L’sms diventa reato
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I PENALE
Sentenza 11 maggio 2006, n. 16215
(Presidente Sossi – Relatore Vancheri)
In fatto e in diritto
Con sentenza del 15 marzo 2005 il Tribunale monocratico di Udine dichiarava C. R. colpevole della contravvenzione di cui all’articolo 660 Cp, contestatole per avere recato molestie a G. G., inviandogli numerosi messaggi Sms per motivi di rancore e gelosia, condannandola alla pena di euro 300 di ammenda.
Osservava il giudice predetto che, secondo le dichiarazioni della parte lesa e del teste Isp. S., i messaggi avevano carattere sgradevole e derisorio, per cui nel fatto, caratterizzato da insistenza eccessiva e fastidiosa e connotato da indebita, ripetuta e ingiustificata invadenza della sfera privata altrui, doveva ravvisarsi la fattispecie prevista e punita dall’articolo 660 Cp.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la C., lamentando erronea applicazione della legge penale, sul rilievo che nel caso in esame facevano difetto gli estremi della ritenuta fattispecie di cui all’articolo 660 Cp, in quanto lo strumento usato (trasmissione di messaggi sms) si discostava decisamente dall’uso tipico del telefono, consistente nella trasmissione di voci e suoni, sicché non poteva essere inquadrato nello schema della norma penale sopra descritta, essendo piuttosto da equiparare alla corrispondenza.
Una volta che la parte offesa aveva rimesso la querela, il contenuto eventualmente ingiurioso dei messaggi non aveva più alcun rilievo penale.
In ogni caso, anche la parte lesa aveva ripetutamente contattato essa imputata con messaggi, bigliettini e lettere, per cui non era ravvisabile il reato a lei contestato anche per il principio della reciprocità o ritorsione delle molestie.
Ciò posto, osserva la Corte che il ricorso è privo di fondamento.
Bisogna infatti ribadire che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la fattispecie penale di cui all’articolo 660 Cp può essere integrata anche quando la condotta ivi descritta si sostanzia nell’invio di sms (short messages system).
A tal fine è sufficiente osservare che il reato di cui all’articolo 660 Cp consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone e richiede, sotto il profilo soggettivo, la volontà della condotta e la direzione della volontà verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà.
I cosiddetti sms vengono trasmessi attraverso sistemi telefonici, che collegano tra loro apparecchi telefonici cellulari e/o apparecchi telefonici fissi e, quanto alla capacità offensiva del messaggio in danno della tranquillità privata del destinatario, a differenza di quel che in genere succede per lo strumento epistolare, il destinatario è costretto a leggerne il contenuto prima di potere identificare il mittente, per modo che il mittente del messaggio, attraverso questo strumento, raggiunge lo scopo, dolosamente perseguito, di turbare la quiete e la tranquillità psichica del destinatario, nello stesso identico modo in cui lo raggiunge quando usa lo strumento della comunicazione telefonica tradizionale.
Si comprende così come l’interpretazione letterale dell’articolo 660 Cpp porta a ricomprendere tra i mezzi della molestia punibile anche gli sms trasmessi per via telefonica. (In tal senso, v. Cassazione, Sezione terza, sentenza 28680/04 Modena).
Quanto alla osservazione, formulata dalla ricorrente, secondo cui la remissione della querela priverebbe di rilievo penale l’invio dei messaggi di cui sopra e farebbe caducare il processo, è facile ribattere che il reato di cui all’articolo 660 Cp è perseguibile d’ufficio, ragion per cui la suddetta remissione non può avere alcun effetto sulla sussistenza del reato contestato alla ricorrente.
Altrettanto è a dirsi in ordine agli effetti della ventilata reciprocità delle molestie, per la semplice ragione che la norma di cui al comma 1 dell’articolo 599 Cp riguarda esclusivamente il reato di ingiurie, ed è una norma speciale non applicabile all’infuori della ipotesi espressamente prevista.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va respinto e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.