L’assegno mensile di invalidità non è subordinato alla carta di soggiorno
Corte Costituzionale , sentenza 28.05.2010 n° 187
La concessione agli stranieri, regolarmente soggiornanti in Italia, dell’assegno mensile d’invalidità non è più subordinata al requisito della titolarità della carta di soggiorno. E’ quanto ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza 26-28 maggio 2010, n. 187 che, nel dichiarare illegittimo l’articolo 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, afferma che l’assegno in questione consiste in un’erogazione destinata non a integrare il minor reddito dipendente dalle condizioni soggettive, ma a fornire alla persona un minimo di sostentamento atto ad assicurare la sopravvivenza, in quanto può essere concesso solo al soggetto invalido che non presti alcuna attività lavorativa.
Di conseguenza, l’assegno di invalidità si pone come “parametro di ineludibile uguaglianza di trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato” il quale non può essere subordinato al requisito della titolarità della carta di soggiorno.
La questione di legittimità costituzionale
La Corte d’Appello di Torino sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, L. 28 dicembre 200, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), nella parte in cui tale disposizione, nello stabilire che “ai sensi dell’art. 41, D.Lgs. 25 luglio 1988, n. 286, l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno”, subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione, agli stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro Paese, dell’assegno mensile di invalidità, ex art. 13, L. 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili).
A parere dei giudici remittenti, la disposizione ora ricordata, il fatto di subordinare il diritto alle prestazioni previdenziali alla titolarità della carta di soggiorno e, quindi, all’ulteriore requisito della presenza nel territorio dello Stato italiano per almeno cinque anni, introdurrebbe una discriminazione dello straniero nei confronti del cittadino italiano, in contrasto con quanto stabilito, a livello internazionale, dall’art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione medesima e, a livello nazionale, dall’art. 117, primo comma, Cost..
La soluzione accolta dal giudice delle leggi
Come ha precisato la Consulta, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha avuto modo di precisare come la Convenzione sopra richiamata, sebbene non ponga in essere alcun obbligo, per gli Stati membri, di adottare un sistema di protezione sociale, ovvero di assicurare un certo livello delle prestazioni assistenziali, se tali prestazioni vengono istituite e concesse, la normativa non potrà in alcun modo discostarsi alle disposizioni contenute all’interno della Convenzione medesima, ed in particolare, per quanto qui interessa, con l’art. 14 che vieta la previsione di trattamenti discriminatori.
Secondo la Corte Costituzionale, con riferimento alla normativa ed alla funzione sociale che l’assegno mensile di invalidità svolge all’interno del sistema, questo integra un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei bisogni primari inerenti alla sfera di tutela della persona umana e che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare. Di conseguenza, si tratta di un diritto fondamentale dell’individuo, in quanto garanzia per la stessa sopravvivenza della persona.
“Ove, pertanto, si versi in tema di provvidenza destinata a far fronte al sostentamento della persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.