L’abbigliamento seduttivo non giustifica l’abuso sessuale
penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 34870/2009 ha
ribadito il proprio consolidato orientamento in tema di reati sessuali
confermando così la condanna per violenza sessuale nei confronti di un
32enne di Firenze, colpevole di aver costretto l’ex fidanzata ad avere
un rapporto senza il suo consenso.
Nella motivazione della sentenza, osserva, altresì
(dovendosi ritenere ormai pacifica la libertà per ognuno di indossare
ciò che si vuole e dovendosi escludere che un abbigliamento
potenzialmente seduttivo della donna “giustifichi” in alcun modo un
abuso sessuale) sia perché la parte lesa ha sempre mantenuto
costante e fermo il punto focale della sua accusa, l’essere stata
costretta ad un coito da lei non consentito”.
Il
ricorrente ha cercato di valorizzare l’abbigliamento (verosimilmente
succinto) della vittima quasi che esso potesse costituire una causa di
giustificazione del gesto violento, ma come è stato evidenziato dalla
Corte di Cassazione “il consenso agli atti sessuali, deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzioni di continuità”, trattandosi
di una sfera soggettiva in cui sono tutelati, nella loro massima
ampiezza, la dignità e la libertà, sia fisica che psichica della
persona.
Infatti in tema di libertà sessuale non è
necessario che il dissenso della vittima si manifesti per tutto il
periodo di esecuzione dei delitto, essendo sufficiente che si
estrinsechi all’inizio della condotta antigiuridica; conseguentemente
l’imputato non può invocare a sua giustificazione di avere agito in
presenza di un consenso dell’avente diritto, quando vi è stata la
tempestiva reazione della vittima.
La prosecuzione di
un rapporto nel caso in cui il consenso originariamente prestato venga
poi meno a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle
forme o modalità di consumazione dell’amplesso, integra il reato di cui
all’art. 609 bis c.p..
In tema di reati sessuali, poiché
la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del
convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa
l’attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale,
ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona
escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica
dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente
quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile
della sua analisi probatoria ai fini della formazione del libero
convincimento del giudice, ben può tenersi conto delle dichiarazioni
della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente
attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, sulla quale
può essere, anche esclusivamente, fondata l’affermazione di
colpevolezza dell’imputato, purché la relativa valutazione sia
adeguatamente motivata. E ciò vale, in particolare, proprio in tema di
reati sessuali, l’accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei
casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte
versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in
assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi
atti ad attribuire maggiore credibilità, dall’esterno, all’una o
all’altra tesi.