La vendita dei beni di consumo
Spia al Diritto |
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La vendita dei beni di consumoLa normativa giuridica è stata riordinata in un codice apposito Il provvedimento risale al settembre di quest’anno |
di C. Massimo Bianca * |
La disciplina della vendita dei beni di consumo contenuta negli articoli 1519 bis-1519 nonies del codice civile è stata inserita nel codice del consumo (emanato col d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206) agli articoli 128-135.
Il testo delle norme è rimasto pressochè immuato. Le uniche modifiche non hanno inciso in modo rilevante sul contenuto della disciplina. Ciò può dirsi senz’altro della modifica apportata al testo dell’art. 15192 bis, ora art. 1282 cod. cons. In tale norma è stata tolta la definizione di consumatore. La definizione non è mutata ma è stata enunciata in un articolo precedente (l’art. 31), per valere in generale ai fini di tutto il codice del consumo.
E’ per altro da chiedersi se lo spostamento della disciplina della vendita dei beni di consumo ad una legge speciale ne abbia implicato un diverso coordinamento nel sistema del codice civile e abbia significato un distacco di fondo di quel contratto rispetto alla generale figura della vendita, la vendita civile.
La nuova collocazione della disciplina della vendita dei beni di consumo potrebbe dare ragione a chi aveva ravvisato in tale vendita un nuovo tipo di contratto e nella sua disciplina un complesso normativo a sè stante, un microsistema nUn’espressa indicazione in tal senso viene dal parere rilasciato dalla Sezione consultiva del Consiglio di Stato sul disegno di legge del codice del consumo (n. 11602 del 20 dicembre 2004). Il parere fa leva sull’avvento dell’età della ‘decodificazione’: “si è in una fase storica nella quale all’idea regolativa del codice si è sostituita l’esistenza di discipline sistematicamente organizzabili in una pluralità di codici di settore. Le codificazioni incentrate sull’unita del soggetto giuridico e sulla centralità e sistematicità del diritto civile stanno, quindi, lasciando spazi a micro-sistemi ordinamentali […] improntati a sperimentalismo ed incentrati su logiche di settore, di matrice non esclusivamente giuridica. A questa codificazione di nuova generazione appartiene anche il codice del consumo“.
Nel parere si osserva ulteriormente che “la normativa di fonte comunitaria a tutela del consumatore ruota intorno ad un’esigenza di protezione speciale di questo soggetto” e tende a garantire l’equilibrio sostanziale del contratto.
Tale esigenza – avvertita dalla dottrina già da molto tempo – è sicuramente presente nella disciplina della vendita dei beni di consumo, ed è certo che questa disciplina contiene disposizioni che avvantaggiano il consumatore rispetto al compratore ordinario. Le deroghe alla disciplina del codice civile non valgono tuttavia a fare degli articoli sulla vendita dei beni di consumo un autonomo ‘sistema’ normativo, cioè un corpo completo e organico di norme avente un oggetto esclusivo, estraneo alla vendita civile.on cumulabile col regime della vendita civileAnche il citato parere del Consiglio di Stato riconosceva alla fine la necessità di “ribadire la soggezione dei contratti del consumatore ai principi generali e alla normativa del codice civile”, auspicando in tal senso l’emanazione di disposizioni di reciproco raccordo.
Al reciproco raccordo il d. lgs. del 2005 ha provveduto sostituendo il testo dell’art. 1469 bis del codice civile e integrando quello dell’art. 135 del codice del consumo. Il nuovo testo dell’art. 1469 bis c.c. prevede espressamente l’applicabilità delle disposizioni del titolo sulla vendita ai contratti del consumatore ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore. Il secondo comma dell’art. 135 del codice di consumo prevede l’applicabilità delle disposizioni del codice civile in tema di vendita per quanto non previsto dal titolo sulla vendita dei beni di consumo.
Queste norme di raccordo attestano che la vendita dei beni di consumo rientra nella fattispecie della vendita civile.
La vendita dei beni di consumo, va ulteriormente precisato, rappresenta una specificazione della vendita prevista dal codice civile. Si è anche parlato di un sotto-tipo della vendita, ma è preferibile evitare questa espressione in quanto essa potrebbe indurre a evocare l’idea di un autonomo modello contrattuale, distinto rispetto al tipo principale e dotato di una propria disciplina organica. La disciplina della vendita dei beni di consumo concerne invece solo alcuni aspetti del contratto lasciando per il resto applicabili le norme del codice civile sul contratto in generale e sulla vendita.
La identificazione di ciò che è lasciato alle norme del codice civile deve procedere sulla base di un’interpretazione attenta alla coerenza sistematica della materia e rispettosa del canone della norma più favorevole al consumatore.
La dottrina che si è occupata più a fondo del problema del ‘coordinamento’, reputa applicabili alla vendita dei beni di consumo le norme della vendita civile non riguardanti la garanzia per vizi e mancanza di qualità, vale a dire quindi le disposizioni generali (art. 1470-1475), quelle sulle obbligazioni del venditore (art. 1475-1489), fatta eccezione per la norma che obbliga il venditore a consegnare la cosa nello stato in cui si trovava al momento della vendita (art.14771), quelle sulle obbligazioni del compratore (art. 1498-1499), quelle contenute nei paragrafi successivi (art. 1550 s.): riscatto convenzionale, vendita di cose mobili, ecc.
Trova pure applicazione la regola del consenso traslativo, in base alla quale nella vendita di beni specifici la proprietà passa al compratore per effetto del contratto, a prescindere dalla consegna (art. 1378 c.c.).
Per consolidata interpretazione giurisprudenziale la disciplina della vendita contiene una regola che esclusde l’onere del compratore di denunziare al venditore, che la cosa consegnata è totalmente diversa da quella spettantegli. Anche questa regola trova applicazione nella vendita dei beni di consumo. Non vale addurre in contrario una diversa regola del codice del consumo che assoggetterebbe all’onere della denunzia pure i casi di difformità al contratto consistenti in consegna di aliud pro alio. Se questa regola esistesse, essa sarebbe meno favorevole al consumatore della regola del codice, che troverebbe quindi comunque prevalente applicazione. |
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21-12-2005 |