L’espianto degli organi sulla carta d’indentità
Finora
l’esplicito consenso (o diniego) poteva essere espresso in varie e
complicate maniere. In futuro il sì o il no alla donazione degli organi
diventerà una volontà chiara sancita nero su bianco nella carta di
identità. Se votata in via definitiva, si tratta della novità più
rilevante del maxiemendamento del governo al decreto «milleproroghe» in
discussione al Senato: «La carta deve contenere l’indicazione del
consenso ovvero del diniego della persona cui si riferisce a donare in
caso di morte». Su questo testo oggi i senatori votano la fiducia
numero 28 del Berlusconi ter.
Dal 1999 il consenso può essere
espresso in cinque modi: con una dichiarazione scritta che si porta con
sé, registrando la volontà all’unità sanitaria locale o davanti al
medico di famiglia, compilando il tesserino blu del ministero della
sanità, con atto olografo o la tessera dell’Associazione donatori. Da
allora il consenso esplicito è arrivato da circa un milione di
italiani. Per tutti gli altri italiani la legge prevedeva
l’applicazione del «silenzio-assenso». Ma quel principio, in assenza di
un registro informatico dei donatori, è rimasto inapplicato.
L’emendamento sembra di fatto superare ogni dubbio. Così la vede Nanni
Costa, direttore del centro nazionale per i trapianti: «E’ positivo che
l’indicazione o meno alla donazione degli organi nella carta di
identità sia espressione della volontà in vita».
La norma farà
probabilmente crescere il numero dei donatori. In Italia se ne
calcolano 1.200 l’anno. Siamo uno dei Paesi in Europa con il tasso più
alto: 21 per milione di abitanti su una media europea di 18,5. Ci sono
più donatori di quanti non se ne contino in Germania e Gran Bretagna,
sono meno di quelli presenti in Spagna (prima al mondo con 34 donatori
ogni milione di abitanti), e Francia, a quota 23,5. L’anno scorso le
donazioni sono aumentate del 6%, i trapianti del 7%. I no espressi sono
il 30% dei potenziali donatori, il tasso più basso (il 18%) è anche in
questo caso quello della Spagna.
Ciò detto, il sistema degli
ospedali italiani è in grado di garantire ogni anno l’operazione solo a
tremila delle novemila persone in lista d’attesa. Il centro nazionale
dei trapianti calcola che trecento malati muoiono nella vana attesa
dell’intervento. Chi aspetta un rene nuovo, ad esempio, deve aspettare
mediamente tre anni. Proprio al sostegno dei trapianti di rene era
destinato un emendamento saltato dall’ultima versione del decreto:
nuovi fondi per almeno dieci milioni di euro sarebbero dovuti arrivare
da un aumento delle accise sui tabacchi. L’aumento, per la gioia dei
fumatori, non ci sarà.