Le collaborazioni coordinate e continuative possono durare anni
Il lavoratore con contratto di collaborazione coordinata e continuativa che pur essendo inserito da anni
nell’organizzazione dell’azienda e nonostante rispondi a questa, non può chiedere di essere inquadrato come
dipendente qualora “non sia
privato di qualsiasi autonomia”. Lo ha sancito la Suprema
corte con la sentenza n. 26986 del 22 dicembre 2009, con cui ha respinto
il ricorso di un lavoratore con contratto di collaborazione coordinata e continuativa che lavorava in un’azienda da sei anni, seguendo le direttive scandite
dall’azieda stessa, ma mantenendo la facoltà di assentarsi per lunghi
periodi senza essere soggetto a sanzioni disciplinari. In particolare, in sentenza si legge che “Una certa
organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive, ove non siano
assolutamente pregnanti ed assidue traducendosi in una autentica
attività di direzione costante e cogente atta a privare il lavoratore
di qualsivoglia autonomia, si inserisce in quella attività di
coordinamento e di eterodirezione che caratterizza qualsiasi
organizzazione aziendale, e si configura quale semplice potere di
sovraordinazione e di coordinamento, non già quale potere direttivo e
disciplinare”. Ciò scaturisce dal fatto che “il potere gerarchico e direttivo non può
esplicarsi in semplici direttive di carattere generale (compatibili con
altri tipi di rapporto) ma deve manifestarsi con ordini specifici,
reiterati e intrinsecamente inerenti la prestazione lavorativa, mentre
il potere organizzativo in un semplice coordinamento (anch’esso
compatibile con altri tipi di rapporto) ma deve manifestarsi in un
effettivo inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale”.