Lesione della professionalità e risarcimento del danno esistenziale
Il danno esistenziale deve essere provato con tutti i mezzi possibili, comprendendo con ciò anche le prove presuntive.
Tanto
hanno stabilito i giudici di legittimità tornando sull’annosa questione
della dequalificazione del lavoratore e del conseguente risarcimento
del danno, con la recente sentenza 21223/2009.
Le conseguenze del demansionamento
Il demansionamento si concretizza nella privazione in tutto o in parte delle mansioni cui il lavoratore ha diritto.
Ai sensi dell’art. 2103 c.c., infatti “Il
prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è
stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che
abbia successivamente acquisito”.
Il demansionamento è un fenomeno generatore di un danno nella sfera del lavoratore.
Trattasi
sia di danno patrimoniale, consistente nel pregiudizio derivante
dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal
lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità ed
eventuale perdita di chances (Cass. Sez. Un., sentenza n. 6572/06), sia eventualmente di danno non patrimoniale: danno esistenziale, danno biologico, etc.
Tra
i pregiudizi di carattere non patrimoniale, la cui risarcibilità
risulta ammessa a titolo di danno esistenziale, assume rilievo tipico
proprio il c.d. danno da demansionamento, quale lesione del diritto
fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore
anche nel luogo di lavoro, con incidenza sulla vita professionale e di
relazione dell’interessato.
Il contrasto giurisprudenziale risolto dalle Sezioni Unite nel 2006
Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 6572 del 24 marzo 2006,
risolsero un contrasto giurisprudenziale relativo al riparto dell’onere
probatorio nella domanda di risarcimento dei danni sofferti dal
lavoratore per effetto del cd. demansionamento professionale.
In
particolare, il Collegio affrontò la questione se il diritto del
lavoratore al risarcimento del danno, soprattutto di natura
esistenziale, dovesse conseguire in re ipsa al demansionamento o, al contrario, dovesse essere provato dal lavoratore ai sensi dell’art. 2697 cod. civ..
Le
Sezioni Unite rilevarono come, secondo l’orientamento maggioritario
della giurisprudenza e della dottrina, la responsabilità del datore di
lavoro abbia natura contrattuale, sicchè la violazione da parte del
datore degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, e in
particolare del divieto di dequalificazione (art. 2103 cod. civ.) e
dell’obbligo di tutela dell’integrità fisica e della personalità del
lavoratore (art. 2087 cod. civ.), integrano gli estremi di un
inadempimento contrattuale, regolato agli artt. 1218 e 1223 cod. civ..
In
tema di dequalificazione e demansionamento professionale, qundi, il
riconoscimento del diritto del prestatore di lavoro al risarcimento del
danno (professionale, biologico o esistenziale) che ne deriva, non può
prescindere da una specifica allegazione circa la natura e le caratteristiche dello stesso pregiudizio.
Mentre
il riconoscimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di
una lesione dell’integrità psicofisica medicalmente accertabile, il
danno esistenziale, va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi
consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la
prova per presunzioni
La decisione della Suprema Corte 21223/2009
I
giudici di legittimità, con la sentenza in commento, hanno richiamato,
nella loro decisione, la precedente pronuncia, sopra menzionata, delle Sezioni Unite 6572/2006.
A
tale principio – ha osservato la Cassazione – la Corte territoriale si
è sostanzialmente adeguata in quanto, sul presupposto dell’accertato
demansionamento dal 5 livello CCNL di categoria (nello specifico
meccanico di sala) a mansioni inferiori (nel caso di specie
trasportatore di acidi con carrello a spinta), tenendo conto delle
specifiche allegazioni, di cui al ricorso di primo grado – relativamente
alla lesione professionale, al mancato accrescimento delle sue capacità
professionali, all’ostacolo alla progressione di carriera ed alla
lesione morale subita – ha ritenuto, con ragionamento presuntivo,
immune da vizi logici, provato il danno per effetto dell’impoverimento
conseguente al demansionamento di ben cinque livelli e della lunga
durata della dequalificazione “dal 1995 ad oggi”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 5 ottobre 2009, n. 21223
Svolgimento del processo
La
Corte di Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza di
primo grado ed in accoglimento della impugnazione avanzata da V. S.,
condannava la società in epigrafe, di cui il V. era dipendente, al
risarcimento del danno conseguente all’accertato illegittimo
demansionamento dal **** livello B-CS CCNL di categoria (meccanico di
sala) a mansioni di **** livello (trasportatore di acidi con carrello a
spinta) dal luglio 1995 in poi.
I giudici di secondo grado,
per quello che interessa in questa sede, premesso che il V., nel
ricorso di primo grado, aveva fatto riferimento, ai fini del
risarcimento del danno, alla lesione professionale, al mancato
accrescimento delle sue capacità professionali, all’ostacolo alla
progressione di carriera ed alla lesione morale subita, ritenevano
provato il danno per effetto “dell’impoverimento conseguente al
demansionamento di ben cinque livelli, come accertato con effetto di
giudicato dallo stesso Tribunale, e ben può liquidarsi …
equitativamente tenendo conto della lunga durata della dequalificazione
dal 1995 ad oggi e della notevole differenza tra le mansioni assegnate
e quelle d’inquadramento”.
Avverso tale sentenza la società in epigrafe ricorreva in cassazione sulla base di un solo motivo, illustrato da memoria.
Parte intimata resisteva con controricorso e depositava memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Con
l’unico motivo d’impugnazione la società in epigrafe deduce violazione
degli artt. 2103, 2697 e 1226 c.c., nonchè omessa, insufficiente
motivazione.
Sostiene che la domanda del V., in punto di
risarcimento del danno è priva di qualsivoglia elemento di
specificazione ed assolutamente carente di qualsivoglia indicazione
anche meramente indiziaria che in qualche modo asseveri l’esistenza di
un danno.
Critica il ricorso al principio dell’automatismo e ribadisce il difetto di qualsiasi allegazione.
Allega
che il demansionamento è stato necessario per evitare il licenziamento
conseguente a ristrutturazione che ha visto contrarsi drasticamente le
mansioni svolte dal V..
La censura è infondata.
Le
Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 6572/06, nel comporre il
contrasto sorto in senso alla sezione lavoro della Cassazione, hanno
sancito che “in tema di demansionamento e di dequalificazione, il
riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno
professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva –
non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento
datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione, nel
ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche
del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è
subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica
medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come
ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma
oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del
soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri,
inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e
realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato
in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo
peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla
complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche,
durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di
lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e
ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali
reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti
l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi
dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il cui artificioso
isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico – si
possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al
fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi
dell’art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti
dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e
nella valutazione delle prove”.
A tale principio la Corte
territoriale si è sostanzialmente adeguata in quanto, sul presupposto
dell’accertato, con effetto di giudicato, demansionamento dal ****
livello B-CS CCNL di categoria (meccanico di
sala) a mansioni di
**** livello (trasportatore di acidi con carrello a spinta), tenendo
conto delle specifiche allegazioni, di cui al ricorso di primo grado,
del V. – relativamente alla lesione professionale, al mancato
accrescimento delle sue capacità professionali, all’ostacolo alla
progressione di carriera ed alla lesione morale subita – ha ritenuto
con ragionamento presuntivo, immune da vizi logici, provato il danno
per effetto dell’impoverimento conseguente al demansionamento di ben
cinque livelli e della lunga durata della dequalificazione “dal 1995 ad
oggi”.
Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 21,00 oltre Euro
3.000,00 per onorari, e oltre spese generali IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2009.