L’amministratore di fatto risponde di bancarotta anche se quello di diritto non è colpevole
L’amministratore di fatto di una società risponde
dei reati fallimentari come diretto destinatario della norma. La
giurisprudenza di legittimità, infatti, non ha mai dubitato della
possibilità astratta di configurare la responsabilità penale per
bancarotta a carico dell’amministratore di fatto di una società, anche
di una società di persone. E non si tratta di un’operazione
interpretativa di analogia ma dell’applicazione di una norma
appositamente prevista dalla legge fallimentare, l’articolo 223, che
prevede i fatti di bancarotta fraudolenta che possono essere commessi
da persone diverse dal fallito, tra le quali l’amministratore della
società dichiarata fallita. Quest’ultimo da intendersi, ovviamente, sia
come amministratore di diritto che semplicemente di fatto.
Il caso
La Cassazione (sentenza 43036/09)
ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale nei
confronti dell’amministratore di fatto di una società in accomandita
semplice dichiarata fallita. Sul punto, la quinta sezione penale del
Palazzaccio ha ricordato il principio secondo il quale «qualsiasi
soggetto che di fatto si sia inserito nell’attività amministrativa di
una società, poi dichiarata fallita, risponde del reato di cui agli
articoli 223 e 216 legge fallimentare come diretto destinatario delle
disposizioni in essi contenute, le quali indicano, tra gli altri, gli
amministratori, con riferimento non ad una formale attribuzione di
qualifiche, ma all’esercizio concreto delle funzioni che la
sostanziano». Da ciò è conseguito il corollario secondo cui
l’amministratore di fatto di una società può rispondere del reato
fallimentare quand’anche l’amministratore legale della stessa non sia
ritenuto colpevole sul punto, dovendosi aver riguardo all’effettivo
potere di gestione svolto nell’attività sociale.