Light- ingannevoli i messaggi sui pacchetti di sigarette
Le sigarette non sono mai leggere e l’Eti – ex monopoli di Stato – ha ingannato i fumatori. Con quest’argomento, che nella sua premessa ricalca una recente decisione dell’Antitrust, il giudice di Pace di Napoli ha condannato l’Ente tabacchi italiano a risarcire un fumatore incallito che, a causa di problemi respiratori e cardiocircolatori, era stato indotto a passare dalle “normali” Ms alle “lights” convinto della loro minore dannosità. Il titolo giuridico del risarcimento del danno (1000 euro in via equitativa) è stato individuato nella “perdita di chance” e nel “danno esistenziale. Il «nesso eziologico» tra il comportamento dell’Eti e il danno del fumatore napoletano «va individuato nel comportamento ingannevole dell’Ente», che risiederebbe nella massiccia pubblicità del minor danno delle sigarette “leggere”. Tale pubblicità, secondo la decisione dell’Antitrust condivisa dal Gdp partenopeo, è individuabile anche nelle indicazioni «inserite sulle confezioni dei prodotti, qualora ne sia accertata la natura promozionale. Esse assumono una specifica finalità promozionale nella misura in cui evidenziano una caratteristica del prodotto e siano volte a promuoverne l’acquisto» e così «la dicitura “lights” è idonea ad indurre in errore i consumatori in merito alle caratteristiche del prodotto ed alla minore pericolosità dello stesso per la salute rispetto ad altri tipi di sigarette».Insomma, le “light” non fanno male e chi lo pubblicizza dice il falso. Una tesi analoga è stata sostenuta dalla Corte di Giustizia delle comunità europee che, con decisione del dicembre 2002 (leggibile in arretrati del 11 dicembre 2002) hanno sancito il divieto delle diciture “light” “ultra light” e “mild” dai pacchetti di sigarette europei.Il Gdp ha fatto proprie queste tesi ed ha chiarito che la chance perduta è quella di non aver attuato «altri possibili rimedi e terapie, magari di gran lunga meno pubblicizzati, per evitare i noti danni alla salute provocati dal fumo o ridurre gradualmente l’uso delle sigarette stesse». Il giudice napoletano ha anche riconosciuto al fumatore il danno esistenziale, «atteso che è risultato dalla istruttoria che l’attore continua la propria esistenza con la costante preoccupazione “ansiosa” di contrarre prima o poi il cancro, anche in virtù dell’effettuato copioso consumo di sigarette lights».Secondo l’avvocato Angelo Pisani, che oltre ad essere il difensore del fumatore napoletano è anche il legale che con un proprio ricorso ha suscitato la prima decisione con la quale l’Antitrust ha etichettato la dicitura “light” come pubblicità ingannevole (vedi in arretrati del 2 ottobre 2002), la sentenza emessa ieri rappresenta «un importantissimo precedente per tutti i fumatori italiani, che dopo essere stati ingannati per anni dalla scritta “light” potranno ora far valere i propri diritti. L’Italia si avvicina sempre di più agli Stati Uniti, sul piano della tutela giuridica dei diritti dei fumatori. Dopo aver subito per decenni i danni indotti dai comportamenti delle multinazionali del tabacco, finalmente si profilano le strade giuridiche per una autentica tutela».
Giudice di pace di Napoli – Sezione terza – sentenza 30 marzo-1° settembre 2004Giudice Di Rienzo – ricorrente Silvestri
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 9 aprile 2003 Domenico Silvestri ha convenuto innanzi a questo GdP l’Ente Tabacchi italiani spa (Eti) all’uopo esponendo che egli era da diverso tempo “vittima del vizio di fumare” – ed aveva sino a qualche anno prima consumato normali sigarette tipo “Ms” prodotte e commercializzate dal Monopolio di Stato – oggi Ente Tabacchi italiani; che, avvertendo sintomi di patologie respiratorie e cardiovascolari, conseguenti al fumo di sigarette “normali”, si era indotto a fare uso di altro tipo di sigarette, dall’Eti distribuito e pubblicizzato con la dicitura “Ms lights” e “Ms extra lights”, contenute in una confezione di diverso colore e recante l’indicazione di un minor contenuto di nicotina e di condensato; che esso istante, presumendo una minore pericolosità e nocività delle nuove sigarette, in forza della ingannevole e suggestiva scritta lights ed extra lights, aveva intrapreso a fumare quest’altro tipo di sigarette ma, con ciò, anziché ricavare un beneficio, aveva subito danni ancora più gravi alla salute, ed aveva addirittura raddoppiato il consumo del prodotto; che la vendita delle sigarette lights ed extra lights era avvenuta in palese violazione sia dell’articolo 41 della Costituzione sia delle attuali leggi ordinarie volte a tutelare la salute dei cittadini, soprattutto in tema di pubblicità ingannevole a danno del consumatore; che in subiecta materia la legge 165/62, il successivo Dm 425/91 in attuazione della direttiva della Comunità europea 89/552 ed, inoltre, la direttiva Ce 43/1998, avevano sancito il divieto di pubblicità delle sigarette: che, a parte la violazione di tale generale prescrizione, nel caso di specie la pubblicità delle citate nuove sigarette era palesemente ingannevole e strumentale, essendo queste ultime ancora più nocive di altre perché, pur contenendo un tasso minore di nicotina, esse inducevano i fumatori, per condizionamento psicologico, ad aspirare un maggior numero di sigarette; che, in tale situazione, un provvedimento dell’“Antitrust”, passato in giudicato, aveva riconosciuto il carattere di pubblicità ingannevole alle citate sigarette lights ed extra lights, rilevato che l’assorbimento di nicotina a catrame dipende anche dalle modalità con le quali il fumo delle sigarette viene aspirato ed il contenuto minore di nicotina e condensato in esse esistente induce il fumatore delle lights ad aspirare più intensamente per soddisfare e compensare il fabbisogno e la necessità di nicotina al quale il suo organismo è abituato, che esso attore, vittima della ingannevole pubblicità delle nuove sigarette, palesemente illusoria e fuorviante, aveva riportato seri danni alla salute, aggravati dal ragionevole timore di poter contrarre il cancro polmonare; che i citati danni, conseguenza di un illecito comportamento dell’Eti, dovevano essere risarciti, anche dalla stregua degli articoli 32 della Costituzione e 2043 Cc.Su tali premesse, chiedeva l’attore condannarsi l’ente convenute al risarcimento di ogni danno (“biologico, morale, esistenziale, alla salute, patrimoniale e personale”), e comunque, in via equitativa, nella misura omnicomprensiva di euro 1032.00 nonché alle spese e competenze legali ed a quelle altre relative alla (chiesta) pubblicazione dell’emananda sentenza su giornali nazionali.L’ente convenuto, costituendosi in giudizio, impugnata in fatto ed in diritto l’avversa domanda e ne chiedeva il rigetto. Chiedeva altresì autorizzarsi la chiamata in causa, ex articolo 106 Cpc dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, alla quale la presente causa sarebbe comune, anche al fine di esserne garantito.Eccepiva, inoltre, la nullità della domanda giudiziale, per sua asserita indeterminatezza; l’infondatezza nel merito della domanda stessa, peraltro generica e non specificata; in via subordinata chiedeva dichiararsi prescritte le pretese risarcitorie eventualmente maturate nel quinquennio anteriore alla notifica della citazione, in ordine alle ipotesi di responsabilità extraprocessuale ed, in ogni caso, dichiararsi prescritte le medesime pretese eventualmente maturate nel decennio anteriore alla domanda, in relazione ad ogni altra ipotesi di responsabilità.Questo giudice, con ordinanza fuori udienza del 9 giugno 2003, rigettava l’istanza di chiamata in causa dell’Amministrazione dei Monopoli di Stato, rilevando che la domanda giudiziale era stata indirizzata nei confronti del solo Eti per fatti (secondo l’assunto dell’attore) in thesi addebitabili solo al convenuto e non anche al terzo e per un determinato periodo temporale.Veniva dall’attore prodotta in causa copiosa documentazione a confronto di quanto esposto in citazione; venivano altresì sentiti i testi Silvestri Fabrizio ed Esposito Ernesto.Precisate successivamente le conclusioni, così come riportate in epigrafe, la causa veniva assegnata a sentenza all’udienza del 22 marzo 2004.
Motivi della decisione
La domanda si palesa fondata e deve essere accolta per quanto di ragione.Le preliminari eccezioni del convenuto (v. comparsa di costituzione e risposta) non possono essere condivise.Non ricorre l’eccepita nullità della domanda giudiziale per asserita (ma chiaramente insussistente) sua indeterminatezza. Causa petendi – rapportata al comportamento illecito ed ingannevole del convenuto, in quanto tale produttivo di danno ingiusto – e petitum – risarcimento del danno stesso – vi sono indubbiamente individuati secondo comuni regole ermeneutiche; né il chiesto risarcimento si palesa impedito o condizionato dagli accertamenti eseguiti (in parte) da altra autorità, ben potendo questo giudice avvalersi del materiale probatorio in atti nella formazione del suo libero convincimento.Neppure ricorre la necessità o l’opportunità di integrare il contraddittorio, ai sensi dell’articolo 106 Cpc nei confronti dell’Amministrazione dei Monopoli di Stato: come osservato con ordinanza datata 9 giugno 2003 e come risulta da dichiarazione dello stesso convenuto (v. comparsa di risposta) l’Eti fu istituito con D.Lgs 9 luglio 1998 e l’attività dannosa lamentata dall’attore è posteriore alla citata data ed è dall’attore stesso riferita a fatti imputabili, in thesi, al solo convenuto e non anche ad altro soggetto.L’eccezione di prescrizione delle pretese risarcitorie si palesa priva di pregio.A norma dell’articolo 2935 Cc la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere: e nella specie tale possibilità sorse solo nel momento (non prima) in cui l’attore acquisì la ragionevole certezza di aver subito i danni indicati in citazione: prima di tale momento gli era chiaramente impossibile stabilire se ricorressero, oppure non, le condizioni per promuovere il giudizio risarcitorio. Consegue che, a far tempo da tale momento, alla data dell’instaurazione del processo non erano decorsi né il quinquennio di cui all’articolo 2947, né il decennio di cui alla norma generale dell’articolo 2946 Cc – secondo le due ipotesi prospettate nelle sue difese dall’Ente Tabacchi.È poi noto che le comparse conclusionali sono deputate alla illustrazione dei temi difensivi in precedenza ritualmente introdotti nel processo e non possono quindi contenere domande od anche solo eccezioni nuove, cioè non proposte con la comparsa di risposta o nei verbali di causa. Giova sul punto ricordare che l’ente convenuto, con la comparsa di risposta, le cui conclusioni sono state ribadite senza modifiche nei verbali di causa, si era limitato ad eccepire soltanto:1. la nullità dell’atto di citazione per violazione del termine a comparire (eccezione poi rinunciata a verbale);2. l’indeterminatezza della domanda;3. l’infondatezza nel merito di essa;4. la prescrizione delle pretese risarcitorie;5. l’opportunità di chiamare in causa ai sensi dell’articolo 106 Cpc l’amministrazione dei Monopoli di Stato per esserne garantito.Consegue da tanto che ulteriori eccezioni proposte dal convenuto solo con la comparsa conclusionale, per la loro novità e la conseguente violazione del principio del contraddittorio, non possono essere qui delibate (v. l’incombenza per materia del giudice adito; l’impossibilità di pronunciarsi secondo equità; la pretesa illegittimità costituzionale; la sospensione del processo ex articolo 295 Cpc; la inefficacia delle testimonianze).Nel merito, nella formazione del suo libero convincimento, l’adito Giudice si richiama a quanto, sul piano probatorio, risulta dal copioso materiale acquisito. E così va ritenuta per certa l’idoneità ingannatrice nel messaggio pubblicitario posto sugli involucri delle sigarette “ligths” ed “extra lights”. A siffatta conclusione inducono sia considerazioni ormai di pubblico dominio in ordine alla generale dannosità del fumo, sia, specificamente, le risultanze documentali acquisite al processo; e, con riguardo alle citate sigarette “lights”, va ricordato che l’Autorità garante, con provvedimento 11809 del 31 marzo 2003 – e con argomentazioni logico-giuridiche che questo giudice condivide, recepisce e fa proprie – ha affermato e statuito che «costituiscono pubblicità anche le indicazioni che siano inserite sulle confezioni dei prodotti, qualora ne sia accertata la natura promozionale. Esse assumono una specifica finalità promozionale nella misura in cui evidenziano una caratteristica del prodotto e siano volte a promuoverne l’acquisto» e così «la dicitura “lights” è idonea ad indurre in errore i consumatori in merito alle caratteristiche del prodotto ed alla minore pericolosità dello stesso per la salute rispetto ad altri tipi di sigarette». E l’altro provvedimento dell’Autorità garante 11204 (Pi 3741) ha ribadito doversi ritenere che le sigarette lights non siano meno dannose per la salute rispetto ad altri normali tipi di sigarette. Leggesi conclusivamente in detto provvedimento, sulla scorta di indagini effettuate e di specifiche circostanze di fatto, qui recepite, che «il messaggio lights all’esterno dei pacchetti di sigarette è idoneo a trarre in errore i consumatori in merito alle caratteristiche del prodotto ed alla minore pericolosità dello stesso» rispetto ad altro tipo di sigarette, con conseguente danno per la salute dei consumatori. E siffatta conclusione trova significativa rispondenza nella direttiva comunitaria 2001/37/Ce, che ha imposto eliminarsi dalle confezioni di sigarette la parola “lights” perché idonea a dare al consumatore la falsa impressione che i suddetti prodotti siano meno nocivi rispetto ad altri e possano in quanto (definiti) tali portare ad un aumento dei consumi.Il danno lamentato dall’attore ed attestato anche dai testi escussi è costituito con evidenza dal peggioramento dello stato di salute della vita di relazione e dalla perdita di possibilità di adottare nel periodo dedotto un diverso ed ulteriore rimedio o terapia ed è in chiaro rapporto eziologico con l’uso delle sigarette “lights”, al quale egli si era indotto quale vittima inconsapevole della mendace pubblicità. Il danno stesso, con tutta evidenza in re ipsa, consegue al comportamento dell’Ente che ha posto in commercio il prodotto dannoso con la falsa ed ingannevole pubblicità; esso, come detto, emerge specificamente anche da quanto, con dovizia di analitici particolari, riferito dai testi escussi (i quali non hanno espresso valutazioni, come opina il convenuto, ma esposto fatti dei quali erano a diretta conoscenza).Vi è di più; nella fattispecie è emerso che l’attore, in virtù del proprio convincimento sostanziatosi a seguito del comportamento dannoso dell’Ente come sopra specificato, ha ritenuto di conseguire, optando per l’uso delle “lights”, un determinato risultato benefico per la propria salute (cfr. deposizione del teste Esposito), in quanto “sigarette più leggere e meno dannose” rispetto alle altre.Ne scaturisce che, in caso diverso, non avrebbe optato per tale scelta, continuando a fumare, come aveva fatto, in precedenza e a lungo, il tipo normale.Egli invece, come è dato rilevare dagli atti, attratto dalla citata pubblicità ingannevole ed a causa di questa, ha iniziato a fumare le lights rispetto ad altri possibili rimedi e terapie, magari di gran lunga meno pubblicizzati, per evitare i noti danni alla salute provocati dal fumo o ridurre gradualmente l’uso delle sigarette stesse.In conseguenza, ai fini valutativi del danno ed alla luce della ampia richiesta risarcitoria attorea, comprendente “tutte le voci e qualifiche del danno”, va considerato pure il danno da impossibilità di raggiungere il risultato pubblicizzato (minor danno per la propria salute), in virtù della scelta (chance) operata a causa della predetta pubblicità.La scelta dell’attore di fumare le lights in luogo del tipo normale, quindi, gli ha procurato un evidente danno nella perdita di un’ulteriore scelta nel porre rimedio seppur parziale e diluito nel tempo al proprio problema, visto che i medici consultati gli avevano consigliato di smettere di fumare e il Silvestri evidentemente da solo non ci riusciva di punto in bianco.Orbene, così argomentando, il nesso eziologico tra inadempimento del convenuto nei confronti dell’attore (mancato minor pregiudizio alla salute delle lights rispetto a quanto assicurato in virtù della massiccia pubblicità) e danno va ovviamente individuato nel comportamento ingannevole dell’Ente, indipendentemente dal mancato conseguimento del risultato da parte del fumatore, in quanto l’Ente giammai ha posto in essere i presupposti (leggerezza delle sigarette tale da essere meno nocive del tipo normale, così come propagandato), affinché il Silvestri potesse tentare di procurare un qualche giovamento o minor danno alla propria salute. Tale danno è riconducibile in qualche modo al cosiddetto danno da perdita di chance, individuato dalla giurisprudenza costante per lo più in campo sanitario e strettamente correlato con il cosiddetto danno esistenziale, atteso che è risultato dalla istruttoria che l’attore continua la propria esistenza con la costante preoccupazione “ansiosa” di contrarre prima o poi il cancro, anche in virtù dell’effettuato copioso consumo di sigarette lights.Ciò posto, l’attore ha richiesto una pronuncia di equità, pertanto il risarcimento del danno, provato nell’an, va liquidato equitativamente, come richiesto, con la somma omnicomprensiva di euro 1000.00, oltre ad interessi dal giorno della domanda a quello dell’effettivo pagamento.Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
PQM
Il GdP, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione o difesa reietta, così provvede:a) accoglie la domanda e condanna l’Eti spa – Ente Tabacchi Italiani – in persona del legale rappresentante al risarcimento del danno in favore di Silvestri Domenico, liquidato in complessivi euro 1000.00 unitamente agli interessi legali della domanda al giorno dell’effettivo pagamento per danno da perdita di “chance” ed esistenziale;b) condanna l’Eti alle spese del giudizio, liquidate in complessivi euro 800.00 dei quali euro 50.00 per spese vive, euro 300.00 per diritti ed euro 450.00 per onorari, oltre Iva e Cpa.