Lo stalking sui social network: è reato inviare messaggi e video piccanti
All’indagato è stato contestato il reato di cui all’art. 612 bis c.p. (“Atti persecutori”) nei confronti di I.N. (con la quale aveva avuto una relazione sentimentale che la donna aveva voluto interrompere), e di calunnia nei confronti della stessa e di P.S., nuovo fidanzato della I..
Avverso tale decisione propone ricorso l’indagato che deduce, con un primo motivo, “violazione di diritto”, perchè non sarebbero sussistiti i gravi indizi, e i descritti comportamenti non avrebbero potuto integrare il reato contestato. Quanto alla calunnia, non erano stati sentiti due testi da lui indicati. Assume poi, con altro motivo, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Le investigazioni erano basate sulle sole parole della I., prive di riscontri, e sulle dichiarazioni di suoi familiari. Non era stato interrogato il teste a discarico S.G. indicato dall’esponente. Le argomentazioni del Collegio non erano condivisibili, in quanto non era vero che il quadro indiziario era univoco: infatti nel 2009 era la stessa persona offesa a chiedere e ottenere “un contatto con il presunto stalker”. Sostiene che le espressioni usate nella ordinanza sulla sua personalità, di connotazione particolarmente negativa (come “incapace di controllare i propri istinti”; “carattere allarmante”; “spregiudicato”; “con elevata propensione a delinquere”), nonchè quelle utilizzate per evidenziare i pericula libertatis (quali “pericolo di recidiva”;
“stillicidio persecutorio”) non erano in linea con la misura (come sostituita) ma semmai con la custodia cautelare in carcere (si trattava probabilmente di un errore del Tribunale che aveva utilizzato espressioni riferibili a tale C.E.).