L’esterovestizione configura il reato tributario
La condotta elusiva che porta ad un indebito risparmio di imposta configura ipotesi di reato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la dirimente sentenza 28 febbraio 2012, n. 7739 sostenendo che, nei limiti fissati dalle norme sui reati tributari e valutando caso per caso l’elemento psicologico, sono ravvisabili i reati previsti dagli articoli 4 e 5 del D.Lgs. 74 del 2000 (rispettivamente dichiarazione infedele e omessa dichiarazione).
La fattispecie al giudizio degli ermellini è un caso di esterovestizione compiuto da una nota casa di moda italiana attraverso la costituzione di una società in Lussemburgo alla quale sono ceduti i marchi del gruppo intestati ai due stilisti. Riscontrando l’Amministrazione Finanziaria che la direzione effettiva della società è sostanzialmente locata in Italia, ex art. 73, c. 3 del TUIR, procedeva alla contestazione di esterovestizione. Laddove tale condotta prefiguri un tentativo di evasione, gli ermellini sanciscono che “se le fattispecie criminose sono incentrate sul momento della dichiarazione fiscale e si concretizzano nell’infedeltà dichiarativa, il comportamento elusivo non può essere considerato tout court penalmente irrilevante. Se il bene tutelato dal nuovo regime fiscale è la corretta percezione del tributo, l’ambito di applicazione delle norme incriminatrici può ben coinvolgere quelle condotte che siano idonee a determinare una riduzione o una esclusione della base imponibile”.
Per il concretamento della fattispecie penale, tuttavia, “occorre che sia raggiunta la soglia di punibilità minima per l’imposta evasa” e che sia riscontrato positivamente l’elemento psicologico, costituito dal fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
Il riconoscimento della rilevanza penale per le condotte elusive spetterà al giudice penale che potrà giungere a conclusioni diverse da quanto riconosciuto in sede di giudizio tributario. Inoltre, dicono i giudici, “nei limiti sopra specificati, non contrasta con il principio di legalità” poiché tale riconoscimento consiste in “un risultato interpretativo conforme ad una ragionevole prevedibilità tenuto conto della ratio delle norme, delle loro finalità e del loro inserimento sistematico. Se il principio di legalità venisse diversamente applicato nella materia di cui si parla si chiuderebbero gli spazi non solo della normativa penale in generale, ma anche di quella speciale di settore: la plurima invocazione del principio di specialità trasformerebbe questo principio in impunità, pur in presenza di una descrizione della fattispecie elusiva provvista dei necessari caratteri di determinatezza”. Viene dunque rispettato, secondo la Corte, il principio di tassatività e determinatezza derivante dal principio di legalità anche qualora il giudice, sulla base di una interpretazione della norma e della condotta del colpevole, ravvisi gli estremi di punibilità in base ad un rapporto di causa ( condotta elusiva) effetto ( violazione di una norma penale).
La sentenza, oltre a dirimere definitivamente le discordanti precedenti pronunce della Cassazione in materia di configurabilità di reato in caso di elusione (rectius abuso del diritto) affronta importanti temi relativi al fenomeno dell’esterovestizione, tra le quali la non rilevanza, proprio ai fini della condotta penalmente rilevante, delle due sentenze comunitarie “guida” in materia di estero vestizione e libertà di stabilimento – Sent. Halifax (C-255/02 2006) e Centros (C-212/97) -.