L’indennità di trasferta è rimborso spese e ristoro del disagio, perciò scatta l’imposizione Irpef
Un po’ rimborso e un po’ indennizzo: è la natura mista dell’indennità di trasferta che fa scattare l’imposizione Irpef.
E per gli ispettori del ministero del Lavoro il regime fiscale è quello
contenuto nel D.Lgs 344/03. Lo sottolinea l’ordinanza 23175/09, emessa
dalla sezione tributaria della Cassazione. L’indennità di trasferta –
spiegano gli “ermellini” – non ha caratteristiche univoche: gli
importi, da una parte, sono destinati a rimborsare il lavoratore
dipendente delle spese che ha sostenuto durante l’espletamento
dell’incarico fuori sede; dall’altra, però, servono anche a remunerarlo
del maggior disagio che deriva dalla trasferta.
Il caso
E’ stato accolto il ricorso delle Entrate secondo
cui il giudice del merito non ha considerato che soltanto le somme
corrisposte a titolo risarcitorio sono esenti dall’imposizione sul
reddito. La controversia riguarda gli ispettori del ministero del
Lavoro: le somme corrisposte in via forfettaria per compensare gli
incarichi svolti lontano dalla sede di appartenenza rientrano in tutto
e per tutto nella categoria delle indennità di trasferta. Il crinale
temporale del trattamento fiscale è il primo gennaio 1998: prima di
quella data il regime tributario è quello contenuto nell’articolo 48,
comma 4, del Dpr 917/86, come modificato dall’articolo 33, comma 3, del
dl 41/1995, convertito dalla legge 85/1995; superata la data
“spartiacque”, fa fede l’articolo 48, comma 5, dello stesso decreto nel
testo sostituito dal D.Lgs 314/97 (ora articolo 51, comma 5, del Tuir
introdotto dall’articolo 1 del D.Lgs 344/03). Diverso il caso
dell’indennità di trasferimento anteriore al D.Lgs 56/1998, in cui la
tassabilità va esclusa se la natura dell’erogazione è risarcitoria.