Lottizzazione abusiva, ville costruite in zona agricola, acquirente
Chi acquista da una società immobiliare un villino residenziale,
costruito in zona agricola, risponde, a titolo di concorso, nel reato
di lottizzazione abusiva, con riferimento al quale è possibile il
sequestro in via preventiva dell’immobile. Ciò in quanto l’acquirente
non può essere considerato «terzo estraneo» al reato, a meno che non
provi di aver agito in buona fede, ossia di aver adoperato la
necessaria diligenza nell’adempimento dei doveri d’informazione e
conoscenza, senza essersi reso conto di partecipare ad un’operazione di
lottizzazione illecita. (1-4)
(*) Riferimenti normativi: artt. 30 e 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001.
(1) In tema di lottizzazione abusiva ed esclusione della buona fede dell’acquirente, si veda Cassazione penale, sez. III, sentenza 08.06.2009 n° 23720.
(2) In tema di definizione del reato di lottizzazione abusiva, si veda Tribunale Bari, sez. Putigliano, sentenza 26.06.2008.
(3) In tema di lottizzazione abusiva e violazione di parametri legali, si veda Cassazione penale, sez. III, sentenza 22.05.2007 n° 19732.
(4) In tema di lottizzazione abusiva e confisca, si vedano Cassazione penale, sez. penale, sentenza 15.06.2009 n° 24666; Cassazione penale, sez. III, sentenza 14.05.2009 n° 20243; Cassazione penale, sez. III, sentenza 29.05.2007 n° 21125.SUPREMA CORTE DI CASAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 13 luglio – 8 ottobre 2009, n. 39078
(Presidente Grassi – Relatore Fiale)
Fatto e diritto
Il
Tribunale di Roma – con ordinanza del 30.12.2008 (depositata
l’8.1.2009) – rigettava le istanze di riesame proposte nell’interesse
di VARI avverso il decreto 20.10.2008 con cui il G.I.P. del Tribunale
di Tivoli aveva disposto il sequestro preventivo di villini facenti
parte dei “borghetti nn. 7, 11 e 14”, rispettivamente siti in via
Codette, via Pian dell’Olmo e via Stazzo Quadro del Comune di Riano,
adottando tale misura di cautela reale in relazione agli ipotizzati
reati di cui:a) agli arti. 30 e 44, lett. c), DPR. n. 380/2001,
per avere concorso nella lottizzazione abusiva di terreni ubicati in
agro del Comune di Riano.Ciò in quanto – su area ricadente
nella zona E) [agricola] regolata dall’art. 34 delle NTA della variante
di aggiornamento del PRG per la salvaguardia del territorio, approvata
dalla Regione Lazio con DGR n. 5842 del 14/12/1999, nella quale è
consentita la sola edificazione correlata all’attività agricola dei
suoli ed allo sviluppo delle imprese agricole e dove è altresì
prevista, a specifiche e tassative condizioni, la possibilità di
accorpamento della cubatura in “borghetti agricoli” o “atelier
d’artista” – veniva effettuata la realizzazione di costruzioni che,
sebbene qualificate nei titoli abilitativi come borgo agricolo previsto
dal PRG, mancavano di ogni presupposto diretto, connesso e dipendente
dal processo di coltivazione agricola dei terreni, configurandosi, al
contrario, come un complesso residenziale completamente avulso da tale
processo, sicché veniva in tal modo conferito al territorio un assetto
urbanistico differente da quello pianificato, in violazione agli
strumenti pianificatori, determinandosi una definitiva trasformazione
dell’area da agricola a residenziale;b) del reato previsto e
punito dall’art. 44, lett. b) DPR. n. 380/2001, perché gli interventi
dianzi descritti venivano eseguiti in assenza del possesso del
prescritto permesso di costruire o di altro valido titolo abilitativo,
stante l’illegittimità di quello rilasciato.Avverso tale
ordinanza hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori delle
persone indagate dianzi specificate, i quali – lamentando la incompleta
valutazione, in sede di riesame, delle prospettazioni difensive – con
doglianze comuni hanno eccepito che:– non sarebbe configurabile, nella specie, il “fumus” dell’ipotizzato reato di lottizzazione abusiva, in quanto:
il
G.I.P. ed il Tribunale avrebbero erroneamente interpretato l’art. 34
delle NTA della Variante di aggiornamento del PRG comunale e le
prescrizioni del Piano territoriale paesistico (PTP) – ambito
territoriale n. 4 Valle del Tevere, approvato con le leggi della
Regione Lazio nn. 24 e 25 del 6.7.1998, assimilando incongruamente la
figura dello “addetto all’agricoltura”, (non definita dall’ordinamento
giuridico) a quella dello “imprenditore agricolo”, concettualmente
diversa.Nel ricorso del M. si prospetta, inoltre, che egli
sarebbe effettivamente “coltivatore agricolo” e che il sequestro
avrebbe illegittimamente colpito anche terreni coltivati, da lui
condotti in affitto;le norme del PRG ammetterebbero comunque la possibilità edificatoria anche ai fini residenziali delle zone agricole;
l’edificazione
era avvenuta in seguito al rilascio di regolari concessioni edilizie ed
i ricorrenti [ad eccezione della C.] non avevano realizzato alcuna
attività edificatoria, essendosi limitati ad acquistare manufatti
costruiti da altri: il reato di lottizzazione abusiva, inoltre, sarebbe
configurabile esclusivamente nei confronti del venditore e
dell’acquirente di “terreni illegittimamente frazionati” e non invece
dell’acquirente di “un edificio” già costruito;le opere
assentite non arrecherebbero pregiudizio al potere pubblico di
programmazione territoriale ma anzi ne costituirebbero diretta
emanazione;non sussisterebbe la necessità di potenziamento e/o
adeguamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, né si
imporrebbe la realizzazione di nuove infrastrutture;– gli
indagati sarebbero “estranei al reato di lottizzazione” ed avrebbero
agito “in assoluta buona fede”, avendo fatto razionale affidamento
nella professionalità dei notai che hanno stipulato gli atti di vendita.Il
Consiglio comunale di Riano – con deliberazione del 12.5.2009 – ha
affermato la legittimità degli interventi edificatori già assentiti
nella zona E agricola. Tale delibera avvalorerebbe la tesi
dell’affidamento incolpevole degli acquirenti, perché gli stessi
sarebbero stati ripetutamente indotti a ritenere conformi alla legge i
manufatti da loro acquistati ed autorizzati da quel Comune e l’ente
locale, anche con questa più recente determinazione, avrebbe
ulteriormente ribadito la correttezza del proprio operato.– non
sarebbe ravvisabile il preteso “periculum in mora”, in relazione
all’art. 321, 1° comma, c.p.p., perché non potrebbe ipotizzarsi alcun
pericolo “concreto ed attuale” di aggravamento delle conseguenze
dannose dei reati (secondo quanto argomentato dalle Sezioni Unite
penali della Corte di Cassazione con la sentenza 20.3.2003, n. 12878).È
stato altresì eccepito che il sequestro è stato adottato dal GIP anche
ai sensi del 2° comma dell’art. 321 c.p.p., sul presupposto che,
all’accertamento del reato di lottizzazione abusiva, debba
necessariamente seguire la confisca dell’area e degli immobili
interessati, ex art. 44, comma 2, del TU. n. 380/2001.Nei
confronti dei ricorrenti, invece, non potrebbe essere disposta la
confisca in oggetto, perché la Corte Europea dei diritti dell’uomo –
con decisioni del 30.8.2007 e del 20.1.2009, nel ricorso [n. 75909/01]
proposto contro l’Italia dalla s.r.l. “Sud Fondi” ed altri – ha
affermato che tale misura patrimoniale:– “non tende alla
riparazione di un danno, ma mira nella sua essenza a punire per
impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite
dalla legge”,– è, quindi, una “pena” e la previsione
dell’irrogabilità di tale “pena” al di fuori di ipotesi di
responsabilità penale incorre nell’infrazione dell’art. 7 della CEDU.I
difensori di M. e N. [nella memoria depositata il 29.4.2009] hanno
perciò sollevato questione di illegittimità costituzionale dell’art.
44, 2° comma, D.P.R. n. 380/200, nella parte in cui tale norma consente
l’applicazione del provvedimento di confisca “a prescindere dal
giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai
fatti”, per ravvisato contrasto con gli artt. 27, 42 e 117, 1° comma,
Cost.I motivi di ricorso sono stati specificati ed integrati con memorie rispettivamente depositate:
– dal difensore di A. e M., il 18.5.2009;
– dai difensori di M. e N., il 29.4, il 26.6 ed il 2.7.2009;
– dal difensore della C., il 15.5.2009.
******
1. La pianificazione del territorio in oggetto
1.1 La pianificazione comunale
Secondo
le indagini effettuate dal P.M., l’area in questione è classificata
come zona E – agricola dalla Variante di aggiornamento al Piano
Regolatore Generale per la salvaguardia del territorio, adottata dal
Comune di Riano ed approvata dalla Regione Lazio con D.G.R. n. 5842 del
14.12.1999.La disciplina peculiare si rinviene dall’art 34 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA), che prevede, in sintesi, quanto segue:
La
zona agricola “comprende il territorio attualmente destinato
all’agricoltura, di cui si intende conservare l’attuale valore
ambientale e produttivo.Le zone agricole sono destinate
all’esercizio delle attività agricole dirette o connesse con
l’agricoltura. Sono altresì ammesse le attività sportive equestri,
caratteristiche del territorio di Riano”.Le zone agricole sono
suddivise nelle seguenti sottozone: E1 – zona ricoperta da boschi; E2 –
zona soggetta a rimboschimento; E3 – zona ad utilizzazione agricola; E4
– zona ricoperta da vegetazione ripariale.Nella zona E3 ad utilizzazione agricola [tale è la zona ove sorge il complesso di edifici in esame]:
sono ammesse le costruzioni di fabbricati per addetti all’agricoltura con i seguenti indici di fabbricabilità fondiaria:
– 0,03 mc./mq. residenziale
–
0,07 mc./mq. per gli annessi agricoli non residenziali, ma
l’applicazione di tale indice è subordinato all’accertamento del
possesso da parte del richiedente della qualità di imprenditore
agricolo a titolo principale.Il lotto minimo di intervento è stabilito, per le zone E3, in 100.000 mq. (10 ettari).
Nell’intento
di impedire il proliferare di piccole costruzioni sparse in zone
agricole, la Variante in oggetto favorisce l’accorpamento della
cubatura in borghetti agricoli facendo propria la norma di tutela
dell’art 23, punto B), delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano
Territoriale Paesistico.I fabbricati consentiti, pertanto, potranno essere riuniti in borghetti agricoli alle seguenti condizioni:
–
dovranno attestarsi sui percorsi stradali esistenti, evitando quindi
l’apertura di nuove strade ad eccezione di quelle di penetrazione;–
il lotto minimo ammesso, anche derivante da accorpamento di più
particelle contigue dovrà in ogni caso rispettare le indicazioni
riportate nella Tav. n. 20 del presente Piano.In questa zona è
ammessa anche l’ubicazione di atelier per artisti con relativo
alloggio, con un indice di fabbricabilità di 0,10 mc./mq. Tali
destinazioni d’uso dovranno essere riunite e concentrate su slarghi e
piazze, in modo da formare nuclei edilizi riuniti e compatti.1.2 La pianificazione regionale
L’art.
1 della legge 22.7.1974, n. 34 della Regione Lazio già vietava le
“lottizzazioni di terreno a scopo edilizio”, definendo tali “le
utilizzazioni del suolo che, indipendentemente dal frazionamento
fondiario e dal numero dei proprietari, prevedano la realizzazione
contemporanea o successiva di una pluralità di edifici a destinazione
residenziale, turistica, industriale, artigianale o commerciale, o
comunque l’insediamento di abitanti o di attività in misura tale da
richiedere la predisposizione o l’integrazione delle opere di
urbanizzazione tecnica o sociale occorrenti per le necessità
dell’insediamento”.La stessa norma considerava lottizzazioni di
terreno a scopo edilizio anche “i frazionamenti delle aree destinate
dagli strumenti urbanistici alle attività agricole, ove i lotti siano
inferiori a quelli minimi previsti”, nonché “l’esecuzione anche
parziale, da parte dei privati proprietari o per loro conto, di opere
di urbanizzazione tecnica, non strettamente necessarie alla conduzione
dei fondi agricoli o all’accessibilità di edifici già legittimamente
realizzati”.Il Piano territoriale paesistico (PTP) – ambito
territoriale n. 4 Valle del Tevere, ricompreso tra quelli approvati con
le leggi della Regione Lazio nn. 24 e 25 del 6.7.1998, prevede a sua
volta – al citato art. 23, punto B), delle Norme Tecniche di Attuazione
(richiamato dall’art. 34 delle NTA della Variante di PRG del Comune di
Riano) – che “si intendono per zone agricole quelle che sono destinate
di fatto all’esercizio dell’attività agricola o che comunque sono
definite tali negli strumenti urbanistici vigenti”.Nelle zone agricole sono espressamente vietate:
–
ogni attività comportante trasformazione dell’uso del suolo diverso
dalla sua naturale vocazione per l’utilizzazione agricola ed ogni
intervento deve essere indirizzato alla conservazione dei valori tipici
e tradizionali propri dell’agricoltura ed alla difesa dell’esercizio
dell’impresa agricola considerato come strumento attivo per la
conservazione dei beni ambientali;– ogni lottizzazione a scopo
edilizio ai sensi della legge regionale 22 luglio 1974, n. 34, salva la
possibilità di concentrare l’edificazione in borghi agricoli ai sensi
dell’articolo 2 del DM. 2.4.68 1944. ove ciò sia consentito dagli
strumenti urbanistici;– l’apertura di strade o sentieri che non
siano strettamente necessari per l’utilizzazione dei fondi a scopo di
coltivazione e l’esecuzione di opere di urbanizzazione all’infuori di
quelle strettamente connesse ed eseguite in contestualità delle opere
edilizie consentite e che devono risultare dal progetto relativo a
queste ultime.L’edificazione deve essere strettamente correlata
alla utilizzazione agricola dei suoli ed allo sviluppo delle imprese
agricole ed essa è consentita, sempreché sia possibile secondo le norme
degli strumenti urbanistici, nei limiti di cui all’art. 5, b, alla voce
b1 [indice fondiario max. 0,015 mc./mq.; H. max ml. 7,00; con lotto
minimo di 30.000 mq. per una cubatura max. accorpabile di 900 mc.],
salvo ulteriori specifiche prescrizioni per le “abitazioni della
famiglia dell’imprenditore agricolo a titolo principale” e per gli
alloggi dei “lavoratori agricoli da applicare stabilmente all’azienda
agricola”.2. La ricostruzione degli aspetti essenziali della vicenda
2.1
La vicenda che ci occupa si inquadra nella complessiva realizzazione,
in un territorio agricolo del Comune di Riano, di 16 “borghi rurali”
composti da circa 100 villini, alcuni dei quali “a schiera”.In
detto territorio sono state rilasciate concessioni edilizie per edifici
riuniti in borghetti agricoli ed atelier per artisti che dovevano
essere connessi allo sviluppo agricolo dell’agro romano, mentre
risultano realizzati fabbricati residenziali in nessun modo
ricollegabili all’attività agricola ed allo sviluppo agricolo anzidetto.In particolare:
Il cd. “Borghetto n. 7” insiste su un’area ubicata in via Codette, n. 2 del Comune di Riano:
–
per esso risulta rilasciata concessione edilizia a Risoluti Giuseppina
autorizzante la costruzione, su una superficie di 10 ettari, di n. 11
villini, per un totale di 2.997,64 metri cubi;– il rilascio di
tale concessione si connette ad un atto d’obbligo, con il quale la
concessionaria si era impegnata a vincolare l’intero fondo di sua
proprietà a servizio delle costruzioni progettate;– con rogito
del 9.2.2004 è stata trasferita alla s.r.l. “Green Box” (amministratore
unico P. A.) solo una parte di terreno, pari a mq. 20.000, ove è stata
concentrata l’edificazione, e detta società ha venduto le unità
immobiliari realizzate a soggetti non addetti all’agricoltura.A
servizio dei manufatti costruiti sono stati realizzati: una rete
stradale di collegamento con la vicina SS Flaminia, un impianto di
depurazione delle acque reflue ed una rete di illuminazione.Il cd. “Borghetto n. 11” insiste su un’area ubicata in via Pian dell’Olmo, n. 39 del Comune di Riano:
–
per esso risulta rilasciata a R. A. e M. C. (rispettivamente pensionata
ed insegnante) concessione edilizia n. 45 del 20.4.2001 autorizzante la
costruzione, su una superficie di mq. 201.880, di 11 villini più una
tettoia, per un totale di 6.336 metri cubi;– il rilascio di
tale concessione è stato preceduto da atto d’obbligo, reso per atto
notarile del 18.4.2001, con il quale le concessionarie si impegnavano a
vincolare l’intero fondo di loro proprietà a servizio delle costruzioni
progettate;– con rogito del 27.11.2002 è stata trasferita alla
s.r.l. immobiliare “Il Borgo” (amministratore unico Celesti Anastasio)
solo una parte di terreno, pari a mq. 57.270; altra parte è stata
trasferita a C. E. con atto notarile del 13.12.2002.La s.r.l.
“Il Borgo” ha venduto singole unità edificate a soggetti non addetti
all’agricoltura. Gli edifici medesimi risultano completamente ultimati
ed è stata realizzata una strada asfaltata al loro servizio.Il
cd. “Borghetto n. 14 (borgo agricolo e villaggio per artisti)” insiste
su un’area ubicata in via Stazzo Quadro, n. 10 del Comune di Riano:– il terreno era originariamente di proprietà di C. L. e S. P. A.;
–
per esso risulta rilasciata alla s.r.l. “Immobiliare G.MR.” (legalmente
rappresentata, fino al 19.3.2002, da N. M. e, successivamente da M. G.)
concessione edilizia n. 32 del 6.4.2001 autorizzante la costruzione, su
una superficie di mq. 253.073, di n. 4 corpi di fabbrica, per un totale
di 9 287,58 metri cubi, con n. 22 ville a schiera ed edificio
commerciale di prodotti coltivati e di supporto allevamento cavalli.–
Sono state costruite n. 9 ville a schiera e risultano accatastati, con
atto del 16.7.2007, n. 9 unità abitative di categoria A7 ed i relativi
locali C6.La s.r.l. “Immobiliare G.MR.”, con nota 5.5.2003
dell’amministratore M. ha rinunciato all’esecuzione di una parte del
progetto approvato.– il rilascio della concessione è stato
preceduto da atto d’obbligo, con il quale i concessionari si
impegnavano a vincolare l’intero fondo di loro proprietà a servizio
delle costruzioni progettate;– sono state costruite n. 9 ville
a schiera e risultano accatastati, con atto del 16.7.2007, n. 9 unità
abitative di categoria A7 ed i relativi locali C6: immobili venduti a
soggetti non addetti all’agricoltura.Gli edifici, alla data
dell’11.2.2008, risultavano “in fase di rifinitura” ed erano ancora da
realizzare tutte le opere inerenti la viabilità, le strade interne di
smistamento, le recinzioni di divisione dei vari fabbricati e gli
impianti di illuminazione esterna.Nei borghetti dianzi
descritti gli edifici sono stati concepiti per essere adibiti a villini
residenziali, essi sono stati localizzati in ambito ben delineato con
accesso in comune e strade interne che disimpegnano in modo autonomo le
singole unità immobiliari. Nella tipologia edilizia non vi è alcuno
spazio destinato ad attività agricola, che possa far presupporre un
qualsiasi rapporto di chi vi abita con detta attività legittimante
l’edificazione medesima.Sebbene siano stati stipulati atti
d’obbligo di vincolo dei terreni, le vendite effettuate riguardano le
singole unità immobiliari ed una limitata area rispettivamente
circostante, con scorporo di fatto di tali ridotte estensioni
territoriali compravendute da quelle necessarie per legittimare
l’edificazione della residenza agricola, senza il rispetto del lotto
minimo e del rapporto plano-volumetrico connesso all’indice fondiario.Alla
stregua degli elementi di fatto dianzi compendiati, il G.I.P. ed il
Tribunale del riesame hanno ritenuto che le costruzioni poste in
essere, sebbene autorizzate come borghi agricoli previsti dal P.R.G. –
mancando ogni presupposto diretto, connesso e dipendente dal processo
di coltivazione agricola dei terreni e viceversa integrando un
complesso residenziale completamente avulso da tale processo – hanno
conferito un assetto urbanistico differente alle porzioni di territorio
prese in esame, in violazione agli strumenti pianificatori,
concretizzando sostanzialmente un cambio della destinazione di zona,
definitivamente trasformata da agricola in residenziale.2.2 Per quanto riguarda, poi, le singole responsabilità, il Tribunale per il riesame ha osservato che:
– era nota e chiara a venditori ed acquirenti la destinazione agricola dell’area interessata dagli interventi edificatori;
–
tutti i soggetti coinvolti, anche i sub-acquirenti, avevano la
possibilità di verificare tale destinazione attraverso il semplice
esame del certificato di destinazione urbanistica ed è impensabile che,
anche chi sia completamente ignorante in materia, possa ritenersi in
buona fede allorquando vada ad acquistare una villa o un appartamento
in un’area classificata come destinata ad usi prevalentemente agricoli.
Nel caso in esame, peraltro, la stessa individuazione degli
insediamenti come “borghetti agricoli” e “atelier d’artista” avrebbe
dovuto indurre sospetti negli acquirenti.3. Gli elementi del reato di lottizzazione abusiva e la loro individuazione nei fatti in esame
Ai
fini della configurazione del “fumus” della ipotizzata fattispecie
contravvenzionale di cui all’art. 44, lett. c), del DPR. n. 380/2001,
si rendono opportune alcune puntualizzazioni di carattere generale in
ordine al reato di lottizzazione abusiva.3.1 A norma dell’art. 30, 1° comma, del TU. n. 380/2001, si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio:
–
quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica
od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli
strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle
leggi statali o regionali, o senza la prescritta autorizzazione
[attività materiale];– nonché quando tale trasformazione venga
predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti
equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche
quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua
destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione
o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad
elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la
destinazione a scopo edificatorio [attività giuridica].Questo
secondo tipo di lottizzazione viene denominato “negoziale” o
“cartolare” e si fonda sulla presenza di elementi indiziari, da cui
risulti, in modo non equivoco, la destinazione a scopo edificatorio del
terreno.Tali elementi indiziari (descritti con elencazione
normativa non tassativa) non devono essere presenti tutti in concorso
fra di loro, in quanto è sufficiente anche la presenza di uno solo di
essi, rilevante ed idoneo a fare configurare, con margini di plausibile
veridicità, la volontà di procedere a lottizzazione (in questo senso è
orientata anche la giurisprudenza amministrativa: vedi C. Stato, Sez.
V, 14.5.2004, n. 3136).I due tipi di attività illecite dianzi
descritti (lottizzazione materiale e negoziale) possono essere
espletati, ad evidenza, anche congiuntamente (cd. lottizzazione abusiva
mista), in un intreccio di atti materiali e giuridici comunque
finalizzati a realizzare una trasformazione urbanistica e/o edilizia
dei terreni non autorizzata oppure in violazione della pianificazione
vigente.3.2 Secondo la giurisprudenza ormai consolidata di
questa Corte Suprema, il reato di lottizzazione abusiva può
configurarsi [vedi Cass., Sez. Unite, 28.11.2001, Salvini ed altri,
nonché Sez. III: 13.6.2008, n. 24096, Desimine ed altri; 11.5.2005,
Stiffi ed altri; 1.7.2004, Lamedica ed altri; 29.1.2001, Matarrese ed
altri; 30.12.1996, n. 11249, ric. P.M. in proc. Urtis]:– in
presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova
definizione dell’assetto preesistente in zona non urbanizzata o non
sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le
previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione
di un piano esecutivo e la stipula di una convenzione lottizzatoria
adeguata alle caratteristiche dell’intervento di nuova realizzazione;–
ma anche allorquando detto intervento non potrebbe in nessun caso
essere realizzato poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in
contrasto con la destinazione programmata del territorio comunale.Nei
casi in cui si agisca sul territorio con un’attività finalizzata ed
idonea a snaturarne la programmazione deve ritenersi inconferente ogni
riferimento all’incidenza del nuovo insediamento sullo stato di
urbanizzazione esistente.3.3 Viene eccepito, al riguardo, che –
alla stregua della formulazione letterale dell’art. 30, 1° comma, del
TU. n. 380/2001 e tenuto conto del principio di tassatività delle
previsioni penali – il reato di lottizzazione abusiva sarebbe
configurabile esclusivamente nei confronti del venditore e degli
acquirenti di “terreni illegittimamente frazionati” e non invece di
“edifici già costruiti”.Tale eccezione, però, può essere
superata allorquando si consideri che l’alienazione frazionata dei
singoli immobili deve ritenersi, per il principio dell’accessione,
intimamente connessa al frazionamento in lotti (o comunque allo
scorporo sia pure soltanto materiale) del terreno sui quali quegli
immobili sono stati edificati.La norma incriminatrice in esame,
facendo testuale riferimento al “frazionamento e la vendita, o atti
equivalenti, del terreno in lotti” ha inteso (nell’ottica della
necessaria idoneità degli atti a mettere in pericolo la pianificazione
territoriale e della individuazione della loro direzione inequivoca ed
oggettiva a conseguire lo scopo illecito) anticipare la tutela penale
dell’interesse protetto da una fattispecie criminosa che, per la sua
natura contravvenzionale, non prevede la rilevanza penale del tentativo.La
punibilità, dunque, risulta costruita alla stregua del modello legale
previsto dall’ordinamento in via generale nell’art. 56, 1° comma, cod.
pen., sia pure soltanto per i delitti, e sarebbe incongruente affermare
che la legge penale punisca esclusivamente quello che è sostanzialmente
un tentativo e non intenda sanzionare, invece, una vendita di edifici
già realizzati, maggiormente destinata ad incidere significativamente
sul territorio.Il legislatore richiede, per la punibilità, un
minus ed a maggior ragione bisogna ricomprendere nella previsione
legislativa anche l’ipotesi di maggiore gravità non espressamente
descritta come autonoma figura criminosa.Tale interpretazione
non può essere considerata come elusiva del divieto di “analogia in
malam partem” in materia penale (art. 14 delle preleggi) sull’assunto
che essa condurrebbe ad una non consentita estensione della norma
penale oltre i casi espressamente previsti, trattandosi invece di una
interpretazione logicamente estensiva del tutto coerente con lo scopo
di tutela della fattispecie incriminatrice, la quale risulterebbe – al
contrario – irrazionalmente limitata da una ermeneutica basata sul mero
dato letterale.Nella analogia il caso da decidere non è
disciplinato dalla norma e non può in alcun modo essere in essa
compreso, anche se questa viene dilatata dall’interprete fino al limite
della sua massima espansione, sicché a quel caso viene data la
regolamentazione stabilita per un’ipotesi diversa seppure simile.Nell’interpretazione
estensiva, invece, il caso esaminato rientra nella ipotesi astratta
configurata dal legislatore, sia pure dando alle parole della legge un
significato più ampio di quello che risulta apparentemente da esse.E,
secondo autorevole dottrina, “ogni disposizione di legge va
interpretata in modo che consegua lo scopo per cui fu posta e non vada
al di là di esso. Se una spiegazione non consente alla norma di
raggiungere quello scopo, deve essere respinta, come va respinta quella
che conduce a conseguenze che trascendono la finalità della norma”.Questo
tipo di interpretazione è ammesso in relazione a tutte le disposizioni
di legge, comprese quelle penali, perché non amplia il contenuto
effettivo della norma, ma impedisce che fattispecie ad esse soggette si
sottraggano alla sua disciplina per l’ingiustificata mancanza di
adeguate espressioni letterali.Le Sezioni Unite del resto – già
con la sentenza 28.11.1981, ric. Giulini – ebbero ad affermare che, per
la configurabilità del reato all’epoca previsto dall’art. 17, lettera
b), ultima ipotesi, della legge n. 10/1977, la nozione di
“lottizzazione dei terreni a scopo edilizio” [allora posta dall’art. 28
della legge urbanistica n. 1150/1942, modificato dalla legge n.
765/1967] non comprendeva soltanto i casi di frazionamento di area, ma
(alla stregua della ratio legis e degli interessi tutelati) doveva
“essere estesa sino a comprendere qualsiasi forma di insediamento
urbano, non autorizzabile o non legittimamente autorizzato, realizzato
attraverso l’utilizzazione edilizia del territorio”: ciò perché si
determina in ogni caso il pregiudizio delle autonome scelte
programmatiche sull’uso del territorio, riservate dalla legge alla
competenza del Comune, nonché il condizionamento della pubblica
Amministrazione ad eseguire le correlate opere di urbanizzazione
primaria e secondaria ed a sopportare i relativi costi.Solo
un’interpretazione siffatta, già secondo la pronuncia in oggetto,
“sembra poter comprendere le varie e diverse accezioni del termine
lottizzazione, nei momenti e negli aspetti eterogenei e multiformi,
effettivi o simulati, nei quali essa ha dimostrato, nel tempo, di
potersi concretizzare e sviluppare”.Nello specifico, inoltre,
C. E. risulta avere acquistato – senza possedere la qualità di addetta
all’agricoltura – un terreno su cui l’edificazione era stata soltanto
“iniziata”, per una superficie inferiore al prescritto lotto minimo, e
poi avere provveduto direttamente al completamento del fabbricato.3.4
Nella vicenda che ci occupa deve ritenersi correttamente configurato
dal Tribunale per il riesame il sostanziale conferimento di un diverso
assetto ad una porzione di territorio comunale, con “significativa
trasformazione” della organizzazione complessiva di detto territorio
messa a punto dagli strumenti urbanistici anche attraverso il
coordinamento delle varie destinazioni d’uso.In concreto:
-in
area agricola non urbanizzata, in cui è espressamente vietata la
lottizzazione di terreni a scopo edificatorio, sono stati creati nuclei
residenziali, svincolati da qualsiasi attività comunque connessa con
l’agricoltura;– risulta violato il cd. “rapporto di copertura”,
cioè il rapporto tra l’area coperta dalla costruzione e l’area del
lotto di pertinenza, perché – pure essendo stati stipulati, ai fini del
rilascio delle concessioni, atti d’obbligo che vincolavano “al servizio
delle costruzioni” i terreni la cui esistenza e la cui estensione
costituivano condizioni imprescindibili per l’edificazione delle
residenze – si era proceduto invece alla vendita dei singoli manufatti
su lotti appena eccedenti le loro aree di sedime, ulteriormente
parcellizzando il frazionamento del territorio;– i singoli
manufatti non sono stati trasferiti insieme all’estensione territoriale
oggetto del diritto legittimante l’edificazione di ciascuno di essi.4. La disponibilità dell’area edificata ed il rapporto tra area disponibile e volume edificabile
Presupposto
indefettibile del rilascio della concessione edilizia (oggi permesso di
costruire) è che il destinatario del provvedimento amministrativo abbia
titolo, in base alla legge, alla trasformazione urbanistica dell’area:
si trovi, cioè, in un rapporto di disponibilità qualificata con
l’immobile, da intendersi quale titolarità di una posizione soggettiva
che civilisticamente costituisca titolo per esercitare un’attività
costruttiva sul fondo. Il provvedimento non si riferisce in via
immediata alla situazione giuridica del destinatario, bensì a quella
del bene immobile, definita dalle prescrizioni urbanistiche;
costituisce cioè un atto intuitu rei, come dimostra la previsione
espressa della sua trasferibilità insieme al diritto che costituisce
presupposto dell’edificazione [art. 4, 6° comma, della legge n. 10/1977
e art. 11, 2° comma, del DPR. n. 380/2001]. Con tale previsione il
legislatore ha voluto appunto fissare il carattere di inerenza del
provvedimento concessorio al bene immobile cui si riferisce, piuttosto
che alla persona alla quale è stato rilasciato.Il titolo
concessorio può essere trasferito “insieme all’immobile” e dunque
soltanto a quei soggetti che avrebbero titolo anche a richiederlo
autonomamente, versando, nei confronti dell’immobile o del suo
proprietario, in una delle condizioni già previste dall’art. 4 della
legge n. 10/1977 ed oggi dall’art. 11 del D.P.R. n. 380/2001.Parametro-cardine
di riferimento per la richiesta del permesso di costruire (già
concessione edilizia) è il rapporto tra area disponibile e volume sulla
stessa edificabile e si correla all’indice di fabbricabilità fondiario,
che definisce il rapporto massimo consentito tra metri cubi edificabili
e metri quadrati dell’area o lotto su cui va ad insistere la
costruzione. Qualsiasi costruzione, infatti, anche se eseguita senza il
prescritto titolo abilitativo, impegna la superficie che – in base allo
specifico indice di fabbricabilità applicabile secondo le previsioni
degli strumenti urbanistici vigenti – è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata.Nella fattispecie in esame:
Il
P.R.G. prevedeva – per l’edificazione in zona agricola – la necessaria
sussistenza di un lotto minimo e su tale lotto, poi, un indice di
fabbricabilità fondiaria di 0,03 mc/mq. per le residenze.Per
l’evidenziato principio della inerenza del provvedimento concessorio al
bene immobile cui si riferisce, ogni fabbricato residenziale si doveva
connettere ad un fondo ben individuato e poi, per “impedire il
proliferare di piccole costruzioni sparse in zone agricole”, i
fabbricati consentiti potevano essere riuniti in un borghetto agricolo
a specifiche condizioni.Le concessioni edilizie, invece, sono
state direttamente rilasciate per un “borghetto agricolo”,
indipendentemente da qualsiasi valutazione dell’opportunità di
accorpamento delle residenze dei vari proprietari di una pluralità di
fondi e, quanto al rapporto di disponibilità qualificata con un
appezzamento di terreno compiutamente determinato, si è fatto
riferimento ad un “atto unilaterale d’obbligo” con cui veniva
“vincolata” una vasta superficie fondiaria “al servizio” dell’intero
borghetto.In contrasto con la qualificazione “reale” del
provvedimento concessorio, il titolo per esercitare l’attività
costruttiva è stato così ricondotto ad un rapporto meramente
obbligatorio, nascente da un atto che: a) non connette direttamente il
suolo all’edificazione (in quella connessione che costituisce, invece,
presupposto indefettibile per la realizzazione di essa) ma si limita a
porlo – con espressione volitiva estremamente generica – “al servizio”
di essa; b) non assoggetta espressamente il suolo medesimo al vincolo
di non edificare su di esso costruzioni computabili agli effetti della
volumetria ammessa dal piano.Successivamente, quindi, ai
singoli acquirenti di ciascun “villino ad uso abitazione” è stata
venduta soltanto una determinata “porzione del complesso immobiliare”,
completamente avulsa dalla specificazione di ogni e qualsiasi rapporto
con il terreno necessario per l’edificazione di quel fabbricato.Sono
state ulteriormente violate, infine, le prescrizioni del PTP, secondo
le quali nelle zone agricole, individuate come tali per le preminenti
finalità di tutela ambientale peculiari a tale tipo di piano:–
è vietata ogni attività comportante trasformazione dell’uso del suolo
diverso dalla sua naturale vocazione per l’utilizzazione agricola ed
ogni intervento deve essere indirizzato alla conservazione dei valori
tipici e tradizionali propri dell’agricoltura ed alla difesa
dell’esercizio dell’impresa agricola considerato come strumento
attuativo per la conservazione dei beni ambientali;–
l’edificazione consentita deve essere strettamente correlata alla
utilizzazione agricola dei suoli ed allo sviluppo delle imprese
agricole.5. La individuazione delle “zone agricole” e le caratteristiche dell’edificazione residenziale in esse consentita
La
concessione edilizia (ed oggi il permesso di costruire), come già si è
accennato, non è personale, nel senso che non è data con una
valutazione delle qualità soggettive del concessionario ovvero delle
possibilità e capacità imprenditoriale o patrimoniale di esso (queste
potranno essere rilevanti per determinare, invece, le condizioni del
provvedimento concessorio, il regime di onerosità e gli elementi
accidentali dello stesso).Nella specie l’edificazione è
avvenuta in zona E3 ad utilizzazione agricola, dove il PRG ammette le
costruzioni di fabbricati residenziali per addetti all’agricoltura.Si
pone quindi il problema dell’interpretazione di tale prescrizione
limitativa e della valutazione della sua incidenza sulla legittimità
dell’edificazione realizzata in concreto.Giova ricordare, al
riguardo, che il D.M. n. 1444/1968 definisce come zone E (zone
agricole) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse
quelle in cui – fermo restando il carattere agricolo delle stesse – il
frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerarsi
come zone C o zone di espansione. In conseguenza di ciò e tenuto conto
della ridotta utilizzazione abitativa di tali zone, l’art. 4 dello
stesso D.M. prevede la riserva di soli mq. 6 per abitante per la
realizzazione di strutture per istruzione (asili nido, scuole materne e
scuole d’obbligo) in ragione di mq. 4,50 per abitante e di mq. 2 per
abitante per aree da adibirsi ad attrezzature di interesse comune di
vario genere.Quanto alla funzione delle zone agricole
nell’ambito del contesto pianificatorio, la giurisprudenza
amministrativa ha riconosciuto ad esse anche un valore ambientale,
considerando che la loro individuazione può essere utilizzata pure a
salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente “e non presuppone
necessariamente che l’area stessa venga utilizzata per colture tipiche
o sia già in possesso di tutte le caratteristiche previste dalla legge
per tale utilizzazione” [vedi, tra le decisioni più recenti, C. Stato,
Sez. IV: 14.10.2005, n. 5713; 31.1.2005, n. 259; 22.6.2004, n. 4466;
10.12.2003, n. 8146].L’individuazione delle “zone agricole”,
nel territorio del Comune di Riano interessato dall’edificazione in
esame, risulta effettuata – come si è detto – da una “variante di
aggiornamento del PRG per la salvaguardia del territorio”, in
attuazione di un piano territoriale paesistico che [conformemente al
valore affermato dall’art. 9 della Costituzione] correla tale tipo di
zonizzazione “alla conservazione dei valori tipici e tradizionali
propri dell’agricoltura ed alla difesa dell’esercizio dell’impresa
agricola considerato come strumento attivo per la conservazione dei
beni ambientali”.In tali prospettive è stato dunque previsto un
limitato sfruttamento abitativo di dette zone, prescrivendo la
necessità di un lotto minimo e riservando anche l’edificazione
residenziale a coloro che si trovino in relazione qualificata con il
fondo.Si delinea così un sistema ambientale complessivo ed
integrato nel quale il suolo e le attività agricole rivestono un ruolo
primario e la salvaguardia dell’impresa agricola (l’esercizio della
quale è considerato dal piano territoriale paesistico come strumento
attivo per la conservazione dei beni ambientali) costituisce un
presupposto essenziale in quanto, attraverso questa, si preservano sia
le risorse naturali sia gli aspetti organizzativi e sociali frutto di
una cultura prodotta dai complessi e particolari rapporti che le
comunità rurali instaurano con il loro territorio.L’obiettivo è
quello di assicurare la permanenza degli addetti all’agricoltura al
presidio delle aree rurali e di salvaguardare l’integrità dell’azienda
agricola e del territorio rurale: in quest’ottica ben può affermarsi
che la residenza si pone come un accessorio del fondo.Tutto ciò
non appare inficiato da profili di illegittimità, allorché si consideri
che la destinazione a zona agricola costituisce espressione del potere
conformativo del diritto di proprietà e non determina disparità di
trattamento, in quanto la valutazione sulle possibilità di edificazione
non si ricollega ad una distinzione tra cittadini, ma solo alla
particolare destinazione dei beni [vedi Corte Cost., 23.6.1988, n. 709].Detta
destinazione non può restringersi, ovviamente, alla sola coltivazione
del fondo, ma deve ritenersi estesa alle attività con questa
compatibili e/o integrative, ed il criterio di compatibilità va
individuato nella mancanza di contrasto tra l’opera e la destinazione
dell’area, purché ciò non comporti l’ampliamento degli insediamenti
abitativi, dovendosi comunque evitare l’ulteriore espansione abitativa
residenziale ritenuta pregiudizievole all’assetto complessivo del
territorio [vedi C. Stato, Sez. IV, 10.2.2000, n. 721].Quello
che manca però, nella specie, è proprio l’individuazione di quei
“fondi” nei quali gli abitanti di nuovo insediamento possano
rispettivamente esercitare una qualsiasi attività agricola o ad essa
connessa e ciò compromette le perseguite esigenze di contenimento
dell’espansione dell’aggregato urbano e di mantenimento di un
equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi, anche ai fini
di tutela ambientale.Diventa superflua, conseguentemente, ogni
discettazione circa la delimitazione interpretativa della categoria
degli “addetti all’agricoltura”, a fronte di una situazione di fatto
che oggettivamente vanifica la valenza conservativa dei valori
naturalistici attribuita alla zona agricola.Il ricorrente M. ha
prospettato di essere “agricoltore de facto et de iure”, egli
coltiverebbe, infatti, tutto il fondo assoggettato a sequestro
(asseritamente per oltre 23 ettari), effettuando in esso colture di
viti, ulivi ed alberi da frutta, attività di vinificazione e produzione
di formaggi, allevamenti di bovini e cavalli.Tutto ciò, però,
non rileva ai fini della configurazione del fumus dei reati contestati,
perché il terreno sequestrato non si appartiene al M. ma alla s.r.l.
“Immobiliare G.MR.” (da quegli legalmente rappresentata a fare data dal
19.3.2002), che non è impresa agricola collettiva; è questa società
immobiliare che ha ottenuto la concessione edilizia nel 2001;
l’indagato poi, quale amministratore di detta società, ha concesso in
fitto a se stesso quale persona fisica l’azienda societaria nel
dicembre del 2003 e successivamente ha concesso sempre a se stesso il
comodato gratuito del fondo e degli annessi fabbricati.Non vi
è, allo stato – pur dopo gli espedienti giuridici dianzi descritti – un
fondo di 23 ettari su cui insistono (con il rapporto piano-volumetrico
di 0,03 mc./mq.) le abitazioni di addetti all’agricoltura nell’azienda
agricola condotta dal M., in quanto gran parte del fondo medesimo si
correla al momento genetico delle costruzioni di altri e diversi
proprietari e non può dissociarsi da esse. Per alcune di dette
costruzioni, inoltre, l’indice di fabbricabilità deve ritenersi
ricollegato al diverso rapporto piano-volumetrico di 0,10 mc./mq. [in
relazione a quali componenti del fondo?] previsto per l’ubicazione di
atelier per artisti con relativo alloggio.6.1 possibili soggetti attivi nel reato di lottizzazione abusiva
Il
reato di lottizzazione abusiva – secondo concorde interpretazione
giurisprudenziale nella molteplicità di forme che esso può assumere in
concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i
quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel
reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte
anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purché
ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione
dell’illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi, ovvero intervenendo in
fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi
sia alcuna necessità di un accordo preventivo.La lottizzazione
abusiva negoziale – in particolare – ha carattere generalmente
plurisoggettivo, poiché in essa normalmente confluiscono condotte
convergenti verso un’operazione unitaria caratterizzata dal nesso
causale che lega i comportamenti dei vari partecipi diretti a
condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale.La
condotta dell’acquirente, in particolare, non configura un evento
imprevisto ed imprevedibile per il venditore, perché anzi inserisce un
determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno
criminoso di quegli [vedi Cass., Sez. Unite, 27.3.1992, n. 4708, ric.
Fogliani] e, per la cooperazione dell’acquirente nel reato, non sono
necessari un previo concerto o un’azione concordata con il venditore,
essendo sufficiente, al contrario, una semplice adesione al disegno
criminoso da quegli concepito, posta in essere anche attraverso la
violazione (deliberatamente o per trascuratezza) di specifici doveri di
informazione e conoscenza che costituiscono diretta esplicazione dei
doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione
[vedi, sul punto, le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale
nella sentenza n. 364/1988, ove viene evidenziato che la Costituzione
richiede dai singoli soggetti la massima costante tensione ai fini del
rispetto degli interessi dell’altrui persona umana ed è per la
violazione di questo impegno di solidarietà sociale che la stessa
Costituzione chiama a rispondere penalmente anche chi lede tali
interessi non conoscendone positivamente la tutela giuridica].L’acquirente,
dunque, non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità,
“terzo estraneo” al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli
tuttavia, benché compartecipe al medesimo accadimento materiale,
dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè –
pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell’adempimento degli
anzidetti doveri di informazione e conoscenza – di partecipare ad
un’operazione di illecita lottizzazione.Quando, invece,
l’acquirente sia consapevole dell’abusività dell’intervento – o avrebbe
potuto esserlo spiegando la normale diligenza – la sua condotta si lega
con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le
rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e
determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile,
diretta in modo convergente al conseguimento del risultato
lottizzatorio.Le posizioni, dunque, sono separabili se risulti
provata la malafede dei venditori, che, traendo in inganno gli
acquirenti, li convincono della legittimità delle operazioni [vedi
Cass., Sez. III: 22.5.1990, Oranges e 26.1.1998, Cusimano].Neppure
l’acquisto del sub-acquirente può essere considerato legittimo con
valutazione aprioristica limitata alla sussistenza di detta sola
qualità, allorché si consideri che l’utilizzazione delle modalità
dell’acquisto successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo,
surrettiziamente finalizzato a vanificare le disposizioni legislative
in materia di lottizzazione negoziale [vedi Cass., Sez. III, 8.11.2000,
Petracchi].I principi dianzi enunciati non contrastano, nella
loro sostanza, con i postulati della sentenza n. 42741/08 di questa III
Sezione (ric. Silvioli ed altri, depositata il 17.11.2008), le cui
statuizioni restitutorie si connettono ad una situazione di fatto in
cui il tribunale del riesame aveva espressamente affermato (sia pure
con valutazioni ovviamente limitate alla propria cognizione
incidentale) che gli acquirenti degli immobili compendio della
lottizzazione abusiva valutata in quella sede erano “soggetti in buona
fede estranei alla commissione del reato” e che ciò spiegava il mancato
esercizio dell’azione penale nei loro confronti.Quella
sentenza, dunque, si è conformata alle peculiarità del caso ma non ha
inteso affatto affermare una assiomatica e generalizzata posizione di
buona fede dei terzi acquirenti degli immobili in ogni vicenda di
lottizzazione abusiva.7. L’elemento soggettivo della contravvenzione di lottizzazione abusiva.
Le
Sezioni Unite di questa Corte Suprema – con la sentenza del 3.2.1990,
ric. Cancilleri – avevano affermato che il reato di lottizzazione
abusiva si configura come una contravvenzione di natura esclusivamente
dolosa, “per la cui sussistenza è necessario che l’evento sia previsto
e voluto dal reo, quale conseguenza della propria condotta cosciente e
volontaria diretta a limitare e condizionare, con ostacoli di fatto o
di diritto, la riserva pubblica di programmazione territoriale”.Tale
interpretazione, però, è stata superata da plurime successive sentenze
di questa III Sezione con argomentazioni alle quali (per economia di
esposizione) si rinvia e che il Collegio pienamente condivide.In
dette decisioni è stato in conclusione rilevato che, dopo che le
Sezioni Unite – con la sentenza 28.11.2001, Salvini – hanno
riconosciuto (in perfetta aderenza, del resto, al testuale dettato
normativo) che il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione
alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione,
sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti
urbanistici, risulta ad evidenza contraddittorio escludere (alla stessa
stregua di quanto pacificamente ritenuto per la contravvenzione di
esecuzione di lavori in assenza o in totale difformità dalla
concessione edilizia) che la contravvenzione medesima, sia negoziale
sia materiale, possa essere commessa per colpa [vedi Cass., Sez. III:
13.10.2004, n. 39916, Lamedica ed altri; 11.5.2005, Stiffi ed altri;
10.1.2008, Zortea; 5.3.2008, n. 9982, Quattrone; 26.6.2008, Belloi ed
altri].Deve ribadirsi, pertanto, che non è ravvisabile alcuna
eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni
dall’art. 42, 4° comma, cod. pen., dovendo ovviamente valutarsi i casi
di errore scusabile sulle norme integratrici del precetto penale e
quelli in cui possa trovare applicazione l’art. 5 cod. pen. secondo
l’interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 della Corte
Costituzionale.Il venditore, come si è detto, non può
predisporre l’alienazione degli immobili in una situazione produttrice
di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della
zona in cui gli stessi sono situati ed i soggetti che acquistano devono
essere cauti e diligenti nell’acquisire conoscenza delle previsioni
urbanistiche e pianificatorie di zona: “Il compratore che omette di
acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell’acquisto
si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che
fornisce, comunque, un determinante contributo causale all’attività
illecita del venditore” [così testualmente Cass., Sez. III, 26.6.2008,
Belloi ed altri].Va ricordato inoltre, al riguardo, che,
qualora si ritenesse che il piano regolatore generale abbia natura di
strumento normativo ovvero di atto amministrativo generale
sostanzialmente normativo, si determinerebbe una presunzione legale di
conoscenza ed il dovere legale di conoscenza esclude, per definizione,
la possibilità di invocare l’ignoranza incolpevole.Nel caso in questione – comunque – il Tribunale del riesame non ha ravvisato (allo stato) la buona fede degli acquirenti.
8. Le finalità del disposto sequestro
8.1
In questo procedimento il Tribunale – a fronte di una misura di cautela
reale adottata dal G.I.P. in relazione ad entrambe le ipotesi di cui al
primo ed al secondo comma dell’art. 321 c.p.p. [rispettivamente: a)
pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato,
nonché di agevolazione della commissione di altri reati; b) possibilità
di confisca delle unità immobiliari ai sensi dell’art. 44, 2° comma,
del D.P.R. n. 180/2001 e divieto di restituzione delle cose sequestrate
destinate alla confisca, posto dal comma 7 dell’art. 324 c.p.p.] – ha
confermato la sussistenza di entrambe le esigenze preventive.8.2 Il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato (art. 321, 1° comma, c.p.p.)
La
vicenda che ci occupa appare inerire ad un imponente fenomeno
speculativo che ha un forte impatto sul territorio, sotto il profilo
dell’assetto urbanistico di esso, in quanto pregiudica le autonome
scelte della programmazione edificatoria e condiziona la pubblica
Amministrazione nell’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria
e secondaria.In raffronto agli anzidetti beni tutelati e
suscettibili di compromissione deve essere valutata – conseguentemente
– la situazione di pericolo che l’adozione del sequestro preventivo è
finalizzata ad impedire.Secondo la giurisprudenza assolutamente
prevalente di questa Corte Suprema, oggetto del sequestro preventivo di
cui al primo comma dell’art. 321 c.p.p. può essere qualsiasi bene – a
chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato –
purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove
lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di
aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di
agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti
[vedi Cass.: n. 37033/2006, n. 24685/2005, n. 38728/2004, n. 1246/2003,
n. 29797/2001, n. 4496/1999, n. 1565/1997, n. 156/1993, n. 2296/1992].Nella
specie – tenuto conto dei criteri direttivi generali enunciati dalle
Sezioni Unite di questa Corte Suprema con la sentenza 29.1.2003, n. 2,
Innocenti – risulta adeguatamente e razionalmente evidenziata la
concretezza ed attualità della compromissione dei beni giuridici
protetti, poiché il godimento e la disponibilità attuale degli immobili
implica una effettiva ulteriore lesione degli interessi tutelati in
quanto:– appare evidente l’aggravamento del cd. carico
urbanistico (sotto i profili del necessario adeguamento
dell’urbanizzazione primaria e secondaria), costituendo ogni singolo
villino parte di un complesso edilizio residenziale realizzato ex novo,
che va integrato con l’aggregato urbano preesistente;– a fronte
di un insediamento non più agricolo ma residenziale, si impone il
rispetto dei diversi e maggiori standards correlati alle residenze
dall’art. 3 del DM. n. 1444/1968 e la esigenza di reperimento delle
relative aree da parte dell’Amministrazione comunale;– si pone,
per il Comune, la necessità di provvedere ad una nuova complessiva
organizzazione del proprio territorio (da attuarsi, in sede di
ripianificazione, con il coordinamento delle varie destinazioni d’uso,
in tutte le loro possibili relazioni, e con l’assegnazione ad ogni
singola destinazione d’uso di determinate qualità e quantità di
servizi). La persistente disponibilità del bene comporta, dunque,
perduranti effetti lesivi dell’equilibrio urbanistico ed ambientale e
non costituisce “un elemento neutro sotto il profilo dell’offensività”
nel senso illustrato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12878/2003.In
relazione alle misure di cautela reale deve ritenersi preclusa ogni
valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla
gravità degli stessi [vedi Cass., Sez. Unite, 25.3.1993, n. 4] e la
eventuale carenza dell’elemento soggettivo del reato può essere
valutata soltanto allorquando emerga ictu oculi in modo evidente e si
riverberi sulla componente materiale, incidendo sulla configurabilità
stessa del reato.Alla stregua di detto principio il Tribunale –
tenuto conto dei limiti della cognizione ad esso demandata nei
procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti
di sequestro [vedi Cass., Sez. Unite, 29.1.1997, ric. P.M. in proc.
Bassi] – non era tenuto a verificare la sussistenza di situazioni di
“buona fede” che non risultassero palesi.Nella specie comunque,
come già si è evidenziato, la pretesa buona fede dei ricorrenti non è
stata affermata e, dalle prospettazioni difensive, non è immediatamente
deducibile una loro condizione di ignoranza incolpevole circa la
corretta destinazione urbanistica degli immobili da loro acquistati.8.3 La finalizzazione alla confisca (art. 321, 2° comma, c.p.p.) e la connessa questione di costituzionalità
Quanto, invece, al presupposto della confiscabilità, di cui al secondo comma dell’art. 321 c.p.p., il Tribunale:
–
ha fatto riferimento all’art. 44, 2° comma del T.U. n. 380/2001, ove
(con previsione già posta dall’art. 19 della legge n. 47/1985) viene
previsto che “La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che
vi è stata lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni
abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per
effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e
gratuitamente al patrimonio del Comune nel cui territorio è avvenuta la
lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata
trascrizione nei registri immobiliari”;– ha aderito poi
(ritenendo inapplicabili, nella specie, gli enunciati della sentenza n.
42741/2008, ric. Silvioli di questa III Sezione – dianzi citata) ad un
consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il
quale “la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere
abusivamente costruite sugli stessi deve essere disposta anche nei
confronti dei beni dei terzi acquirenti in buona fede ed estranei al
reato, i quali potranno fare valere i propri diritti in sede civile”
(vedi Cass., Sez. III: 4.10.2004, n. 38728; 21.3.2005, n. 10916).Tale
orientamento, però, è stato rielaborato – più recentemente – da questa
stessa Corte nella prospettiva della valutazione dei rapporti tra
l’ordinamento statuale e quelle peculiari norme internazionali
contenute nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e
del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il
20 marzo 1952, ai quali è stata data esecuzione con la legge di
ratifica 4.8.1955, n. 848.La Corte europea dei diritti
dell’uomo, infatti, nelle sentenze pronunziate rispettivamente il
30.8.2007 ed il 20.1.2009 [ricorso n. 75909/01 proposto contro l’Italia
dalla s.r.l. “Sud Fondi” ed altri] – a fronte di una sentenza nazionale
che aveva disposto la confisca pur ritenendo insussistente l’elemento
soggettivo del reato di lottizzazione abusiva – ha affermato che la
confisca già prevista dall’art. 19 della legge n. 47/1955 ed
attualmente collocata tra le “sanzioni penali” dall’art. 44, 2° comma
del T.U. sull’edilizia n. 380/2001:– “non tende alla
riparazione pecuniaria di un danno, ma mira nella sua essenza a punire
per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite
dalla legge”,– è, quindi, una “pena” ai sensi dell’art. 7 della
Convenzione e la irrogazione di tale “pena” senza che sia stata
stabilita l’esistenza di dolo o colpa dei destinatari di essa,
costituisce infrazione dello stesso art. 7, una corretta
interpretazione del quale “esige, per punire, un legame di natura
intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un
elemento responsabilità nella condotta dell’autore materiale del reato”.Al riguardo è opportuno ricordare che:
Le
nozioni di “reato” (infraction; criminal offence) di cui all’art. 7
della CEDU e di “materia penale” (matière pénale) di cui al precedente
art. 6 risultano oggetto di valutazione autonoma da parte degli organi
della Convenzione, al fine di poter prescindere (attraverso
l’utilizzazione di parametri sostanziali capaci di cogliere l’intima
essenza dell’illecito) dalle peculiarità delle legislazioni degli Stati
membri, sì da escludere una frammentazione su scala nazionale dei
termini e dei concetti utilizzati all’interno della Convenzione.L’ambito
applicativo dell’art. 7 della CEDU si estende ben al di là degli
illeciti e delle sanzioni qualificati come “penali” in base al diritto
interno, finendo per ricomprendere tutte le norme e tutte le misure
considerate “intrinsecamente penali” in base alla concezione
autonomista accolta dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo,
lasciando comunque alla discrezionalità degli Stati membri la soluzione
del problema relativo alla individuazione delle fonti penali legittime
e concentrando la propria attenzione sugli aspetti sostanziali della
legge e sulle garanzie che da essi derivano.La Corte Costituzionale, con le sentenze nn. 348 e 349 del 22.10.2007:
a)
ha affrontato la questione relativa alla posizione ed al ruolo delle
norme della CEDU ed alla loro incidenza sull’ordinamento giuridico
italiano, rilevando che dette norme, diversamente da quelle
comunitarie, non creano un ordinamento giuridico sopranazionale e sono
pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato ma non
producono effetti diretti nell’ordinamento interno. Il nuovo testo
dell’art. 117, 1° comma, della Costituzione, introdotto dalla legge
costituzionale 18-10-2001, n. 3, ha reso inconfutabile la maggiore
forza di resistenza delle norme CEDU (nell’interpretazione ad esse data
dalla Corte europea per i diritti dell’uomo) rispetto alle leggi
ordinarie successive, trattandosi di norma costituzionale che sviluppa
la sua concreta operatività solo se posta in stretto collegamento con
altre norme (cd. «fonti interposte», di rango subordinato alla
Costituzione ma intermedio tra questa e la legge ordinaria), destinate
a dare contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare in via
generale una qualità che le leggi in esso richiamate devono possedere;b)
ha attratto le stesse norme CEDU come interpretate dalla Corte europea
(quali norme – diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle
concordatarie – che, rimanendo pur sempre ad un livello
sub-costituzionale, integrano però il parametro costituzionale), in
ipotesi di asserita incompatibilità con una norma interna, nella sfera
di competenza della Corte Costituzionale, alla quale viene demandata la
verifica congiunta della compatibilità della norma interposta con la
Costituzione e della legittimità della norma legislativa ordinaria
rispetto alla stessa norma interposta;c) ha escluso che le
pronunce della Corte di Strasburgo siano incondizionatamente vincolanti
ai fini del controllo di costituzionalità delle leggi nazionali,
evidenziando che “tale controllo deve sempre ispirarsi al ragionevole
bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali,
quale imposto dall’art. 111, primo comma, Cost. e la tutela degli
interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della
Costituzione”.Nel rapporto, come sopra delineato, tra il
diritto interno e le norme pattizie poste dalla CEDU, deve rilevarsi
che la Corte europea dei diritti dell’uomo – nella citata sentenza
20.1.2009 – ha escluso la “’prevedibilità” del carattere abusivo della
lottizzazione sottoposta al suo esame sui rilievi che, alla stregua di
quanto definitivamente affermato dalla Corte di Cassazione, gli
imputati avevano commesso un errore inevitabile e scusabile
nell’interpretazione delle norme violate.La Corte di Strasburgo
ha ritenuto perciò “arbitraria” la confisca (considerata “sanzione
penale” secondo le previsioni della CEDU) applicata a soggetti che, a
fronte di una base legale non accessibile e non prevedibile, non erano
stati messi in grado di conoscere il senso e la portata della legge
penale, “a causa di un errore insormontabile che non può in alcun modo
essere imputato a colui o colei che ne è vittima”.I Giudici di
Strasburgo non hanno detto, però, che presupposto necessario per
disporre la confisca in esame sia una pronuncia di condanna del
soggetto al quale la res appartiene.Va ribadito, pertanto, il
principio di diritto [già enunciato da questa Sezione nelle sentenze:
20.5.2009, n. 21188, Casasanta ed altri; 29.4.2009, n. 17865, Quarta ed
altri; 2.10.2008, n. 37472, Belloi ed altri] secondo il quale: “Per
disporre la confisca prevista dall’art. 44, 2° comma del T.U. n.
380/2001 (e precedentemente dall’art. 19 della legge n. 47/1985), il
soggetto proprietario della res non deve essere necessariamente
“condannato”, in quanto detta sanzione ben può essere disposta
allorquando sia stata comunque accertata la sussistenza del reato di
lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi (soggettivo ed
oggettivo) anche se per una causa diversa, quale è, ad esempio,
l’intervenuto decorso della prescrizione, non si pervenga alla condanna
del suo autore ed alla inflizione della pena”.Anche la Corte
Costituzionale ha già avuto modo di affermare che fra le sentenze di
proscioglimento ve ne sono alcune che “pur non applicando una pena
comportano, in diverse forme e gradazioni, un sostanziale
riconoscimento della responsabilità dell’imputato o comunque
l’attribuzione del fatto all’imputato medesimo” [vedi le sentenze n. 85
del 2008 e n. 239 del 2009, pubblicata nelle more della redazione della
presente decisione]. Siffatto “sostanziale riconoscimento”, per quanto
privo di effetti sul piano della responsabilità penale, non è pertanto
impedito da una pronuncia di proscioglimento, conseguente a
prescrizione, ove invece l’ordinamento imponga di apprezzare tale
profilo per fini diversi dall’accertamento penale del fatto di reato.Alla stregua dell’enunciato principio va altresì specificato che:
–
presupposto essenziale ed indefettibile, per l’applicazione della
confisca in oggetto, è (secondo l’interpretazione giurisprudenziale
costante) che sia stata accertata l’effettiva esistenza di una
lottizzazione abusiva;– ulteriore condizione, però, che si
riconnette alle recenti decisioni della Corte di Strasburgo, investe
l’elemento soggettivo del reato ed è quella del necessario riscontro
quanto meno di profili di colpa (anche sotto gli aspetti
dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella
condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere.Per
quanto attiene al presente procedimento, comunque, la questione non
incide sul mantenimento di un sequestro correttamente ancorato anche
alle finalità preventive di cui al primo comma dell’art. 321 c.p.p. e
si palesa altresì irrilevante, poiché non sono state ravvisate (allo
stato) situazioni di estraneità al reato dei ricorrenti, dei quali non
è stata altresì razionalmente riconosciuta una condizione di buona fede
immediatamente evidente.Ove situazioni di condotte
effettivamente incolpevoli venissero successivamente comprovate non
potrà aversi evidentemente confisca.Da ciò discende
l’irrilevanza anche della prospettata questione di incostituzionalità
della previsione di cui all’art. 44, 2° comma, del D.P.R, n. 380/2001.La
Corte di appello di Bari, con ordinanza del 9.4.2008, aveva rimesso
alla Corte Costituzionale la valutazione circa la legittimità del
provvedimento di confisca qualora emesso “a prescindere dal giudizio di
responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti”, per
asserito contrasto con gli artt. 3, 25 – comma 2 e 27 – comma 1 della
Costituzione.La Corte costituzionale – con la sentenza n. 239,
depositata il 24.7.2009 (nelle more della stesura della presente
motivazione) – ha espressamente affermato che, “in presenza di un
apparente contrasto fra disposizioni legislative interne ed una
disposizione della CEDU, anche quale interpretata dalla Corte di
Strasburgo, può porsi un dubbio di costituzionalità, ai sensi del primo
comma dell’art. 117 Cost., solo se non si possa anzitutto risolvere il
problema in via interpretativa.Al giudice comune spetta
interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione
internazionale, entro i limiti nei quali ciò è permesso dai testi delle
norme e qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della
compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale
interposta, egli deve investire [il giudice delle leggi n.d.r.] delle
relative questioni di legittimità costituzionale rispetto al parametro
dell’art. 117, primo comma, Cost.” [sentenze nn. 348 e 349 del 2007].La
Corte Costituzionale ha concluso che “spetta, pertanto, agli organi
giurisdizionali comuni l’eventuale opera interpretativa dell’art. 44,
comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 che sia resa effettivamente
necessaria dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo; a
tale compito, infatti, già ha atteso la giurisprudenza di legittimità,
con esiti la cui valutazione non è ora rimessa a questa Corte. Solo ove
l’adeguamento interpretativo, che appaia necessitato, risulti
impossibile o l’eventuale diritto vivente che si formi in materia
faccia sorgere dubbi sulla sua legittimità costituzionale, questa Corte
potrà essere chiamata ad affrontare il problema della asserita
incostituzionalità della disposizione di legge”.Questa Corte
Suprema ha già fornito un’interpretazione adeguatrice dell’art. 44,
comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 alle decisioni della Corte europea
dei diritti dell’uomo e non si ravvisano profili di incostituzionalità
a fronte:– dell’affermata esclusione dell’applicabilità della
confisca nei confronti di coloro che effettivamente risultino “in buona
fede” [Cass., Sez. III: 20.5.2009, n. 21188, Casasanta ed altri;
29.4.2009, n. 17865, Quarta ed altri; 2.10.2008, n. 37472, Belloi ed
altri];– dell’affermata ulteriore necessità del rispetto del
principio di “proporzionalità”, fissato dall’art. 5 del Trattato della
Comunità Europea, secondo il quale “le autorità comunitarie e nazionali
non possono imporre, sia con atti normativi, sia con atti
amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino,
tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè
sproporzionata, rispetto a quella strettamente necessaria nel pubblico
interesse per il raggiungimento dello scopo che l’autorità è tenuta a
realizzare”.La confisca medesima, in applicazione di tale
principio, va estesa ai soli “terreni lottizzati” ovvero “rientranti
nel generale progetto lottizzatorio”, da identificarsi in quelli che
risultino oggetto di un’operazione di frazionamento preordinata ad
agevolarne l’utilizzazione a scopo edilizio. Ove esista, pertanto, un
preventivo frazionamento, va confiscata tutta l’area interessata da
tale frazionamento nonché dalla previsione delle relative
infrastrutture ed opere urbanizzative, indipendentemente dall’attività
di edificazione posta concretamente in essere. Nell’ipotesi, invece, in
cui non sia stato predisposto un frazionamento fondiario e tuttavia si
sia conferito, di fatto, un diverso assetto ad una porzione di
territorio comunale, la confisca va limitata a quella porzione
territoriale effettivamente interessata dalla vendita di lotti
separati, dalla edificazione e dalla realizzazione di infrastrutture
[vedi Cass., Sez. III, 2.10.2008, n. 37472, Belloi ed altri].9. La deliberazione n. 11 assunta dal Consiglio comunale di Riano in data 12.5.2009
Il
Consiglio comunale di Riano, in data 12.5.2009, ha adottato una
deliberazione avente ad oggetto la “Interpretazione autentica dell’art.
34 delle N.T.A. della Variante al P.R.G. approvata con delibera di
Giunta regionale n. 5842/1999 – Borghetti agricoli ed atelier per
artisti”.Con tale provvedimento il Consiglio ha considerato:
–
che, ai sensi dell’art. 34 delle NTA, “per i borghetti agricoli … non
è richiesto alcuno specifico requisito personale da parte del
richiedente”;– che – quanto alla prevista ubicazione di atelier
per artisti – per artisti “si devono intendere coloro che svolgono una
delle arti quali architettura, pittura, scultura, poesia, musica,
canto, recitazione … come pure il compositore di musica e chi la
esegue, l’artista di canto, il poeta, lo scrittore, il pittore, chi
recita in teatro … come pure chi svolge un’attività cinematografica,
teatrale o nel ruolo di attore, chi pur non esercitando un’arte ha un
animo aperto al senso dell’arte, chi è maestro nel proprio mestiere”;–
che ogni concessione edilizia relativa ai borghetti agricoli ed agli
atelier per artisti è accompagnata da atto d’obbligo notarile
registrato e trascritto in forza del quale l’intera estensione del
terreno di cui al progetto rimane comunque vincolata all’edificio
autorizzato, venendo così tutelata la destinazione agricola degli
stessi non essendo tra l’altro suscettibili di ulteriore edificazione
di qualsiasi tipo avendo esaurito con la costruzione l’intera
volumetria assentibile;– che a rafforzare ulteriormente il
vincolo pertinenziale di detti terreni nonché ad escludere
frazionamenti e ad assicurare la loro utilizzazione per fini agricoli è
stata adottata la deliberazione di Consiglio comunale n. 16 del
12.4.2006 avente ad oggetto “integrazione norme tecniche di attuazione
del PRG”, con la quale alla fine dell’art. 34 è stato inserito il
seguente capoverso: “Le aree agricole che, successivamente all’adozione
del vigente PRG, sono state vincolate con atto d’obbligo o altro mezzo
idoneo al fine di permettere l’edificazione di qualunque genere in zona
agricola, sono destinate esclusivamente alla pratica
silvo-agricola-pastorale. Tali aree non possono essere frazionate né
cambiare destinazione urbanistica, neanche nel caso di diversa
zonizzazione generale delle macrozone in cui ricadono, a seguito di
varianti o nuovo strumento; a tale scopo è redatto a cura dell’UTC
settore Urbanistica un apposito registro contenente gli estremi delle
aree vincolate sopradescritte;– che pertanto le concessioni
edilizie che risultino essere state rilasciate in conformità alla
normativa dettata dall’art. 34 delle Norme Tecniche relative ai
borghetti agricoli ed agli atelier per artisti sono da considerarsi
legittime”.Sulla base di tali “considerazioni”, lo stesso Consiglio ha deliberato di interpretare nei seguenti termini l’art. 34:
“
– a) nella sottozona E3 il detto articolo consente la realizzazione di
fabbricati a scopo residenziale accorpati in borghi agricoli, con
l’indice di fabbricabilità dello 0,03 mc./mq., da intendersi anche da
parte di soggetti che non siano addetti all’agricoltura;– b) il
borghetto agricolo si intende concepito come un nucleo edilizio immerso
nella campagna senza richiedere come necessario requisito l’esercizio
diretto di attività agricola da parte dei proprietari delle unità
immobiliari, ciò al fine di favorire la concentrazione della cubatura e
di evitare il proliferare di piccole costruzioni sparse nella zona
agricola;– c) per le stesse motivazioni sono stati altresì
previsti dei borghetti destinati ad atelier per artisti con l’indice di
fabbricabilità dello 0,10 mc./mq. che devono intendersi destinati ad
accogliere tutti quegli artisti che esercitano arti e mestieri come
sopra specificati e da intendersi qui riportati;– d) sulla base
della corretta e ragionevole interpretazione della surriportata
normativa tecnica di PRG devono ritenersi legittime quelle concessioni
edilizie per borghetti agricoli ed atelier per artisti che risultino
rilasciate in conformità alla relativa normativa nei termini come sopra
interpretati”Il Consiglio comunale ha disposto, quindi, che la
delibera in oggetto “verrà inviata alla Regione per le determinazioni
di sua competenza”.Rileva al riguardo il Collegio che al
deliberato consiliare in esame deve riconoscersi natura di atto a
contenuto pianificatorio.Esso:
– si pone anzitutto in
contrasto con la caratterizzazione conferita alle zone agricole dal PTP
– ambito territoriale n. 4 Valle del Tevere;– non “interpreta”
l’art. 34 della Variante di PRG ma lo modifica, in quanto elide la
previsione dello stesso che riserva agli addetti all’agricoltura
l’edificazione di residenze nelle zone agricole E3: non delimita,
infatti, il novero dei soggetti ai quali detta qualifica possa essere
attribuita ma estende in senso generalizzato la legittimazione a
costruire.Viene così apportata una innovazione sostanziale ad
una previsione di piano e ad essa viene illegittimamente attribuito
effetto retroattivo.Sotto il profilo procedimentale, inoltre,
deve rilevarsi che il PRG è un atto complesso sicché, dal momento
dell’approvazione regionale, non è più possibile l’interpretazione
unilaterale da parte del Comune o della Regione ma essa va effettuata
d’intesa tra le due autorità. Nella specie, invece, non risulta
intervenuto alcun provvedimento regionale (di concerto preventivo o di
approvazione), necessario per il completamento dell’iter formativo e
per l’integrazione dell’efficacia.Una “variante di piano” nel
senso dianzi illustrato – d’altro canto – si porrebbe oggi in contrasto
con l’art. 55 della legge 22.12.1999, n. 38 della Regione Lazio [come
modificato dalle leggi regionali 30.1.2002, n. 4 e 17 marzo 2003, n.
8], a norma del quale – (a decorrere dal 30.6.2002):– “Fermo
restando l’obbligo di procedere prioritariamente al recupero delle
strutture esistenti, la nuova edificazione in zona agricola è
consentita soltanto se necessaria alla conduzione del fondo e
all’esercizio delle attività agricole e ai quelle ad esse connesse”;–
“Le strutture adibite a scopo abitativo, salvo quanto diversamente e
più restrittivamente indicato dai piani urbanistici comunali, dai piani
territoriali o dalla pianificazione di settore, non possono, comunque,
superare il rapporto di 0,01 metri quadri per metro quadro, fino ad un
massimo di 300 metri quadri per ciascun lotto inteso come superficie
continua appartenente alla stessa intera proprietà dell’azienda
agricola. Il lotto minimo è rappresentato dall’unità aziendale minima
di cui all’articolo 52, comma 3. È ammesso, ai fini del raggiungimento
della superficie del lotto minimo, l’asservimento di lotti contigui,
anche se divisi da strade, fossi o corsi d’acqua”;– “L’unità aziendale minima non può, in ogni caso, essere fissata al di sotto di 10mila metri quadri.
In mancanza dell’individuazione dell’unità aziendale minima, il lotto minimo è fissato in 30mila metri quadri”.
In ogni caso, comunque, come si è ampiamente illustrato dianzi, nella vicenda che ci occupa:
–
la valutazione sulle possibilità di edificazione non si ricollega ad
una distinzione tra cittadini, ma alla particolare destinazione dei
terreni per prevalenti esigenze ambientali, che sono state disattese e
tralignate;– resta violato il cd. “rapporto di copertura”, cioè
il rapporto tra l’area coperta dalla costruzione e l’area del lotto di
pertinenza, tra l’edificio singolarmente compravenduto e la porzione di
terreno agricolo che costituisce imprescindibile presupposto di
legittimazione della costruzione di esso.10. L’ulteriore
approfondimento e la compiuta verifica spettano ovviamente ai giudici
del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi, della cui
sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, le contrarie
argomentazioni dei ricorrenti non valgono ad escludere la
configurabilità del “fumus” delle contravvenzioni contestate ed il
ravvisato “periculum in mora”.I ricorsi, conseguentemente, per
tutte le argomentazioni svolte, devono essere rigettati e ciascun
ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali
secondo la disciplina delineata dall’art. 535 c.p.p., come modificato
dall’art. 67, 2° comma, della legge 18.6.2009, n. 69.P.Q.M.
la
Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p., dichiara
non rilevante la dedotta questione di legittimità costituzionale;
rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali.