Legge elettorale campana: legittima la preferenza di genere Corte Costituzionale , sentenza 14.01.2010 n° 4
La Consulta, con l’arresto in esame, ritiene non fondata la
questione di legittimità costituzionale, promossa dal Presidente del
Consiglio dei Ministri, in riferimento agli artt. 3, 48 e 51 della
Costituzione, nei confronti dell’art. 4 comma 3 della legge reg.
Campania 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale) e dichiara cessata la
materia del contendere in riferimento ad ulteriori censure promosse nei
confronti di altre disposizioni della stessa legge.
La legge
regionale sottoposta allo scrutinio dei giudici costituzionali
introduce nell’ordinamento la cd. preferenza di genere, disponendo che,
per l’elezione dei Consiglieri regionali, l’elettore ha la possibilità
di esprimere uno o due voti di preferenza e che, nel caso di
espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di
genere maschile ed una un candidato di genere femminile della stessa
lista, pena l’annullamento della seconda preferenza.
Ratio della
legge elettorale campana è dichiaratamente quella di ottenere un
riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi all’interno
del Consiglio regionale, in sintonia con quanto disposto dall’ art. 51,
co. 1, Cost., nel testo modificato dalla legge costituzionale 30 maggio
2003, n. 1 (Modifica dell’articolo 51 della Costituzione), e con l’art.
117, co. 7 , Cost., nel testo modificato dalla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione).
Come osservato dai giudici costituzionali, la
norma in questione trova fondamento nell’art. 5 del nuovo statuto della
Regione Campania, non impugnato dal Governo, che, nel comma 3, ultimo
inciso, così recita: “Al fine di conseguire il riequilibrio della
rappresentanza dei sessi, la legge elettorale regionale promuove
condizioni di parità per l’accesso di uomini e donne alla carica di
consigliere regionale mediante azioni positive”.
Il Giudice delle Leggi ricorda che il
quadro normativo, costituzionale e statutario, è complessivamente
ispirato al principio fondamentale dell’effettiva parità tra i due
sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello
spirito dell’art. 3, secondo comma, Cost., che impone alla Repubblica
la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena
partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica del
Paese.
Preso atto della storica sotto-rappresentanza
delle donne nelle assemblee elettive, non dovuta a preclusioni formali
incidenti sui requisiti di eleggibilità, ma a fattori culturali,
economici e sociali, i legislatori costituzionale e statutario indicano
la via delle misure specifiche volte a dare effettività ad un principio
di eguaglianza astrattamente sancito, ma non compiutamente realizzato
nella prassi politica ed elettorale.
Inoltre, la Corte rileva che la norma de qua
non vulnera il principio della libertà di voto, tutelata dall’art. 48
Cost., atteso che l’elettore, quanto all’espressione delle preferenze
e, più in generale, alle modalità di votazione, incontra i limiti
stabiliti dalle leggi vigenti, che non possono mai comprimere o
condizionare nel merito le sue scelte, ma possono fissare criteri con i
quali queste devono essere effettuate.
Parimenti non può
essere considerata lesiva della stessa libertà la condizione di genere
cui l’elettore campano viene assoggettato, nell’ipotesi che decida di
avvalersi della facoltà di esprimere una seconda preferenza. Non
è certamente lesivo della libertà degli elettori che le leggi, di volta
in volta, stabiliscano il numero delle preferenze esprimibili, in
coerenza con indirizzi di politica istituzionale che possono variare
nello spazio e nel tempo.
Infatti, si tratta di una facoltà
aggiuntiva, che allarga lo spettro delle possibili scelte elettorali –
limitato ad una preferenza in quasi tutte le leggi elettorali regionali
– introducendo, solo in questo ristretto ambito, una norma
riequilibratrice volta ad ottenere, indirettamente ed eventualmente, il
risultato di un’azione positiva.
Tale risultato non
sarebbe, in ogni caso, effetto della legge, ma delle libere scelte
degli elettori, cui si attribuisce uno specifico strumento utilizzabile
a loro discrezione.
In conclusione, la Consulta afferma che
non vi sono, in base alla norma censurata, candidati più favoriti o più
svantaggiati rispetto ad altri, ma solo un’eguaglianza di opportunità
particolarmente rafforzata da una norma che promuove il riequilibrio di
genere nella rappresentanza consiliare.
preferenze e, più in generale, alle modalità di votazione, incontra i
limiti stabiliti dalle leggi vigenti, che non possono mai comprimere o
condizionare nel merito le sue scelte, ma possono fissare criteri con i
quali queste devono essere effettuate. Non è certamente lesivo della
libertà degli elettori che le leggi, di volta in volta, stabiliscano il
numero delle preferenze esprimibili, in coerenza con indirizzi di
politica istituzionale che possono variare nello spazio e nel tempo.
Parimenti non può essere considerata lesiva della stessa libertà la
condizione di genere cui l’elettore campano viene assoggettato,
nell’ipotesi che decida di avvalersi della facoltà di esprimere una
seconda preferenza. Si tratta di una facoltà aggiuntiva, che allarga lo
spettro delle possibili scelte elettorali – limitato ad una preferenza
in quasi tutte le leggi elettorali regionali – introducendo, solo in
questo ristretto ambito, una norma riequilibratrice volta ad ottenere,
indirettamente ed eventualmente, il risultato di un’azione positiva.
Tale risultato non sarebbe, in ogni caso, effetto della legge, ma delle
libere scelte degli elettori, cui si attribuisce uno specifico
strumento utilizzabile a loro discrezione.
Corte Costituzionale
Sentenza 14 gennaio 2010, n. 4
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Francesco AMIRANTE Presidente
– Ugo DE SIERVO Giudice
– Paolo MADDALENA ”
– Alfio FINOCCHIARO ”
– Alfonso QUARANTA ”
– Franco GALLO ”
– Luigi MAZZELLA ”
– Gaetano SILVESTRI ”
– Sabino CASSESE ”
– Maria Rita SAULLE ”
– Giuseppe TESAURO ”
– Paolo Maria NAPOLITANO ”
– Giuseppe FRIGO ”
– Alessandro CRISCUOLO ”
– Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, 3, commi
1, 3 e 4, 4, comma 3, e 6, comma 1, della legge della Regione Campania
27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12-16 giugno 2009,
depositato in cancelleria il 18 giugno 2009 ed iscritto al n. 39 del
registro ricorsi 2009.
Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica del 15 dicembre 2009 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi
l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l’avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione
Campania.
Ritenuto in fatto
1.— Il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, con ricorso
notificato il 12 giugno 2009 e depositato il successivo 18 giugno,
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, 3,
commi 1, 3 e 4, 4, comma 3, e 6, comma 1, della legge della Regione
Campania 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale), per violazione degli
artt. 3, 48 e 51 della Costituzione e dell’art. 5 della legge
costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti
l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia
statutaria delle Regioni).
1.1.— Il ricorrente, dopo aver
illustrato il contenuto delle disposizioni impugnate, si sofferma sulle
ragioni di censura dell’art. 2, comma 2, e dell’art. 3, commi 1, 3 e 4,
della legge reg. Campania n. 4 del 2009. In particolare, le norme
indicate violerebbero l’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, in
quanto prevedono che i candidati alla Presidenza della Giunta regionale
siano collegati a liste o a coalizioni di liste provinciali, mentre
l’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 stabilisce che, «fino alla
data di entrata in vigore dei nuovi statuti regionali e delle nuove
leggi elettorali ai sensi del primo comma dell’articolo 122 della
Costituzione», sono candidati alla Presidenza della Giunta regionale i
capilista delle liste regionali.
Al riguardo, la difesa erariale
evidenzia come, alla data di entrata in vigore della legge impugnata,
il nuovo statuto della Regione Campania non fosse stato ancora
promulgato e quindi non fosse entrato in vigore. Di conseguenza, la
Regione non avrebbe potuto emanare norme elettorali confliggenti con
l’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 (è richiamata, in proposito,
la sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2003).
1.2.—
Sono impugnati anche gli artt. 6, comma 1, e 3, comma 4, della legge
reg. Campania n. 4 del 2009, nella parte in cui prevedono un premio di
maggioranza per le liste collegate al candidato proclamato eletto alla
carica di Presidente della Giunta regionale. Il suddetto premio di
maggioranza è individuato nella misura del sessanta per cento dei seggi
del Consiglio attribuiti alle singole liste.
A tal proposito, il
ricorrente svolge argomentazioni analoghe a quelle formulate con
riferimento alla precedente questione, rilevando che il premio di
maggioranza stabilito dalle norme censurate non è previsto dall’art. 5
della legge cost. n. 1 del 1999, il quale, come già detto, si applica
fino all’entrata in vigore dei nuovi statuti e delle nuove leggi
elettorali regionali.
La difesa erariale aggiunge che le norme
impugnate non riguardano aspetti di dettaglio ma profili relativi alla
composizione del Consiglio regionale, con conseguente incidenza sui
meccanismi di formazione delle maggioranze. Il ricorrente, inoltre,
richiama la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per
l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica),
evidenziando come essa preveda un premio di maggioranza nella misura di
trecentoquaranta seggi alla Camera dei deputati e del cinquantacinque
per cento dei seggi assegnati a ciascuna Regione al Senato.
1.3.—
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 4,
comma 3, della legge regionale in esame, il quale dispone: «L’elettore
può esprimere, nelle apposite righe della scheda, uno o due voti di
preferenza, scrivendo il cognome ovvero il nome ed il cognome dei due
candidati compresi nella lista stessa. Nel caso di espressione di due
preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e
l’altra un candidato di genere femminile della stessa lista, pena
l’annullamento della seconda preferenza».
La difesa erariale
ritiene che la norma in questione, «presumibilmente ispirata alla idea
politica delle “quote rosa”», si risolva «in una evidente menomazione
dell’elettorato passivo e di quello attivo».
In particolare,
sotto il primo profilo, sarebbe violato l’art. 3 Cost., in quanto la
norma introdurrebbe «una limitazione disuguagliante» nell’espressione
del voto per la seconda preferenza. In altre parole, i candidati
appartenenti al medesimo genere o sesso sarebbero «discriminati e resi
disuguali» nel momento in cui l’elettore esprime la seconda preferenza.
Sarebbe violato anche l’art. 51, primo comma, Cost., in quanto la norma
impugnata prevedrebbe un limite di accesso, legato al sesso, per la
seconda preferenza e quindi «un’impropria ragione di ineleggibilità».
Sotto
il profilo dell’elettorato attivo, l’art. 4, comma 3, della legge reg.
Campania n. 4 del 2009 si porrebbe in contrasto con l’art. 48 Cost., in
quanto la limitazione di genere per la seconda preferenza renderebbe il
voto non libero.
2.— Nel giudizio si è costituita la Regione
Campania eccependo l’inammissibilità, l’improcedibilità e
l’infondatezza del ricorso.
2.1.— Quanto ai primi due motivi di
ricorso, la resistente osserva come essi si fondino su presupposti
ricostruttivi analoghi, posto che la Regione, secondo la difesa
erariale, non avrebbe potuto approvare norme elettorali in contrasto
con le disposizioni statali vigenti, fino all’entrata in vigore del
nuovo statuto. Solo per tale ragione, la legge reg. n. 4 del 2009,
nella parte in cui presenta un contenuto confliggente con quanto
stabilito dall’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, sarebbe
illegittima.
2.1.1.— La difesa regionale ricostruisce il
procedimento di approvazione della legge elettorale (legge reg. n. 4
del 2009) e dello statuto (legge reg. 28 maggio 2009, n. 6), precisando
che il 20 febbraio 2009 lo statuto della Regione Campania è stato
approvato in seconda deliberazione, il successivo 26 febbraio si è
provveduto alla relativa pubblicazione notiziale, ai fini di
un’eventuale richiesta di referendum (che non vi è stata), il 28 maggio
2009 lo statuto medesimo è stato promulgato, il 3 giugno 2009 è stato
pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione ed il 18 giugno è
entrato in vigore.
Nel frattempo, la legge elettorale è stata
pubblicata in data 14 aprile 2009 ed è entrata in vigore il giorno
successivo; dunque, il relativo iter di formazione si è concluso dopo
che il testo statutario era stato approvato dal Consiglio regionale in
seconda deliberazione, ma prima che esso fosse promulgato ed entrasse
in vigore.
Al riguardo, la resistente evidenzia come
l’Avvocatura generale dello Stato contesti soltanto una «illegittimità
formale, per così dire temporale», nell’adozione di una disciplina, «in
quanto indirettamente condizionata dalla scelta di sistema affidata
allo statuto che (allora) non risultava ancora entrato in vigore».
La
difesa regionale si sofferma, quindi, sulla ratio dell’art. 5 della
legge cost. n. 1 del 1999, il quale sarebbe volto ad evitare che, in
assenza dello statuto e della conseguente individuazione della forma di
governo regionale, gli elettori possano essere chiamati a rinnovare il
Consiglio con una disciplina elettorale non del tutto coerente con il
sistema ancora in vigore.
L’ipotesi anzidetta sarebbe però
ormai irrealizzabile nel caso di specie, in quanto il nuovo statuto,
successivamente alla delibera del Consiglio dei ministri di
impugnazione della legge reg. n. 4 del 2009 (datata 21 maggio 2009), è
stato promulgato e pubblicato, entrando in vigore lo stesso giorno (18
giugno 2009) in cui è stato depositato presso la Corte costituzionale
il presente ricorso.
La Regione Campania aggiunge che, pertanto,
l’applicazione della legge elettorale impugnata avverrà nella vigenza
del nuovo statuto e nel rispetto delle finalità che il legislatore
costituzionale ha inteso fissare.
Per le ragioni anzidette, la
resistente ritiene che il ricorso sia, per questa parte, improcedibile
«per cessazione della materia del contendere e/o per sopravvenuta
carenza di interesse, in quanto la situazione, nell’attualità,
impedisce il verificarsi dell’“evento temuto”».
2.1.2.— Ancora
con riguardo alle censure mosse in relazione all’art. 5 della legge
cost. n. 1 del 1999, la difesa regionale evidenzia come sarebbe stato
irragionevole attendere l’entrata in vigore dello statuto prima di
affrontare l’iter costitutivo della nuova legge elettorale, potendosi
prospettare l’eventualità di un rinnovo del Consiglio regionale e
dell’elezione del Presidente della Giunta con il precedente sistema
elettorale ma nella vigenza di una nuova (ed eventualmente diversa da
quella attuale) forma di governo.
Al riguardo, la Regione
Campania ritiene di aver seguito il percorso corretto, delineato dalla
norma costituzionale transitoria. In particolare, osserva la difesa
regionale, l’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 non vieta, in
assenza del nuovo statuto, l’approvazione di una nuova legge
elettorale, ma prevede che «fino alla data di entrata in vigore dei
nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali» l’elezione del
Presidente e del Consiglio avvenga secondo le modalità previste dalla
normativa statale vigente e dalla disciplina transitoria prevista dal
citato art. 5.
In definitiva, secondo la resistente, «la mancata
approvazione dello statuto unitamente alle leggi elettorali costituisce
condizione per l’applicazione della norma transitoria in un determinato
ambito territoriale». Di conseguenza, il rapporto fra le due fonti
(legge elettorale regionale e disposizione transitoria) non sarebbe
configurabile in termini di «validità/invalidità», ma di
«applicazione/disapplicazione», potendo la nuova legge elettorale
regionale trovare applicazione solo dopo l’entrata in vigore dello
statuto.
Sulla base delle anzidette considerazioni, la difesa regionale conclude per l’inammissibilità del ricorso.
2.1.3.—
Nel merito, la resistente deduce l’infondatezza delle questioni
concernenti la previsione di un collegamento del candidato Presidente
della Giunta regionale a liste o a coalizioni di liste provinciali, e
di un premio di maggioranza pari al sessanta per cento dei seggi. Con
riferimento a quest’ultimo profilo, la Regione Campania rileva come
l’Avvocatura generale faccia «inspiegabilmente riferimento» alla legge
n. 270 del 2005, concernente le norme elettorali della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica.
Sulla questione degli
spazi consentiti al legislatore regionale, nell’ipotesi in cui non
siano ancora entrati in vigore i nuovi statuti, la difesa della Regione
richiama la sentenza n. 196 del 2003, con la quale la Corte
costituzionale ha ritenuto ammissibili gli interventi regionali
riguardanti «aspetti procedurali non incidenti sui principi
fondamentali ricavabili in materia dalla legislazione statale, né sui
vincoli che discendono dal rispetto della normativa transitoria
dettata, in pendenza dell’approvazione dello statuto, dall’art. 5 della
legge costituzionale n. 1 del 1999». Secondo la resistente, la
previsione contenuta nell’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999,
secondo cui «sono candidati alla Presidenza della Giunta regionale i
capilista delle liste regionali», riguarderebbe un «profilo
procedurale» e sarebbe conseguenza di una «modalità organizzativa del
corpo elettorale e dei seggi scelta dalla legislazione statale, ma che
non attiene ai principi fondamentali e non modifica il sistema».
A
conclusioni analoghe la Regione Campania giunge con riferimento alle
norme che prevedono un premio di maggioranza. Dopo aver ribadito
l’inconferenza del richiamo alla legge n. 270 del 2005, la resistente
sottolinea come la legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di
attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione) si
limiti ad enunciare, tra i principi fondamentali in materia, quello
della «individuazione di un sistema elettorale che agevoli la
formazione di stabili maggioranze nel Consiglio regionale e assicuri la
rappresentanza delle minoranze» (art. 4, comma 1, lettera a).
2.2.—
Infine, quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’art.
4, comma 3, la resistente evidenzia come la norma impugnata riguardi
esclusivamente l’esercizio della facoltà di espressione della seconda
preferenza e sia finalizzata a «garantire, anche di fatto, oltre che
astrattamente, il paritario accesso alle cariche elettive, attraverso
provvedimenti positivi». Al riguardo, sono richiamati la sentenza della
Corte costituzionale n. 49 del 2003 ed alcuni interventi di innovazione
del quadro normativo: la legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2
(Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle
regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di
Bolzano), che ha modificato gli statuti speciali attribuendo alle leggi
elettorali delle Regioni ad autonomia differenziata il compito di
promuovere condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni
elettorali al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei
sessi; l’art. 117, settimo comma, Cost., introdotto dalla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione), che reca un’analoga previsione; infine, la
legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1 (Modifica dell’articolo 51
della Costituzione).
In definitiva, secondo la resistente, la
disciplina regionale impugnata si inserirebbe con coerenza in un
contesto normativo complessivamente volto a promuovere la effettiva
parità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive.
3.—
In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Campania ha depositato
una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate
nell’atto di costituzione.
3.1.— In particolare, con
riferimento alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2,
comma 2, 3, commi 1, 3 e 4, e 6, comma 1, della legge reg. n. 4 del
2009, la resistente ribadisce l’inammissibilità delle questioni
prospettate e sottolinea come, nelle more del presente giudizio, la
legge elettorale, pubblicata dopo l’approvazione dello statuto in
seconda deliberazione, non abbia trovato applicazione. Paradossalmente,
invece, l’eventuale accoglimento del presente ricorso obbligherebbe a
far svolgere le elezioni regionali, ormai prossime, sulla base di
regole (quelle statali) non coerenti con il mutato quadro statutario.
La
difesa regionale aggiunge che l’eventuale dichiarazione di
illegittimità costituzionale vanificherebbe in modo irragionevole
l’attività legislativa posta in essere dalla Regione in materia
elettorale, proprio allo scopo di dare attuazione al nuovo statuto. Si
evidenzia, inoltre, come la ratio della previsione dell’art. 5 della
legge cost. n. 1 del 1999 sia quella di realizzare una piena
integrazione fra la normativa elettorale e la forma di governo
delineata dal nuovo statuto; obiettivo, che, con il presente ricorso,
rischia di «essere posto in discussione, ma, per così dire, a parti
invertite (applicazione della normativa elettorale originaria, in
vigenza del nuovo statuto)».
Secondo la Regione Campania,
l’unico interesse del Governo, nella circostanza in esame, poteva
essere quello di ottenere la garanzia circa la non applicazione della
nuova legge elettorale in assenza del nuovo statuto. Pertanto, a tutto
concedere, la difesa erariale avrebbe dovuto impugnare l’art. 12 della
legge reg. n. 4 del 2009 nella parte in cui non rinvia gli effetti
della legge in parola all’entrata in vigore del nuovo statuto. Al
contrario, il citato art. 12 non è stato censurato; peraltro, siffatta
evenienza è ormai del tutto superata, stante l’entrata in vigore dello
statuto regionale.
Nel merito, la Regione Campania insiste per
l’infondatezza del ricorso, riprendendo le medesime argomentazioni già
sviluppate nell’atto di costituzione.
3.2.— In riferimento alla
questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della
legge impugnata, la difesa regionale ritiene che la valutazione
compiuta dal ricorrente non colga il proprium della normativa in esame,
la quale non limita affatto la libera determinazione e non impone
scelte ma «offre possibilità ulteriori all’elettorato» (attraverso
l’eventuale seconda preferenza) ed in questa eventualità persegue un
obiettivo del tutto coerente con il quadro costituzionale (artt. 51 e
117 Cost.), comunitario ed internazionale in materia di parità di
accesso delle donne e degli uomini alle cariche elettive.
3.2.1.—
La resistente sottolinea inoltre il carattere «neutro» del sistema di
preferenza previsto, che è finalizzato a dare attuazione ai nuovi
disposti costituzionali, «svolgendo una funzione chiaramente
antidiscriminatoria». Al riguardo, la difesa regionale assume che: a)
il legislatore campano avrebbe potuto prevedere soltanto una
preferenza, senza che ciò potesse qualificarsi come limite al diritto
di voto; pertanto, la norma in esame ha consentito un’opportunità in
più, assicurando la piena libertà per l’elettore di avvalersi o meno di
tale possibilità; b) la condizione apposta all’esercizio della seconda
preferenza non si traduce nella previsione di un requisito ulteriore di
eleggibilità o di candidabilità dei singoli cittadini; infatti, il
divieto di una doppia preferenza omogenea opera indistintamente sia
nell’ipotesi di due preferenze di genere maschile, sia di due
preferenze di genere femminile; c) la sanzione dell’annullamento
riguarda esclusivamente la seconda preferenza e non l’espressione del
voto tout court.
3.2.2.— La Regione Campania passa, quindi,
all’esame delle sentenze n. 422 del 1995 e n. 49 del 2003 della Corte
costituzionale, evidenziando come nella seconda pronunzia siano state
valorizzate le «novità di sistema» introdotte nel lasso di tempo
intercorso fra le due decisioni. In particolare, la resistente osserva
che nella sentenza n. 422 del 1995 la Corte, pronunciandosi
negativamente sulle c.d. quote rosa, ha posto l’accento sul principio
di eguaglianza formale, sull’illegittimità dell’individuazione di
ulteriori requisiti di eleggibilità o candidabilità dei cittadini e sul
limite delle misure legislative «diseguali», che non possono incidere
sui contenuti stessi dei diritti fondamentali riconosciuti in
Costituzione.
Quanto alla sentenza n. 49 del 2003, la difesa
regionale ritiene che il percorso argomentativo seguito dalla Corte si
sia arricchito di ulteriori, significativi contenuti per effetto dei
mutamenti del quadro costituzionale introdotti dalle leggi cost. n. 2 e
n. 3 del 2001. La Regione Campania evidenzia come la Corte
costituzionale abbia utilizzato i seguenti argomenti nel pervenire ad
una pronunzia di non fondatezza: a) le norme impugnate non pongono
l’appartenenza all’uno o all’altro sesso come requisito ulteriore di
eleggibilità o di candidabilità dei singoli cittadini; b) non è
prevista alcuna misura di «disuguaglianza» allo scopo di favorire
individui appartenenti a gruppi svantaggiati o di compensare tali
svantaggi attraverso vantaggi attribuiti con legge; c) non si
introducono differenziazioni in relazione al sesso dei candidati o
degli aspiranti alla candidatura; d) non è intaccato il carattere
unitario della rappresentanza elettiva; e) non è garantito un
determinato risultato elettorale.
Con particolare riguardo agli
argomenti di cui ai punti b) e c), la resistente riprende la
distinzione, operata in dottrina, tra “azioni positive” e “norme
antidiscriminatorie”, rilevando come le norme impugnate siano
riconducibili a quest’ultima categoria, trattandosi di «azioni positive
atipiche», caratterizzate da una formulazione neutra, senza cioè
l’individuazione dei soggetti al cui vantaggio sono finalizzate.
Sempre
in relazione alla sentenza n. 49 del 2003, la Regione Campania
sottolinea come la Corte abbia affermato che la finalità di conseguire
una «parità effettiva» fra uomini e donne anche nell’accesso alla
rappresentanza elettiva è «positivamente apprezzabile dal punto di
vista costituzionale» e che tale esigenza è espressamente riconosciuta
pure nel contesto normativo internazionale e comunitario. Infine, la
resistente riprende le conclusioni cui è giunta la Corte costituzionale
nella pronunzia in esame, là dove ha definito le norme oggetto di quel
giudizio come «misura minima di una non discriminazione, ai fini della
candidatura, a sfavore dei cittadini di uno dei due sessi». La
qualificazione di «misura minima» lascerebbe presumere, secondo la
difesa regionale, «una maggiore apertura anche rispetto a meccanismi
elettorali differenti», ritenuti legittimi non solo per le modifiche
costituzionali, ma per un contesto di sensibilità costituzionale
diverso.
La resistente ricorda altresì che, dopo la sentenza n.
49 del 2003, il legislatore costituzionale è nuovamente intervenuto in
materia con la legge cost. n. 1 del 2003, la quale ha integrato l’art.
51 Cost., prevedendo la promozione «con appositi provvedimenti» delle
pari opportunità tra donne e uomini. La difesa regionale, richiamando
il dibattito parlamentare svoltosi in occasione dell’approvazione della
citata legge costituzionale e le opinioni espresse dalla maggior parte
della dottrina, sottolinea come la finalità di siffatta modifica sia
quella di «dare copertura costituzionale proprio agli ulteriori
interventi (anche azioni positive) di riequilibrio delle presenze dei
due sessi in ambito politico».
In proposito, è citata
l’ordinanza n. 39 del 2005, la quale, secondo la difesa regionale,
confermerebbe che la modifica dell’art. 51 Cost. non costituisce una
mera specificazione dell’art. 3, primo comma, Cost. ma legittima
l’adozione di azioni positive.
3.2.3.— Da quanto appena detto
– e dall’esame della normativa elettorale sia della Camera dei deputati
e del Senato, sia di altre Regioni – la resistente deduce la coerenza
della normativa impugnata rispetto al contesto normativo vigente; in
particolare, la Regione Campania sottolinea la possibilità per
l’elettore di esercitare la propria preferenza in maniera
incondizionata, con la conseguenza che il sistema elettorale di
preferenza censurato non incide sui diritti fondamentali dell’elettore
medesimo.
In definitiva, la difesa regionale ritiene che la
legge impugnata: a) si ponga come norma «antidiscriminatoria» e non
come «azione positiva» (sebbene il mutamento del quadro costituzionale
renda legittima anche quest’ultima), in quanto fa riferimento
indifferentemente ad entrambi i generi e quindi da essa non discende
alcun trattamento diverso di un candidato rispetto ad un altro; b) non
introduca alcun ulteriore requisito di eleggibilità o di candidabilità,
in quanto entrambi i generi sono egualmente eleggibili sulla base dei
requisiti prescritti; c) non incida sul carattere unitario della
rappresentanza elettiva, non essendovi alcun collegamento con le
«categorie» rappresentate; d) escluda qualsiasi garanzia di risultato.
3.2.4.—
Infine, la Regione Campania rileva come la normativa impugnata si
inserisca in un più ampio contesto normativo (comunitario ed
internazionale), segnato dalla previsione di strumenti sempre più
incisivi (fino a giungere a vere e proprie azioni positive) per
assicurare un’effettiva parità fra donne e uomini.
Sono
richiamati, in proposito: a) l’art. 3 della Convenzione
sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della
donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, cui è stata data
esecuzione con la legge 14 marzo 1985, n. 132; b) l’art. 23 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza),
secondo cui il principio della parità tra donne e uomini non osta al
mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici
a favore del sesso sottorappresentato; c) l’art. 2 del Trattato 7
febbraio 1992 (Trattato sull’Unione europea); d) la decisione 19 giugno
2000, n. 2000/407/CE (Decisione della Commissione riguardante
l’equilibrio tra i sessi nei comitati e nei gruppi di esperti da essa
istituiti), in cui si afferma che «La parità tra uomini e donne è
essenziale per la dignità umana e per la democrazia e costituisce un
principio fondamentale della legge comunitaria, delle costituzioni e
delle leggi degli Stati membri e delle convenzioni internazionali ed
europee»; e) la raccomandazione 2 dicembre 1996, n. 96/694/CE
(Raccomandazione del Consiglio riguardante la partecipazione delle
donne e degli uomini al processo decisionale), che invita gli Stati
membri a «sviluppare o istituire misure adeguate, quali eventualmente
misure legislative e/o regolamentari e/o di promozione», per realizzare
l’obiettivo della «partecipazione equilibrata delle donne e degli
uomini al processo decisionale»; f) la raccomandazione Rec(2003)3 del
Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla partecipazione
equilibrata delle donne e degli uomini ai processi decisionali politici
e pubblici, adottata il 12 marzo 2003, la quale, fra l’altro, invita
gli Stati membri ad adottare «riforme legislative intese a stabilire
soglie di parità per le candidature alle elezioni locali, regionali,
nazionali e sopranazionali», e precisa, al paragrafo 3, che
«l’obiettivo non dovrebbe essere solamente che almeno il 40% dei seggi
siano riservati a ciascuno dei rappresentanti dei due sessi, ma
piuttosto che almeno il 40% delle donne ed il 40% degli uomini vengano
eletti».
3.2.5.— Per le ragioni suesposte la Regione Campania
ritiene che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4,
comma 3, sia infondata rispetto a tutti i parametri invocati. In primo
luogo, la norma impugnata non si pone in contrasto con l’art. 3 Cost.,
in quanto la sua formulazione «neutra» risulta coerente con il
principio di eguaglianza formale.
Non sarebbe violato l’art.
48 Cost., in quanto il voto dell’elettore è del tutto libero, anzi
questi può scegliere se esprimere una sola preferenza o aggiungerne una
seconda, che si pone come misura antidiscriminatoria e quindi non
idonea a garantire un determinato risultato elettorale, ma funzionale
al riequilibrio tra i generi.
Infine, non sarebbe rinvenibile
alcuna violazione dell’art. 51 Cost., specie nell’attuale formulazione
risultante dall’integrazione operata dalla legge cost. n. 1 del 2003,
in quanto la norma censurata contribuisce, in maniera equilibrata, ad
attuare l’obiettivo di democrazia paritaria, previsto nello stesso art.
51.
Considerato in diritto
1.— Il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, con ricorso
notificato il 12 giugno 2009 e depositato il successivo 18 giugno,
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, 3,
commi 1, 3 e 4, 4, comma 3, e 6, comma 1, della legge della Regione
Campania 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale), per violazione degli
artt. 3, 48 e 51 della Costituzione e dell’art. 5 della legge
costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti
l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia
statutaria delle Regioni).
2.— Con riferimento alle questioni
aventi ad oggetto gli artt. 2, comma 2, e 3, commi 1, 3 e 4, e gli
artt. 6, comma 1, e 3, comma 4, della legge reg. Campania n. 4 del
2009, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
2.1.—
Le censure mosse dal ricorrente alle suddette norme si basano
essenzialmente sulla asserita violazione dell’art. 5 della legge cost.
n. 1 del 1999, là dove stabilisce che fino all’entrata in vigore dei
nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali, ai sensi del
primo comma dell’art. 122 Cost., nel testo modificato dalla medesima
legge cost. n. 1 del 1999, l’elezione del Presidente della Giunta
regionale è contestuale al rinnovo dei rispettivi Consigli regionali e
si effettua con le modalità previste dalle disposizioni di legge
ordinaria vigenti in materia di elezione dei Consigli regionali.
La
ratio della citata norma costituzionale transitoria è evidente: il
legislatore costituzionale ha voluto evitare che il rapporto tra forma
di governo regionale – la quale, ai sensi dell’art. 123, primo comma,
Cost., deve essere determinata dagli statuti delle singole Regioni – e
legge elettorale regionale possa presentare aspetti di incoerenza
dovuti all’inversione, temporale e logica, tra la prima e la seconda. È
noto infatti che la legge elettorale deve armonizzarsi con la forma di
governo, allo scopo di fornire a quest’ultima strumenti adeguati di
equilibrato funzionamento sin dal momento della costituzione degli
organi della Regione, mediante la preposizione dei titolari alle
singole cariche. L’entrata in vigore e l’applicazione della legge
elettorale prima dello statuto potrebbero introdurre elementi originari
di disfunzionalità, sino all’estremo limite del condizionamento del
secondo da parte della prima, in violazione o elusione del carattere
fondamentale della fonte statutaria, comprovato dal procedimento
aggravato previsto dall’art. 123, secondo e terzo comma, della
Costituzione.
2.2.— Nel caso di specie, tale rischio di
incoerenza è scongiurato sia per motivi attinenti alla scansione
temporale dei rispettivi iter procedimentali del nuovo statuto della
Regione Campania (legge reg. 28 maggio 2009, n. 6) e della legge
elettorale, sia per motivi sostanziali attinenti al collegamento tra
gli stessi.
Lo statuto è stato approvato, in prima
deliberazione, il 12 giugno 2008 ed in seconda deliberazione il 20
febbraio 2009. Il 26 febbraio 2009 è stata effettuata la pubblicazione
notiziale dello stesso, ai fini di un’eventuale richiesta referendaria.
Lo statuto è stato promulgato il 28 maggio 2009, pubblicato nel
Bollettino ufficiale della Regione del 3 giugno 2009, ed è entrato in
vigore il successivo 18 giugno.
La legge elettorale campana è
stata approvata dalla Commissione speciale statuto il 3 febbraio 2009,
dal Consiglio regionale il 12 marzo 2009 ed è stata promulgata il
successivo 27 marzo. La stessa è stata pubblicata nel Bollettino
ufficiale della Regione Campania del 14 aprile 2009 ed è entrata in
vigore il giorno successivo.
Come si vede, l’iter dei due atti
normativi è stato parallelo e la conclusione di quello relativo alla
legge elettorale è stata anteriore a quella riguardante lo statuto solo
a causa della doppia approvazione di quest’ultimo, ad intervallo non
minore di due mesi, prescritta dall’art. 123, secondo comma, Cost.
L’integrazione tra forma di governo e legge elettorale, voluta
dall’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, è stata quindi assicurata
dalla trattazione contemporanea dei due disegni di legge e non è
inficiata dalla conclusione del procedimento relativo alla legge
elettorale con breve anticipo rispetto a quello concernente lo statuto,
dovuta a motivi esclusivamente procedurali.
Occorre inoltre
notare che, al momento della delibera governativa di impugnazione della
legge elettorale regionale (21 maggio 2009), lo statuto non era stato
ancora promulgato, con la conseguenza che, in quella data non v’era
certezza sulla sua effettiva entrata in vigore, non essendo ancora
trascorso il termine di tre mesi per una eventuale richiesta
referendaria, che in concreto poi non vi è stata. Esistevano quindi le
condizioni che giustificavano il ricorso del Presidente del Consiglio
dei ministri, giacché ben poteva accadere che lo statuto venisse
respinto dal corpo elettorale, con la conseguenza che la legge
elettorale sarebbe rimasta in vigore, ma scoordinata rispetto allo
stesso statuto. Per quest’ultimo sarebbe stato necessario un nuovo
procedimento di approvazione, con possibili varianti rispetto alle
scelte precedenti in tema di forma di governo, che avrebbero potuto
presentare aspetti contraddittori o comunque di difficile integrazione
e complementarità con le regole elettorali predisposte in funzione
dello statuto ormai perento. Il Governo aveva pertanto fondate ragioni
per promuovere la questione di legittimità costituzionale su un atto
normativo che, al momento dell’impugnazione, avrebbe potuto rimanere
isolato, non integrato con lo statuto e quindi in contrasto con l’art.
5 della legge cost. n. 1 del 1999.
Gli eventi successivi – e
segnatamente la promulgazione e la pubblicazione dello statuto prima
che il ricorso del Governo venisse notificato – hanno fugato la
preoccupazione che statuto e legge elettorale non presentassero i
caratteri di complementarità e integrazione voluti dalla norma
costituzionale. È venuta così a mancare la condizione prevista
dall’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999 per l’applicazione della
disciplina transitoria, anche in considerazione del fatto che, medio
tempore, la nuova legge elettorale non ha avuto applicazione, non
essendosi svolte elezioni regionali in Campania.
Il
coordinamento e l’integrazione dello statuto e della legge elettorale
trovano una conferma sostanziale negli artt. 5, comma 2, e 6, comma 3,
della stessa legge elettorale, ove è citato l’art. 27 del nuovo
statuto, in base al quale il Presidente della Giunta regionale è membro
del Consiglio regionale.
Per le considerazioni sopra esposte, si
deve dichiarare la cessazione della materia del contendere con
riferimento alle questioni di legittimità costituzionale aventi ad
oggetto gli artt. 2, comma 2, 3, commi 1, 3 e 4, e 6, comma 1, della
legge reg. Campania n. 4 del 2009.
3.— La questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Campania n. 4 del 2009 non è fondata.
3.1.—
La questione riguarda una norma che, per la prima volta
nell’ordinamento italiano, prevede la cosiddetta “preferenza di
genere”. In particolare, la disposizione censurata dispone che
l’elettore può esprimere uno o due voti di preferenza e che, nel caso
di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di
genere maschile ed una un candidato di genere femminile della stessa
lista, pena l’annullamento della seconda preferenza.
La norma
prima citata trova fondamento nell’art. 5 del nuovo statuto della
Regione Campania, non impugnato dal Governo, che, nel comma 3, ultimo
inciso, così recita: «Al fine di conseguire il riequilibrio della
rappresentanza dei sessi, la legge elettorale regionale promuove
condizioni di parità per l’accesso di uomini e donne alla carica di
consigliere regionale mediante azioni positive».
La finalità
della nuova regola elettorale è dichiaramente quella di ottenere un
riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi all’interno
del Consiglio regionale, in linea con l’art. 51, primo comma, Cost.,
nel testo modificato dalla legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1
(Modifica dell’articolo 51 della Costituzione), e con l’art. 117,
settimo comma, Cost., nel testo modificato dalla legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione).
La prima norma costituzionale citata dispone che
«Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli
uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza,
secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica
promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e
uomini».
La seconda norma costituzionale stabilisce che «Le
leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità
degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e
promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche
elettive».
Il quadro normativo, costituzionale e statutario, è
complessivamente ispirato al principio fondamentale dell’effettiva
parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e
regionale, nello spirito dell’art. 3, secondo comma, Cost., che impone
alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto
impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini
all’organizzazione politica del Paese. Preso atto della storica
sotto-rappresentanza delle donne nelle assemblee elettive, non dovuta a
preclusioni formali incidenti sui requisiti di eleggibilità, ma a
fattori culturali, economici e sociali, i legislatori costituzionale e
statutario indicano la via delle misure specifiche volte a dare
effettività ad un principio di eguaglianza astrattamente sancito, ma
non compiutamente realizzato nella prassi politica ed elettorale.
3.2.—
I mezzi per attuare questo disegno di realizzazione della parità
effettiva tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive possono
essere di diverso tipo. La tecnica prescelta dalla norma censurata nel
presente giudizio è quella di predisporre condizioni generali volte a
favorire il riequilibrio di genere nella rappresentanza politica, senza
introdurre strumenti che possano, direttamente o indirettamente,
incidere sull’esito delle scelte elettorali dei cittadini. Questa Corte
ha escluso che possano essere legittimamente introdotte
nell’ordinamento misure che «non si propongono di “rimuovere” gli
ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere determinati
risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei risultati
medesimi» (sentenza n. 422 del 1995).
Tenendo ferma questa
fondamentale statuizione, la Corte costituzionale, dopo l’introduzione
del nuovo testo dell’art. 117 Cost., ma in data anteriore alla modifica
dell’art. 51 Cost., ha precisato che i vincoli imposti dalla legge per
conseguire l’equilibrio dei generi nella rappresentanza politica non
devono incidere sulla «parità di chances delle liste e dei candidati e
delle candidate nella competizione elettorale» (sentenza n. 49 del
2003).
3.3.— Occorre quindi chiedersi se la norma censurata nel
presente giudizio in qualche modo prefiguri il risultato elettorale,
alterando forzosamente la composizione dell’assemblea elettiva rispetto
a quello che sarebbe il risultato di una scelta compiuta dagli elettori
in assenza della regola contenuta nella norma medesima, oppure
attribuisca ai candidati dell’uno o dell’altro sesso maggiori
opportunità di successo elettorale rispetto agli altri.
Si deve
innanzitutto notare che l’espressione della doppia preferenza è
meramente facoltativa per l’elettore, il quale ben può esprimerne una
sola, indirizzando la sua scelta verso un candidato dell’uno o
dell’altro sesso. Solo se decide di avvalersi della possibilità di
esprimere una seconda preferenza, la scelta dovrà cadere su un
candidato della stessa lista, ma di sesso diverso da quello del
candidato oggetto della prima preferenza. Nel caso di espressione di
due preferenze per candidati dello stesso sesso, l’invalidità colpisce
soltanto la seconda preferenza, ferma restando pertanto la prima scelta
dell’elettore.
Da quanto esposto si traggono due conseguenze, in
ordine ai limiti posti dalla giurisprudenza di questa Corte
all’introduzione di strumenti normativi specifici per realizzare il
riequilibrio tra i sessi nella rappresentanza politica.
La prima
è che la regola censurata non è in alcun modo idonea a prefigurare un
risultato elettorale o ad alterare artificiosamente la composizione
della rappresentanza consiliare. È agevole difatti osservare che, in
applicazione della norma censurata, sarebbe astrattamente possibile, in
seguito alle scelte degli elettori, una composizione del Consiglio
regionale maggiormente equilibrata rispetto al passato, sotto il
profilo della presenza di donne e uomini al suo interno, ma anche il
permanere del vecchio squilibrio, ove gli elettori si limitassero ad
esprimere una sola preferenza prevalentemente in favore di candidati di
sesso maschile o, al contrario, l’insorgere di un nuovo squilibrio,
qualora gli elettori esprimessero in maggioranza una sola preferenza,
riservando la loro scelta a candidati di sesso femminile. La
prospettazione di queste eventualità – tutte consentite in astratto
dalla normativa censurata – dimostra che la nuova regola rende
maggiormente possibile il riequilibrio, ma non lo impone. Si tratta
quindi di una misura promozionale, ma non coattiva.
Sotto il
profilo della libertà di voto, tutelata dall’art. 48 Cost., si deve
osservare che l’elettore, quanto all’espressione delle preferenze e,
più in generale, alle modalità di votazione, incontra i limiti
stabiliti dalle leggi vigenti, che non possono mai comprimere o
condizionare nel merito le sue scelte, ma possono fissare criteri con i
quali queste devono essere effettuate. Non è certamente lesivo della
libertà degli elettori che le leggi, di volta in volta, stabiliscano il
numero delle preferenze esprimibili, in coerenza con indirizzi di
politica istituzionale che possono variare nello spazio e nel tempo.
Parimenti non può essere considerata lesiva della stessa libertà la
condizione di genere cui l’elettore campano viene assoggettato,
nell’ipotesi che decida di avvalersi della facoltà di esprimere una
seconda preferenza. Si tratta di una facoltà aggiuntiva, che allarga lo
spettro delle possibili scelte elettorali – limitato ad una preferenza
in quasi tutte le leggi elettorali regionali – introducendo, solo in
questo ristretto ambito, una norma riequilibratrice volta ad ottenere,
indirettamente ed eventualmente, il risultato di un’azione positiva.
Tale risultato non sarebbe, in ogni caso, effetto della legge, ma delle
libere scelte degli elettori, cui si attribuisce uno specifico
strumento utilizzabile a loro discrezione.
I diritti
fondamentali di elettorato attivo e passivo rimangono inalterati. Il
primo perché l’elettore può decidere di non avvalersi di questa
ulteriore possibilità, che gli viene data in aggiunta al regime ormai
generalizzato della preferenza unica, e scegliere indifferentemente un
candidato di genere maschile o femminile. Il secondo perché la regola
della differenza di genere per la seconda preferenza non offre
possibilità maggiori ai candidati dell’uno o dell’altro sesso di essere
eletti, posto il reciproco e paritario condizionamento tra i due generi
nell’ipotesi di espressione di preferenza duplice. Non vi sono, in base
alla norma censurata, candidati più favoriti o più svantaggiati
rispetto ad altri, ma solo una eguaglianza di opportunità
particolarmente rafforzata da una norma che promuove il riequilibrio di
genere nella rappresentanza consiliare.
4.— La sentenza n. 422
del 1995 di questa Corte sottolineava che al riequilibrio tra i sessi
nella rappresentanza politica «si può […] pervenire con un’intensa
azione di crescita culturale che porti partiti e forze politiche a
riconoscere la necessità improcrastinabile di perseguire l’effettiva
presenza paritaria delle donne nella vita pubblica, e nelle cariche
rappresentative in particolare». Norme come quella oggetto del presente
giudizio possono solo offrire possibilità di scelta aggiuntive agli
elettori, ma non garantiscono – né potrebbero farlo – che l’obiettivo
sia raggiunto, giacché resistenze culturali e sociali, ancora
largamente diffuse, potrebbero frustrare l’intento del legislatore
regionale, perpetuando la situazione esistente, che presenta un vistoso
squilibrio di genere nella rappresentanza sia nella Regione Campania
sia, più in generale, nelle assemblee elettive della Repubblica
italiana. L’aleatorietà del risultato dimostra che quello previsto
dalla norma censurata non è un meccanismo costrittivo, ma solo
promozionale, nello spirito delle disposizioni costituzionali e
statutarie prima citate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4,
comma 3, della legge della Regione Campania 27 marzo 2009, n. 4 (Legge
elettorale), promossa, in riferimento agli artt. 3, 48 e 51 della
Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere
in ordine alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 2,
comma 2, e 3, commi 1, 3 e 4, della legge reg. Campania n. 4 del 2009,
promossa, in riferimento all’art. 5 della legge costituzionale 22
novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del
Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle
Regioni), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere
in ordine alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 6,
comma 1, e 3, comma 4, della legge reg. Campania n. 4 del 2009,
promossa, in riferimento all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999,
dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2010.