Le norme europee, il nostro cibo è davvero sicuro?
Che cosa si intende per «tracciabilità degli alimenti»?
E’
il meccanismo che porta ad attribuire una «carta di identità» a ciò che
mangiamo, seguendo i principi del regolamento comunitario 178/2002 del
2005. Il quadro legislativo stabilisce come si registra e controlla
ogni passaggio di produzione, lavorazione e distribuzione di alimenti,
mangimi, animali e qualunque altra sostanza che possa finire sulle
nostre mense.
A che cosa serve?
Risponde all’esigenza
di sicurezza alimentare ed evita i rischi legati al consumo di prodotti
pericolosi. Si può essere ragionevolmente sicuri che, se c’è il marchio
comunitario, gli alimenti sono stati trattati e confezionati in Europa
e, pertanto, grazie alle regole comuni nei 27 Paesi dell’Ue, possono
essere considerati privi di controindicazioni.
Che cosa succede al supermercato?
Sull’etichetta
di una confezione di carne è necessario stampare il codice a barre
della tracciabilità con tutte le informazioni di cui sopra; il Paese in
cui l’animale è nato; quello in cui è stato ingrassato; quello dove è
stato macellato. Non differente il trattamento della frutta: si ha
origine, categoria, peso e codice a barre con la storia dell’arancia o
della mela. Nella foto un esempio: 471 indica la provenienza da Taiwan,
mentre i codici che iniziano per 690, 691, 692 fino a 695 sono della
Cina. Il numero 80 si riferisce all’Italia, mentre il 30 alla Francia,
il 40 alla Germania, il 460 alla Russia, il 789 al Brasile e il 600 al
Sud Africa.
E’ un sistema utile in caso di epidemia?
Se
le autorità scoprono che una partita di carni non è compatibile con gli
standard sanitari comuni, possono facilmente arrivare allo stabilimento
in cui è stata lavorata e alla radice del problema. In talune
circostanze una possibile epidemia bovina può essere arginata,
risalendo alla stalla in cui l’animale è stato allevato, poiché è
possibile isolare il morbo e minimizzare i danni.
E’ successo questo nel caso del pollo alla diossina?
La
tracciabilità ha consentito di isolare le unità malate ed impedire che
arrivassero sotto forma di petti, cosce e ali sulle tavole europee.
Perché serve una normativa europea?
L’Ue
si fonda su un mercato unico in cui le merci possono circolare
liberamente. Ciò che si vende a Torino può essere venduto a Riga, e
viceversa, senza controlli ulteriori. Per questo è opportuno che ci sia
un impianto di regole minime uguale per tutti.
Come funzionano i controlli?
E’
una piramide. Alla base ci sono gli operatori del settore, che hanno il
dovere di rispettare le norme di sicurezza europee. Il secondo gradino
è costituito dalle autorità nazionali, che verificano che nella catena
di produzione le regole siano rispettate. Il terzo livello sono i
controlli Ue, il «Fvo», «Food and veterinary office», l’agenzia europea
con sede in Irlanda che vigila sul cibo e le attività veterinarie, con
interventi mirati o a campione.
Che cosa capita se si riscontra la possibilità di un’epidemia?
Entra
in scena il «Rasff», il sistema di allerta rapido per la sicurezza
alimentare, gli ispettori europei attivi in coordinamento con le
autorità nazionali. L’obiettivo è sempre quello di scoprire dove si è
avuto l’inizio e bloccare la diffusione del morbo.
Quali sono gli strumenti della tracciabilità?
Ecco
qualche esempio. Gli ovini hanno una medaglia che contiene le
informazioni sul centro veterinario che le ha registrate, il Paese di
origine, il numero che individua la bestia. Ogni capo di ogni mandria
di bovini ha poi un passaporto per i trasferimenti: questo contiene la
data di emissione, il numero della piastrina attaccata all’orecchio,
l’origine, il nome e l’indirizzo dell’allevatore.
Sono possibili frodi?
E’
nella natura umana. Succede che dei prodotti siano importati
illegalmente e rietichettati come europei. E’ contro la legge. E la
vigilanza dipende dalle autorità nazionali.
Si può avere un esempio?
Il
Nas di Bari ha posto sotto sequestro 44 tonnellate di fughi putrefatti.
La merce era arrivata qualche giorno fa a Salerno dalla Cina. A
Cerignola sono stati confezionati e venduti all’ingrosso e al
dettaglio, ma anche ai ristoranti in vasetti sott’olio. I funghi
avariati non erano ovviamente tracciati. Non avevano alcuna etichetta
che ne indicasse il luogo d’origine.