Licenziamento ingiurioso: va risarcito anche il danno morale
La Cassazione civile (sentenza n. 30668/2011) si è occupata del risarcimento danni in caso di licenziamento illegittimo, ritenendo che vanno ristorati non solo il danno morale e biologico, ma anche una somma a titolo di risarcimento per la natura ingiuriosa e vessatoria del licenziamento.
Inoltre, la sentenza in esame, riprendendo maggioritari orientamenti giurisprudenziali (v. Cass. civ., sentenza 29 marzo 2007, n. 7740; Cass. civ., Sez. Un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972), ha affermato che, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, nei diversi aspetti o voci di cui tale unitaria categoria si compendia, l’applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice deve consentirne la maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento; a tal fine tali criteri devono essere pertanto idonei a garantire anche la c.d. personalizzazione del danno.
Al riguardo la stessa sentenza ha sottolineato anche come le tabelle del Tribunale di Milano risultino essere quelle statisticamente maggiormente testate, e pertanto le più idonee ad essere assunte quale criterio generale di valutazione che, con l’apporto dei necessari ed opportuni correttivi ai fini della c.d. personalizzazione del ristoro, consenta di pervenire alla relativa determinazione in termini maggiormente congrui, sia sul piano dell’effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione – nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti – sul territorio nazionale (cfr. Cass. civ., sentenza 12 luglio 2006, n. 15760).
Si è recentemente posto altresì in rilievo che l’equità assolve invero (anche) alla fondamentale funzione di “garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale”, con eliminazione delle “disparità di trattamento” e delle “ingiustizie”, a tale stregua venendo ad assumere il significato di “adeguatezza” e di “proporzione” (così Cass. civ., sentenza 7 giugno 2011, n. 12408). Essendo dunque l’equità il contrario dell’arbitrio, la liquidazione equitativa è insindacabile in sede di legittimità a condizione che risulti congruamente motivata, dovendo pertanto di essa darsi una giustificazione razionale a posteriori.
Preso atto che le tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una “vocazione nazionale”, in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell’equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) – al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali – ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell’art. 3 Cost., comma 2, la Cass. civ., nella presente sentenza, è pervenuta a ritenerle valido criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze che richiedano la relativa variazione in aumento o in diminuzione, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla circolazione. Tali parametri sono allora, secondo la presente sentenza, da prendersi necessariamente a riferimento ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale.