Le domande senza risposta sugli occhialini 3D
La questione è complessa, e va al di là della tecnologia. L’episodio
che ha visto suo malgrado protagonista una bambina di tre anni, vittima di un’infiammazione acuta all’occhio
sinistro qualche ora dopo aver assistito a una proiezione di un film in
3D (“Alice in Wonderland”) in un cinema milanese, ha fatto da cassa di
risonanza di un problema più ampio. La rivoluzione tridimensionale è
solo all’inizio, quindi occorre conoscerla e farla conoscere per bene
per evitare inutili allarmismi da una parte ed esagerati entusiasmi
dall’altra. L’ormai ben nota circolare ministeriale ha fissato dei
paletti – senza porre, per il momento, dei veri e propri divieti –
riprendendo di fatto quanto suggerito dal Consiglio Superiore di
Sanità, a sua volta sollecitato dal Codacons. La misura restrittiva che
fa polemica riguarda la tipologia di occhialini 3D utilizzate nelle
sale cinematografiche: d’ora in poi gli esercenti dovranno distribuire
agli spettatori solo supporti monouso, quelli di tipo polarizzati “usa
e getta”, che costano qualche decina di centesimi di euro il paio.
L’incognita per i cinema “attivi” e per i punti vendita
La questione è complessa perché c’è di mezzo la salute delle
persone (quello della bimba ha comunque tutta l’aria di essere un caso
di infezione dovuta a scarsa igiene), perché ci sono in gioco
responsabilità da osservare (dagli esercenti e dai produttori degli
occhialini) e perché oggi in Italia sono circa 500 i cinema attrezzati
per trasmettere film in 3D. Metà di questi si sono attrezzati con gli
occhialini a tecnologia attiva, riutilizzabili più volte e con costi
che si aggirano mediamente una quarantina di euro. C’è quindi anche un
“problema” di natura commerciale, visto e considerato che sulla scia
del successo di Avatar sono sempre di più gli italiani che si mettono
in coda per assistere a cartoon e film di fantascienza davanti al
grande schermo. Dov’è quindi il punto debole della questione? La presa
di posizione del Codacons, ripresa dalla circolare ministeriale, era
stata netta e funzionale a bandire i film in 3D nelle sale dove non si
forniscono agli spettatori occhiali monouso. Ma quali implicazioni
comporta fermare gli esercenti che per varie ragioni (anche quella,
perché no, di offrire un servizio migliore ai propri clienti) hanno
deciso di investire su supporti riutilizzabili più volte, che devono
essere soggetti a pulizia con speciali macchine di lavaggio o
particolari disinfettanti? Non era (e non lo sarà in futuro)
percorribile un provvedimento volto a garantire che gli occhialini
“attivi” indossati da più persone nell’arco di una giornata seguano
procedure di sterilizzazione sicure e certificabili? C’è quindi
un’altra faccia del problema: sempre l’Associazione dei consumatori ha
messo l’indice sul fatto che gli occhialini tridimensionali devono
essere muniti di marchio di garanzia CE come prevede la legge. Quanti
sono i cinema che trasmettono film in 3D che fanno ricorso a prodotti a
basso costo importati e privi del bollino di qualità? Verranno
effettuati controlli a tappeto su tutto il territorio nazionale? Altra
questione che la circolare ministeriale non risolve riguarda i punti
vendita che a giorni inizieranno a vendere i primi televisori a tre
dimensioni e relativi occhialini (a tecnologia attiva). Come verrà
gestita da parte dei retailer la più che prevedibile richiesta da parte
dei consumatori di provare l’ebbrezza delle immagini 3D prima di
acquistare un apparecchio da almeno 2.000 euro? Si useranno occhialini
mono uso quando il prodotto offerto alla clientela è di fatto un altro?
Nessun danno per l’apparato visivo, in attesa degli occhialini “universali”
L’utilizzo coercitivo di occhialini monouso (nei cinema) è
sicuramente una strada percorribile: che sia la migliore è tutto da
dimostrare e comunque risponde, nella sostanza, a questioni prettamente
igieniche. Per il resto la presunta dannosità del 3D non trova al
momento alcun riscontro negli studi effettuati in materia e di fatto
anche nella relazione prodotta dagli esperti del ministero (“non
sussistono controindicazioni cliniche all’utilizzo degli occhiali 3D
purché condizionato a moderati periodi di tempo”). E anche la Società
Oftalmologica Italiana si è espressa confermando che non c’è nessun
pericolo e che gli occhialini non provocano alcun danno all’apparato
visivo. Non ci sono quindi prove che guardare un film in 3D possa
generare disturbi di varia natura e non ci sono neppure dati
scientifici che possano provare eventuali effetti nocivi degli
occhialini polarizzati rispetto a quelli a tecnologia attiva o
viceversa. Mettere all’indice, colpevolizzandola, la tecnologia 3D in
quanto tale sembra in effetti fuori luogo e le conferme che arrivano
dai produttori di Tv (ogni dispositivo messo in commercio supera severi
test di qualità) vanno in questa direzione anche se, per dirla tutta,
gli occhialini attivi che Sony, Samsung e via dicendo venderanno a
corredo con i loro flat tv a tre dimensioni sono prodotti da aziende
terze. Casomai si può disquisire se, in futuro, come sembra certo,
arriveremo a poter comprare nei negozi occhialini attivi
interoperabili, e cioè utilizzabili con televisori 3D di diverse marche
e di tecnologia differente (plasma, Lcd, Led). Questo significherebbe
poter indossare gli occhialini di amici o parenti e utilizzarli davanti
al proprio apparecchio, passandoseli di fatto di mano in mano. Per
eliminare il problema di fondo, e cioè l’obbligo di indossare gli
occhialini, si dovrà aspettare invece ancora un bel po’, visto e
considerato che le prime Tv tridimensionali visibili a occhio nudo non
arriveranno prima di cinque anni, se non dieci. In definitiva si può
lecitamente affermare che il 3D non è pericoloso perché non c’è
ricerca, al momento, che attesti controindicazioni per la visione di
contenuti in formato tridimensionale. Rispettare le necessarie misure
di ordine igienico non è una questione di occhialini polarizzati o
attivi ma di buon senso e responsabilità. Nei cinema come nei punti
vendita e anche nelle case.