La tutela contro vicini rumorosi va chiesta in sede civile: quella penale si occupa solo del disturbo alla pubblica quiete
Per anni hanno spostato i mobili alle sei del mattino. I vicini della casa di sotto, non potendone più, sporgono denuncia. I due sessantenni vengono condannati dal Tribunale a 200 euro di ammenda ciascuno per disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone. I rumori ci sono stati, ma il disturbo alla pubblica quiete non è dimostrato.
La Cassazione (sentenza 6546/13) però annulla la sentenza senza rinvio, poiché il fatto non sussiste. Ricorda, infatti, che per integrare il reato «è necessario che i rumori prodotti, oltre ad essere superiori alla normale tollerabilità, abbiano la attitudine a propagarsi, a diffondersi, in modo da essere idonei a disturbare una pluralità indeterminata di persone». Se non è lesa la pubblica quiete, la sede di giudizio corretta è quella civile. Il bene giuridico protetto è la quiete pubblica, «non la tranquillità dei singoli soggetti che denuncino la rumorosità altrui». Tali soggetti possono far valere le proprie ragioni in sede civile, «azionando i diritti derivanti dai rapporti di vicinato».
Quindi, quando l’attività di disturbo si verifichi in un edificio condominiale, per ravvisare la responsabilità penale del soggetto agente il disturbo deve essere percepito da una parte notevole degli altri condomini o degli inquilini degli edifici vicini.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it