Le università spingono solo i prof interni
I professori universitari vincono solo quando giocano in casa. Negli
ultimi quattro anni tre concorsi su quattro si sono conclusi con una
promozione, che ha dato al prescelto una stelletta in più senza
chiedergli di cambiare sede.
Il “mercato” delle competenze, insomma, non attira, ma non è colpa
sua. Quando si libera un posto, sono i professori della facoltà a
decidere che cosa fare: meglio chiamare un esterno, che magari ha già
ottenuto un’idoneità in un’altra prova, o bandire un concorso nuovo con
la speranza di vincerlo? Di solito non hanno dubbi: meglio la speranza.
A scardinare questa abitudine ci prova ora la riforma Gelmini, che
dopo lunga attesa dovrebbe arrivare a breve in consiglio dei ministri.
Nei piani del ministro c’è quello di imporre agli atenei una quota
minima di assunzioni dall’esterno, che potrebbe essere fissata al 50
per cento. Sarebbe una rivoluzione.
Il passaggio dalla teoria alla pratica, però, nell’università
italiana non è mai facile. Lo dimostra la riforma dei concorsi, che per
eliminare le combine ha introdotto le commissioni a sorteggio. Prima,
però, con il classico bizantinismo accademico c’è da eleggere i
sorteggiabili: le elezioni saranno a metà dicembre, poi si formeranno
le commissioni. Ma chi affolla le prove, bandite ormai da più di un
anno? Otto su dieci sono docenti già di ruolo, che aspirano alla
promozione.
Si rimette in moto il pachiderma dei concorsi per i professori
universitari, ma i numeri mostrano che c’è un problema: nei bandi 2008
più di tre posti ogni quattro sono dedicati a ordinari e associati, che
i vincoli legati al turn over e le regole di reclutamento rendono
difficili da assorbire. Per i ricercatori, invece, i bandi sono
diventati assai meno generosi e il futuro riserva più di un rischio. Ma
andiamo con ordine.
Il meccanismo del reclutamento accademico si è rimesso in moto
perché il ministero ha fissato il calendario elettorale per formare gli
elenchi di papabili tra cui sorteggiare i commissari d’esame delle
diverse discipline almeno per la prima sessione dei concorsi 2008 (ne
parla l’articolo qui sotto). Intanto sia il premier Berlusconi sia il
ministro dell’Università Mariastella Gelmini hanno rilanciato
nuovamente il disegno di legge per la riforma di governance e
reclutamento, che dopo una lunga gestazione dovrebbe arrivare in
consiglio dei ministri nelle prossime settimane. Fra le altre cose, la
nuova riforma dovrebbe favorire il reclutamento di nuovi ricercatori,
prevedendo che gli atenei aprano a loro le porte con frequenza
nettamente maggiore rispetto a ordinari e associati.
I dettagli si vedranno con il nuovo testo che arriverà sul tavolo
del governo, ma prima c’è da risolvere il rebus dei numeri “monstre”
contenuti nei concorsi banditi dell’anno scorso, ancora tutti da
effettuare. Nel 2008 le università hanno bandito 2.621 posti (quasi
tutti nella prima sessione, quella interessata dal primo sblocco), che
in 2.018 casi (il 77%) riguardano promozioni a ordinario o associato.
Qui arriva il primo problema: l’anno prossimo, quando (se tutto va
bene) i concorsi potranno partire davvero, le università potranno
spendere solo la metà delle risorse liberate dai pensionamenti,
destinandone il 60% ai ricercatori, il 30% agli associati e il 10% agli
ordinari. Da Verona a Bergamo, da Siena a Brescia, dal Politecnico di
Torino a quello di Bari, 15 università sono però a secco di ricercatori
in attesa, altre 14 dedicano alle nuove leve meno di un posto su 10 e
solo 14 hanno destinato alle promozioni di chi è già di ruolo meno
della metà dei posti banditi. In pratica solo queste ultime potranno
assorbire tutti i posti messi a concorso, purché il loro turn over sia
abbastanza generoso, mentre nella maggioranza degli atenei per
accogliere gli ordinari e associati “promessi” ci vorranno anni. A
rendere il nodo ancora più intricato c’è il trucchetto del «doppio
idoneo», reintrodotto l’anno scorso, che fino alla prima sessione 2008
ha permesso agli atenei di creare due ordinari o associati per ogni
posto bandito: se tutti volessero applicarli, la quota di ricercatori
in pratica si dimezzerebbe.
Per riaprire la strada ai giovani il Ddl Gelmini dovrebbe
introdurre nuove norme “di favore”, in due modi: secondo le bozze
circolate in questi mesi, il reclutamento dei ricercatori dovrebbe
avvenire tre volte l’anno, contro la cadenza annuale pensata per gli
altri ruoli, e le università dovrebbero assicurare una
«intensificazione progressiva» delle assunzioni di nuovi giovani.
Se il futuro promette un occhio di riguardo, però, il presente è
più avaro. Il cofinanziamento statale per i posti da ricercatore, per
esempio, è in stand by, perché mentre i tempi lunghi dei concorsi
mettono a rischio i fondi 2008 ancora deve arrivare al traguardo il
provvedimento che sblocca gli 80 milioni di dote per il 2009.
L’emendamento ministeriale è collegato al Ddl delega sui lavori
usuranti, fermo in Parlamento da oltre un anno, ma per evitare che i
fondi ritornino al ministero dell’Economia l’assegnazione deve avvenire
entro fine 2009.