appello,
oltre che al pagamento delle spese del presente giudizio, così come
liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il sesto ed il settimo motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi.
Cassa
la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel
merito, condanna la s.p.a. Enel e S.A., in via fra loro solidale, a
pagare alle ricorrenti, in aggiunta alle somme determinate dalla
sentenza impugnata a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e
non patrimoniali, la somma complessiva di Euro 90.000,00 in
risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dal defunto, oltre alla
rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sulla somma
annualmente rivalutata, con la decorrenza stabilita nella sentenza di
primo grado.
Condanna la s.p.a. Enel e
S.A., in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del giudizio
di appello, liquidate complessivamente in Euro 7.500,00, di cui Euro
500,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per diritti di procuratore ed Euro
5.000,00 per onorari di avvocato; e al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6.200,00, di cui
Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per onorari. In entrambi i
casi con l’aggiunta del rimborso delle spese generali e degli accessori
previdenziali e fiscali di legge.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010.
I parenti della vittima hanno diritto, oltre
al danno morale proprio, anche a quello cosiddetto tanatologico. Lo ha
chiarito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la
sentenza 8 aprile 2010, n. 8360 secondo la quale, nel quantificare la
somma dovuta in risarcimento dei danni morali ai parenti, occorre
tenere conto anche “della sofferenza psichica subita dalla vittima di
lesioni alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia
rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine”.
Il caso
Tizio,
agricoltore, decedeva in seguito ad una scarica elettrica che lo
colpiva mentre era intento a lavorare su un albero di noce, le cui
fronde erano giunte a toccare i fili dell’alta tensione.
Il
decesso non fu immediato, ma giunse dopo quasi una mezz’ora, mentre
Tizio si trovava a cavalcioni su un ramo, impossibilitato a muoversi,
per effetto della scarica elettrica.
Il Pretore di
Nocera Inferiore riteneva responsabile dell’infortunio sia il
proprietario del terreno Caio e l’impiegato dell’Enel Sempronio,
quest’ultimo in quanto soggetto responsabile dell’area sulla quale
passava la linea elettrica.
La vedova ed i figli
dell’agricoltore proposero domanda di risarcimento danni contro il
proprietario del terreno, domanda accolta dal Tribunale della stessa
città.
La Corte d’Appello di Salerno, in parziale
riforma della sentenza di prime cure, non solo riduceva la somma
liquidata con risarcimento, ma negava, altresì, il risarcimento del
danno biologico iure haereditario, per il fatto che
la morte di Tizio era stata pressoché immediata. Secondo i giudici
territoriali, nel caso in cui la morte sopraggiunga immediatamente, o a
breve distanza di tempo dall’evento lesivo, la lesione non verrebbe a
colpire il diritto alla salute, ma il diritto alla vita, del quale non
può essere attribuita alcuna riparazione nel caso in cui la vittima
venga a mancare con la morte.
La risarcibilità del danno tanatologico
Con
il termine “danno tanatologico” si intende far riferimento, in linea di
prima approssimazione, al danno derivante dalla morte di un individuo,
a causa di una condotta illecita da parte di un terzo. La problematica,
alquanto discussa, sia in dottrina che in giurisprudenza, attiene
all’autonoma risarcibilità di tale fattispecie di danno, separato e
distinto rispetto al danno morale, biologico od esistenziale.
Sul
punto si registrano due opposti orientamenti. Secondo una prima
impostazione, maggioritaria, il danno tanatologico non potrebbe trovare
cittadinanza all’interno dell’ordinamento giuridico. Tale tipologia di
danno, infatti, non solo non trova un esplicito referente normativo, ma
difetterebbe, altresì, degli elementi necessari a determinarne la
risarcibilità.
Secondo tale impostazione, la perdita
della vita non potrebbe rappresentare un danno risarcibile in quanto la
morte dell’individuo non può essere qualificato come estremo del danno
alla propria salute. Mentre la morte, infatti, nega la possibilità di
sopravvivenza della persona, la salute presuppone tale sopravvivenza.
A
sostegno della teoria in commento, si rileva come, anche se si volesse
astrattamente ipotizzare un’autonoma configurabilità del danno
tanatologico, si tratterebbe, comunque, di danno privo del suo
titolare, posto che la morte non è altro se non la perdita della vita
e, quindi, perdita della capacità del soggetto che subisce tale danno.
In altre parole, viene a mancare la persona qualificabile come titolare
della pretesa risarcitoria.
Altro orientamento,
minoritario, tende ad ammettere la configurabilità del danno
tanatologico e, conseguentemente, della sua autonoma risarcibilità. Non
è corretto affermare, come sostenuto dai fautori della tesi dominante,
che tale danno non possiede un referente giuridico, potendo,
quest’ultimo, essere individuato, ad esempio, all’interno dell’art. 2
della Costituzione o, ancora, all’interno della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo del 1948 ed alla Convenzione europea
dei diritti dell’uomo del 1950.
Così come non è
possibile affermare che il danno tanatologico non sia ipotizzabile per
la mancanza di un apprezzabile lasso di tempo tra la lesione e la morte
idonea a determinare la sua maturazione; tra la lesione psico-fisica e
la morte sussiste una, seppur minima, successione cronologica capace di
configurare il danno risarcibile.
In definitiva, la
lettura degli artt. 2043 e 2059 c.c., in combinazione con gli artt. 32
e 2 Cost., dovrebbe consentire la trasmissibilità iure haereditatis
del danno tanatologico, posto che la morte, intervenuta dopo un certo
tempo dalla lesione (con tutte le sofferenze connesse) determinerebbe,
in maniera inequivocabile, la nascita di una pretesa risarcitoria
spettante agli eredi.
La soluzione accolta dalla Suprema Corte
Come
confermato dalla pronuncia in epigrafe, la giurisprudenza di
legittimità è recentemente intervenuta in tema di risarcimento del
danno non patrimoniale e delle conseguenze risarcibili a tale titolo.
Con le sentenze delle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, n. 26972
e n. 26973, infatti, la Corte ha ribadito che le tipologie di danni
risarcibili possono essere solo due, ovvero il danno patrimoniale ed il
danno non patrimoniale, con la conseguenza che le altre categorie di
elaborazione dottrinale (danno biologico, danno esistenziale, ecc.)
possiedono solo una valenza meramente descrittiva.
La
medesima giurisprudenza ha, poi, evidenziato come il magistrato,
all’atto della quantificazione e della liquidazione del danno non
patrimoniale, debba necessariamente tenere in considerazione la
sofferenza morale, il danno alla salute, il danno estetico, e così via.
Per utilizzare le parole dei giudici della Terza Sezione Civile “il
giudice, nel liquidare la somma spettante al danneggiato, deve tenere
conto dei diversi aspetti in cui il danno si atteggia nel caso
concreto”.
In merito al danno tanatologico, secondo il giudice nomofilattico, occorre
tenere in considerazione, per la quantificazione del risarcimento del
danno morale, anche della sofferenza psichica subita dalla vittima di
lesioni fisiche, nel caso in cui la morte sia subentrata dopo poco
tempo, soprattutto nel caso in cui, come nella specie, questa sia
rimasta lucida durante l’agonia ed in “consapevole attesa della fine”.