Licenziamento, illegittimità, testimonianza de relato, inammissibilità
L’illegittimità del licenziamento non può essere provata attraverso la testimonianza “de relato”.
Pertanto,
qualora il lavoratore impugni in Cassazione la parte della sentenza che
nega valore a tali deposizioni, ha l’onere di indicare nel ricorso le
ragioni per le quali, a suo avviso, i testimoni sarebbero dovuti essere
dichiarati attendibili. (1-22)
(*) Riferimenti normativi: artt. 2697 e 2721 c.c..
(1) In materia di licenziamento disciplinare, si veda Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 09.09.2008 n° 23107.
(2) In materia di licenziamento e periodo di ferie, si veda Cassazione civile 9816/2008.
(3) In materia di licenziamento illegittimo e reintegra nel posto di lavoro, si veda Cassazione civile 8429/2008.
(4) In materia di licenziamento e manomissione di un misuratore di energia, si veda Cassazione civile 7983/2008.
(5) In materia di licenziamento per perdita della fiducia dovuta all’utilizzo abusivo della carta millemiglia, si veda Cassazione civile 516/2008.
(6) In materia di licenziamento e furto in azienda, si veda Cassazione civile 7650/2008.
(7) In tema di licenziamento ed assenze giustificate da certificato medico, si veda Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 26.06.2009 n° 15058.
(8) In tema di licenziamento e falsificazione della firma del proprio capo, si veda Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 17.06.2009 n° 14066.
(9) In tema di licenziamento, prove ed indizi, si veda Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 25.05.2009 n° 12005.
(10) In materia di licenziamento e furto in azienda, si veda Cassazione civile 7650/2008.
(11) Sul problema della legittimità del licenziamento della lavoratrice che va a cantare dopo essersi data malata, si veda Cassazione civile 5106/2008.
(12) In materia di licenziamento ed autonomia del giudice del lavoro rispetto a quello penale, si veda Cassazione lavoro 1661/2008.
(13) In materia di licenziamento ed esami clinici, si veda Cassazione civile 1077/2008.
(14) In materia di licenziamento per soppressione di un settore produttivo dell’azienda, si veda Cassazione civile 26563/2007.
(15) In materia di licenziamento illegittimo e reintegra tardiva, si veda Cassazione civile 26561/2007.
(16) In materia di licenziamento per telefonate private fatte dal dipendente sul luogo di lavoro, si veda Cassazione civile 15334/2007.
(17) Sul tema del licenziamento e fatto colposo del creditore, si veda Cassazione civile 21066/2007.
(18) Sul tema del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, si veda Cassazione civile 14000/2007.
(19) In materia di mobbing, si veda il Focus: Mobbing: le ultime evoluzioni giurisprudenziali.
(20) In tema di licenziamento disciplinare e pregressa tolleranza, si veda Cassazione 942/2008.
(21) In materia di licenziamento e preposto al controllo, si veda Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 22.07.2009 n° 17108.
(22) Sul tema di licenziamento in genere, si veda il focus Il licenziamento nella casistica giurisprudenziale recente.Tra i contributi più recenti della dottrina in materia di licenziamento, si vedano:
– Crieco, Il licenziamento reiterato, in ADL Argomenti di diritto del lavoro, 2008, n. 2, CEDAM, parte I, p. 381;
– Staiano, Licenziamento disciplinare: le ipotesi, in Consulenza, 2008, n. 1, BUFFETTI, p. 55; – Vizioli, Il licenziamento disciplinare del dirigente davanti alle Sezioni unite della Cassazione: una soluzione definitiva?, in Giurisprudenza italiana, 2008, n. 1, UTET, p. 70;
– Romeo, Licenziamento del prestatore di lavoro subordinato per illegittimo rifiuto di adempiere la prestazione, in Contratti (I), 2008, n. 5, IPSOA, p. 489;
– Foglia, Conti, Maternità in vitro e licenziamento, in Corriere giuridico (Il), 2008, n. 4, IPSOA, p. 560;
– Peruzzi, Licenziamento ingiurioso, in Studium Iuris, 2007, n. 11, CEDAM, p. 1267.SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEIZONE LAVORO
Ordinanza 13 luglio – 23 settembre 2009, n. 20519
(Presidente Ravagnani – Relatore Mammone)
Ritenuto in fatto e diritto
D.
G. impugnava dinanzi al giudice del lavoro di Taranto il licenziamento
irrogatogli dalla Automobili X. s.r.l., nel contempo chiedendo il
pagamento di differenze retributive, relative al periodo antecedente la
formalizzazione del rapporto di lavoro ed al superiore inquadramento
spettante. Il Tribunale, ritenuto che nella specie mancasse la prova
del licenziamento e si vertesse in un caso di dimissioni e che,
inoltre, non risultavano provate né l’attività lavorativa antecedente
al rapporto, né le superiori mansioni invocate, rigettava la domanda.Proposto
appello dal D. per l’erronea valutazione del materiale probatorio e la
mancata considerazione degli indici identificativi della
subordinazione, la Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di
Taranto, con sentenza 9.10 – 29.11.07 rigettava l’impugnazione.
Riteneva la Corte che il primo giudice aveva ritenuto i testi
inattendibili (avendo essi riferito esclusivamente circostanze apprese
dalla parte personalmente), di modo che la sentenza avrebbe dovuto
essere impugnata su questo punto specifico, mentre invece
l’impugnazione verteva tutta sulla mancata considerazione delle
circostanze dagli stessi dichiarate; inoltre, la Corte affermava che,
ferme restando le considerazioni circa il valore della testimonianza de
relato, la sola esistenza di un orario fisso non era sufficiente a dar
riscontro all’esistenza della subordinazione.Proponeva ricorso
il D. deducendo: 1) violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché
carenza di motivazione, sostenendo che il giudice di merito aveva
ritenuto formato il giudicato circa il punto dell’inattendibilità dei
testi, ignorando che il giudicato può formarsi solo su capi autonomi
della sentenza e che, in ogni caso, da tale circostanza aveva fatto
discendere la validità delle dimissioni, invece contestate dal
lavoratore; 2) violazione dell’art. 2697 c.c. per la erronea
attribuzione dell’onere della prova, in quanto la Corte di merito
ritenendo non provato il licenziamento avrebbe poi, senza motivazione,
ritenuto valide le dimissioni; 3) violazione degli artt. 1324, 1344 e
1418 c.c., ritenendo che nella specie il lavoratore fosse stato
obbligato a firmare un foglio in bianco e che il giudice avrebbe per
questo dovuto dichiarare la nullità delle dimissioni; 4) violazione
dell’art. 116 c.p.c. in punto di mancanza del vincolo della
subordinazione, essendo stata apoditticamente ritenuta
l’inattendibilità dei testi per il carattere de relato delle
testimonianze, peraltro smentito dal tenore stesso delle loro
dichiarazioni; 5) omessa motivazione, avendo il giudice di appello
fatto acriticamente rinvio alla motivazione del primo giudice.Rispondeva con controricorso la società intimata.
Il
consigliere relatore redigeva relazione ex art. 380 bis c.p.c., che
veniva comunicata al Procuratore generale ed era notificata unitamente
al decreto di fissazione dell’odierna adunanza in camera di consiglio
ai difensori costituiti. Il D. ha depositato memoria.Il ricorso è infondato.
Il
consigliere relatore ha evidenziato che – di fronte ad una pronunzia
che in termini netti rigetta l’appello perché non risulta impugnato il
profilo essenziale della prima sentenza, e cioè l’affermazione che le
dichiarazioni dei testi non erano attendibili in quanto rese de relato
– il ricorrente con i motivi proposti non deduce le ragioni per cui a
suo avviso i testi avrebbero dovuto essere dichiarati attendibili. Né,
se non in parte irrilevante, riproduce il tenore delle testimonianze,
né effettua una discussione di diritto sul punto, passando egli, con
evidente salto logico, a discutere delle ragioni per cui il
licenziamento avrebbe dovuto essere ritenuto illegittimo.Il
relatore pone altresì in rilievo che nessun ausilio deriva dalla
lettura dei quesiti proposti ex art. 366 bis c.p.c., in quanto gli
stessi si limitano a sottoporre la valutazione di circostanze di fatto
(peraltro non accertate dal giudice di merito) allo scopo di ottenere
dalla Corte di legittimità un inammissibile giudizio di merito, oppure
a sottoporre questioni di contenuto giuridico inconferente.Con
la sua memoria parte ricorrente sostiene di non aver trascritto le
dichiarazioni rese dai testi risultando esse versate negli atti
processuali acquisiti al fascicolo di cassazione, nonché di aver
sottoposto alla Corte quesiti esaurienti “sia in tema di diritto che
inevitabilmente in tema di fatto”, precisando altresì che tra i vizi
denunziati è presente anche la carenza di motivazione, implicitamente
sostenendo che tale censura prescinde dalla formulazione di specifici
quesiti.Ritiene il Collegio che il ricorso per cassazione – per
il principio di autosufficienza – deve contenere in sé tutti gli
elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la
cassazione della sentenza di merito e a consentire la valutazione della
fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed
accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o
atti attinenti al pregresso giudizio di merito, di modo che il
ricorrente che denuncia sotto il profilo di omessa o insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea
valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere di indicarne
specificamente il contenuto (giurisprudenza pacifica, v. per tutte
Cass. 17.7.07 n. 15952).Inoltre, a seguito della riforma ad
opera del d.lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c. richiede
la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento
del ricorso, al fine di realizzare l’assoluta precisa delimitazione del
thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di
legittimità di esorbitare dall’ambito dei quesiti che gli vengono
sottoposti e di porre a fondamento della sua decisione risultanze
diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente
indicati dal ricorrente. Né può ritenersi sufficiente la generica
indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella
narrativa che precede la formulazione dei motivi (Cass., S.u., 31.10.07
n. 23019).Fatte queste preliminari osservazioni, deve rilevarsi
che dal complesso della discussione dei motivi e della formulazione dei
quesiti emerge una insufficiente articolazione delle censure, dalla
quale il giudice di legittimità non può trarre validi elementi atti a
contrastare l’articolata e congrua motivazione offerta dal giudice di
merito.Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che
liquida in Euro 30,00, per esborsi ed in Euro 1.500 per onorari, oltre
spese generali. Iva e Cpa.