L’avvocato può mettere in mora il cliente solo dopo la liquidazione giudiziale della parcella
Insufficiente la semplice redazione dell’atto da parte del professionista. Il legale mette in mora il cliente solo dalla liquidazione giudiziale della parcella. Inoltre, lo scaglione tariffario applicabile, secondo le norme vigenti al momento della controversia, può essere determinati dal giudice a seconda dell’importanza dei risultati ottenuti dal professionista, il pregio dell’opera e le difficoltà dell’incarico.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con una sentenza del 10 ottobre 2011, ha accolto in parte il ricorso di un’impresa che aveva contestato una parcella troppo salata, chiesta dal suo avvocato nell’ambito di una causa amministrativa su un appalto.
Dopo aver esaminato nove motivi di ricorso la seconda sezione civile ha affermato che «nel caso di un giudizio avente ad oggetto la determinazione del credito per prestazioni professionali, nell’ambito del quale al giudice, in presenza di una contestazione non meramente pretestuosa del cliente, si chiede di determinare non solo se la pretesa del difensore si sia mantenuta entro i limiti della tariffa ma anche se la medesima sia congrua, appare confermata l’essenzialità ( in termini di delimitazione del quanturn debeatin) di tale liquidazione giudiziale, essendo demandato al giudice di valutare la rilevanza della materia controversa al fine di determinare lo scaglione tariffario applicabile e, nell’ambito di un minimo cd un massimo, dare rilevanza – con provvedimento discrezionale (eppertanto insindacabile se sorretto da corretta e congrua motivazione)- ad clementi non obiettivamente ponderabili al momento della spedizione della parcella, quali l’importanza dei risultati conseguiti, il pregio dell’opera professionale e le difficoltà incontrate nell’espletamento dell’incarico».