L’impresa che inquina paga i danni causati nella zona in cui opera
L’impresa può essere chiamata a rispondere del danno ambientale
causato dalla vicinanza del suo impianto all’inquinamento accertato.
Per l’accertamento della responsabilità serve anche la corrispondenza
tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati
dall’impresa nell’esercizio della sua attività.
E’ quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 9 marzo scorso, proc C-378/08
“Quando,
in un’ipotesi d’inquinamento ambientale, non sono soddisfatti i
presupposti d’applicazione ratione temporis e/o ratione materiae della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 aprile 2004,
2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e
riparazione del danno ambientale, un’ipotesi del genere dovrà essere
allora disciplinata dal diritto nazionale, nel rispetto delle norme del
Trattato e fatti salvi altri eventuali atti di diritto derivato.
La direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale che
consente all’autorità competente, in sede di esecuzione della citata
direttiva, di presumere l’esistenza di un nesso di causalità, anche
nell’ipotesi di inquinamento a carattere diffuso, tra determinati
operatori e un inquinamento accertato, e ciò in base alla vicinanza dei
loro impianti alla zona inquinata. Tuttavia, conformemente al principio
«chi inquina paga», per poter presumere secondo tale modalità
l’esistenza di un siffatto nesso di causalità detta autorità deve
disporre di indizi plausibili in grado di dare fondamento alla sua
presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore
all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze
inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore
nell’esercizio della sua attività.
Gli artt. 3, n. 1, 4, n. 5, e 11, n. 2, della direttiva 2004/35
devono essere interpretati nel senso che, quando decide di imporre
misure di riparazione del danno ambientale ad operatori le cui attività
siano elencate nell’allegato III a detta direttiva, l’autorità
competente non è tenuta a dimostrare né un comportamento doloso o
colposo, né un intento doloso in capo agli operatori le cui attività
siano considerate all’origine del danno ambientale. Viceversa spetta a
questa autorità, da un lato, ricercare preventivamente l’origine
dell’accertato inquinamento, attività riguardo alla quale detta
autorità dispone di un potere discrezionale in merito alle procedure e
ai mezzi da impiegare, nonché alla durata di una ricerca siffatta.
Dall’altro, questa autorità è tenuta a dimostrare, in base alle norme
nazionali in materia di prova, l’esistenza di un nesso di causalità tra
l’attività degli operatori cui sono dirette le misure di riparazione e
l’inquinamento di cui trattasi.”