Lascia il lavoro per donare un rene al figlio. Esistono in Italia leggi che tutelino i donatori d’organo, senza che questi perdano il lavoro?
Grazie al social network Facebook che ha fatto incontrare due donne
accomunate da una vicenda simile, è avvenuto in Italia il primo
trapianto pediatrico da donatore vivente adulto. Seguito «in diretta»
sul popolare social network, il trapianto ha permesso a un papà di
Alessandria, Pier Enrico R., 42 anni, di donare il proprio rene a suo
figlio piccolo, Tommaso. Un gesto d’amore che però gli è costato il
lavoro. Al momento, infatti, nel nostro Paese non esistono regole
chiare che tutelino i donatori d’organo con permessi ad hoc per gli
esami preoperatori. «La scelta era obbligata – ha spiegato l’uomo- Non
c’era tempo da perdere, dovevamo agire in fretta e per farlo mi sono
dovuto licenziare dalla società immobiliare in cui lavoravo».
Nato
con una malformazione alla valvola uretrale posteriore che ha provocato
un reflusso di urina compromettendo la funzione renale, il piccolo ha
già subito subito 7 interventi chirurgici, il primo ad appena due
giorni d’età. Nel maggio 2006 la situazione è precipitata: in cura
all’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, il bambino è stato
sottoposto a costanti trattamenti di dialisi peritoneale, in attesa di
un rene nuovo. Tre anni d’inferno – confessa la mamma – che per seguire
il figlio malato è stata costretta a cedere il suo studio di
commercialista. Nonostante la schiavitù della dialisi, però, «Tommy si
è rivelato un bambino vivacissimo e pieno di voglia di vivere –
continua – e grazie al sostegno di persone sensibili e coraggiose ha
socializzato con i coetanei all’asilo».
Proprio la madre,che
aveva creato il gruppo “Donazione organi facciamo qualcosa”, ha
conosciuto su Facebook Irene Vella, che aveva subito un intervento
simile nel febbraio 2003 insieme a suo marito. L’incontro ha riacceso
la speranza: i due genitori alessandrini sono stati messi in contatto
con l’ospedale Cisanello di Pisa e il professor Boggi, direttore
dell’unità operativa di chirurgia generale e trapianti nell’uremico e
nel diabetico, che il 19 agosto ha eseguito l’operazione.
«Abbiamo
detto al bimbo che andavamo in ospedale a togliere il tubicino e lui è
entrato in sala operatoria col sorriso – dice Stefania – Il risveglio
dall’anestesia è stato duro, ma Tommy ha avuto un recupero incredibile.
Ha già iniziato la terapia antirigetto che lo accompagnerà per tutta la
vita, ma migliora ogni giorno. La sola cosa che vuole è fare un bagno
al mare e il mio unico desiderio è realizzare questo suo sogno». Nel
frattempo «lottiamo per cambiare le cose. Mi sono attivata con la
Regione Piemonte e contiamo di avviare un progetto di sensibilizzazione
al problema della donazione d’organi», afferma.
Operato il
mercoledì, Pier è stato dimesso la domenica ma resta accanto a Tommy,
ancora all’ospedale Cisanello. «Sto in forma, mi sono alzato già il
giorno dopo l’intervento», sussurra per non svegliare il piccolo che
dorme al suo fianco. «Non ho fatto proprio nulla di speciale –
garantisce – È stato un gesto di normalità assoluta, per un figlio
tutti l’avrebbero fatto e io mi sento molto fortunato». Ma l’amarezza
rimane. «Non ho avuto nemmeno il tempo di confrontarmi con la società
per cui lavoravo – racconta ’papà coraggiò – Ma i precedenti non erano
rassicuranti e così mi sono licenziato. Non potevo permettermi di
discutere per avere i permessi, dovevo fare in fretta e ho preso una
decisione. In Italia è quasi una scelta obbligata», ripete, mentre
«all’estero interventi del genere rientrano nella normalità. La nostra
intenzione è di andare avanti», perché altre famiglie non debbano
rinunciare al lavoro per regalare una nuova vita al proprio figlio.